LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28212/2016 R.G. proposto da:
G.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Cascio, e con lui elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini n. 6, presso lo studio dell’Avv. Sergio Lari;
– ricorrente –
contro
C.G., e D.M.A., rappresentati e difesi dall’Avv.to Accursio Gallo, e con loro elettivamente domiciliato in Roma, via G.P. Palestrina n. 19, presso lo studio dell’Avv. Stefania Di Stefani;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 718/2016 depositata il 26 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 febbraio 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– G.A. evocava, dinanzi al Tribunale di Palermo Sezione distaccata di Partinico, C.G. e D.M.A. per far accertare e dichiarare l’annullamento del contratto preliminare di vendita immobiliare stipulato fra le parti in data 22.11.2004 per vizio del consenso costituito dall’errore su qualità essenziale per essere stato il bene presentato quale casa di civile abitazione mentre risultava accatastato come magazzino, con obbligo di restituzione del corrispettivo versato;
– instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti che precisavano di non avere svolto alcuna trattativa con l’attore, avendo lasciato questa fase all’attività di un mediatore, al quale avevano consegnato i documenti riguardanti i titoli di proprietà, le autorizzazioni edilizie e le chiavi, spiegando domanda riconvenzionale per ottenere pronuncia di inadempimento dell’attore, il Tribunale adito, con sentenza n. 168 del 2009, accoglieva la domanda attorea e per l’effetto annullava il contratto preliminare, con condanna dei convenuti alla restituzione della somma di Euro 40.000,00 corrisposta dal promissario acquirente, rigettata la riconvenzionale;
– sul gravame interposto dai promittenti venditori, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda di annullamento del contratto preliminare e, per l’effetto, eliminava la condanna degli originari convenuti alla restituzione delle somme, con condanna dell’appellato al rilascio dell’immobile e alla demolizione del corpo di fabbrica di mq. 40 posto sul lato sud del fabbricato;
– a sostegno della decisione la Corte d’appello rilevava che l’errore dedotto dall’appellato atteneva non già alle caratteristiche intrinseche o materiali del bene ma la classificazione catastale dell’immobile e la sua regolarità, né ha mai allegato che vi fosse irregolarità catastale o la planimetria catastale fosse difforme dallo stato di fatto, né era stata contestata la regolarità urbanistica della costruzione. In altri termini, il bene aveva le caratteristiche, intrinseche e oggettive, volute dal G. che intendeva acquistare un immobile da utilizzare per la villeggiatura, per cui la sua classificazione catastale era del tutto ininfluente, costituendo la classificazione catastale un mero requisito burocratico-fiscale. Ne’ veniva accolta la domanda riconvenzionale di risoluzione stante la non contestata irregolarità catastale del bene;
– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Palermo ricorre il G. sulla base di due motivi;
– gli intimati C. – D.M. resistono con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale affidato a due motivi.
Atteso che:
– preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso contenuta nel controricorso per violazione del principio di autosufficienza.
In proposito occorre ribadire che, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”, e che il principio di autosufficienza del ricorso non è violato dalla circostanza che nell’atto, dopo avere indicato nell’epigrafe il giudice adito e le generalità delle parti, prosegua esponendo sinteticamente l’atto introduttivo del giudizio e le difese della controparte, con esito dei due gradi di giudizio di merito, passando poi direttamente e più approfonditamente ai motivi di doglianza. I fatti di causa, infatti, sono chiaramente desumibili sia dalla esposizione sommaria sia dalla illustrazione dei motivi stessi, e tanto basta per escludere l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 e, quindi, sulla base di quanto allegato nel ricorso stesso nella sua interezza (in tal senso, Cass., Sez. Un., n. 4324 del 2014);
– venendo al merito del ricorso principale, con il primo motivo è lamentata la violazione o la falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in particolare degli artt. 112 e 342 c.p.c., giacché il giudice a quo “afferma di avere fondato la sua decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi ovvero di avere esaminato questioni non specificamente proposte dall’appellante medesimo”, così operando avrebbe violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum. Ad avviso del ricorrente il thema decidendum del primo grado era costituito dalle circostanze relative al dedotto errore essenziale e riconoscibile, tant’e’ che sulla medesima questione si erano appuntate le difese dell’atto di appello. La corte di merito ha affermato che siffatto tema sarebbe connesso con l’accertamento dell’intrinseca ed oggettiva qualità di civile abitazione dell’immobile. Inoltre la corte distrettuale ha argomentato la natura intrinsecamente ed oggettivamente quale casa del bene a prescindere dalla sua qualificazione urbanistica.
Il motivo è palesemente inammissibile.
Lo stesso ricorrente afferma di avere agito sul presupposto dell’esistenza di un contratto preliminare di compravendita immobiliare viziato da errore essenziale e riconoscibile per come emergeva dalle clausole contrattuali e su tale qualificazione giuridica della domanda aveva convenuto anche il Giudice di prime cure e la questione non era stata esplicitata come autonomo punto di censura in sede di atto di citazione in appello, essendo stata la Corte distrettuale a ravvisare nelle richieste degli appellanti-originari convenuti di riforma della sentenza di primo grado a mettere in discussione l’esistenza dell’errore quale vizio della volontà.
Il ricorrente vorrebbe escludere che l’accertamento di merito concernente il riesame degli elementi fattuali che regolano il contratto preliminare fosse devoluto al giudice del gravame, onde la non ammissibilità – a suo avviso – di pervenire ad una riqualificazione giuridica della vicenda contrattuale totalmente differente da quella assunta dal primo giudice.
Osserva il Collegio che deve essere ribadito il principio per cui il Giudice d’appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e col limite di lasciare inalterati il “petitum” e la “causa petendi” e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (Cass. n. 4008 del 2006; Cass. n. 10617 del 2012).
Il giudicato non si forma (anche) sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di accertamento effettivo, specifico e concreto (Cass. n. 21266 del 2007), mentre la efficacia preclusiva dell’accertamento si forma anche sulla qualificazione giuridica data all’azione dal giudice, quando essa abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla (Cass. n. 21490 del 2005; Cass. n. 6716 del 2018).
In altri termini, l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (v. ex multis Cass. n. 2973 del 2006).
Ne segue che avendo nella specie gli appellanti, rimasti soccombenti proprio sulla interpretazione e sulla qualificazione giuridica delle clausole contrattuali rispetto alla verifica degli inadempimenti reciprocamente denunciati dell’obbligo di adempiere, condizionando proprio l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito, non poteva dirsi formato un giudicato sulla questione della esistenza o meno dei vizi della volontà, che concerne anche gli accertamenti che costituiscono il presupposto logico – giuridico della decisione;
– con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1427,1428,1429 e 1431 c.c., nonché degli artt. 10 e 23 bis del T.U. sull’edilizia, di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, L. n. 1150 del 1942, art. 18 e dell’art. 1292 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di Palermo erroenamente definito la classificazione catastale un “mero requisito burocratico-fiscale”.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha ricostruito il rapporto tra le parti attraverso l’esame delle clausole contenute nel contratto preliminare di vendita del 22.11.2004, con cui il C. e la D.M. avevano promesso in vendita al G. l’immobile oggetto di causa; ha accertato che il bene era indicato nell’atto quale “casa” ed aveva tutte le caratteristiche, intrinseche e oggettive, del bene che il promissario acquirente intendeva acquistare.
Così ricostruita la volontà delle parti, ha inoltre verificato che non sussistevano i dedotti profili di nullità del contratto per i vizi del consenso, con accertamento di merito sulla volontà delle parti sempre affidata al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità solo quando la motivazione offerta sia priva di contenuto, mentre, nel caso di specie, la corte di merito ha svolto un approfondito esame del titolo e del tenore letterale delle clausole contrattuali e di tutto ciò ne ha dato ragione nelle argomentazioni della sua decisione, non condivisa dalla parte ricorrente.
Peraltro la censura non tiene conto che la sanzione di nullità, comminata dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, che si attaglia al caso di specie, ha carattere formale, discendendo dalla carenza dei requisiti di contenuto dell’atto di trasferimento (ove non siano riportati gli estremi della concessione edilizia o di quella in sanatoria), in assenza di più generale divieto di circolazione degli immobili irregolari, sanzionabile in via generale ai sensi dell’art. 1418 c.c., commi 1 e 2 (così, testualmente, Cass., Sez. Un., n. 8230 del 2019), e si applica ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2, della medesima Legge, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare (Cass. n. 6685 del 2019; Cass. n. 21942 del 2017; Cass. n. 28456 del 2013).
Invero la non conformità catastale del bene, rilevata dallo stesso giudice del gravame, che attiene alla corrispondenza tra lo stato di fatto dell’unità immobiliare ed i relativi dati catastali nonché della corrispondente planimetria, non ha neppure funzione probatoria, ovvero non fornisce dati certi relativi alla intestazione della proprietà e tanto meno sulla regolarità urbanistica degli immobili. Mentre ciò che viene in contestazione è la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e l’insieme dei titoli edilizi abilitativi rilasciati in tutta la storia costruttiva dell’edificio. Questo aspetto di regolarità è quello rilevante e dovrà essere verificato in occasione della stipula del rogito di compravendita e dunque in un momento successivo, volto al perfezionamento della traslazione del bene, ponendosi in detto ambito quale questione di adempimento della parte promittente venditrice e non già quale elemento genetico della formazione della volontà;
– passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo è lamentata la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1453,1455 c.c. e art. 1385 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte distrettuale non riconosciuto l’inadempimento del promissario acquirente alla luce di una “irregolarità” della classificazione catastale dell’immobile. Inoltre il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto nel valutare l’inadempimento del G. che lo stesso ha mantenuto la disponibilità dell’immobile da circa dodici anni, realizzandovi anche opere abusive, e senza denunciare che la irregolarità catastale lamentata sia insanabile.
La infondatezza della censura emerge dalle considerazioni sopra svolte quanto alla regolarità urbanistica del bene, che seppure non ha incidenza sulla causa di annullamento del preliminare per vizio del consenso, determina comunque l’esposizione del promissario acquirente al futuro rischio della demolizione dell’immobile e che giustifica l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..
Anche a voler superare il rilievo che effettivamente l’attore ebbe a richiedere una decisione limitata solo alle sorti del contratto preliminare di compravendita immobiliare, senza sollecitare anche una decisione circa le sorti del contratto definitivo, rileva il Collegio che la decisione del giudice di appello di ritenere che le sorti dei due contratti siano tra loro collegati, non sia censurabile, attesa la mancata allegazione di elementi di fatto tali da indurre a riscontrare la commerciabilità del bene;
– con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la corte distrettuale pronunciato la conferma della decisione del giudice di prime cure quanto alla condanna del G. alla demolizione delle opere abusivamente realizzate nell’immobile per cui è contesa.
Anche siffatto motivo non può trovare ingresso.
Si rinvia alle osservazioni esposte in occasione della disamina del primo motivo di ricorso incidentale, occorrendo anche in questa sede ribadire come in realtà il giudice di merito abbia in concreto effettuato il vaglio delle reciproche inadempienze, pervenendo, con valutazione insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, a riscontrare l’inadempimento in capo ad entrambe le parti, idoneo a giustificare l’assorbimento della domanda di accertamento del diritto degli appellanti-ricorrenti incidentali di trattenere la caparra confirmatoria e, per quanto qui di interesse, a maggior ragione della richiesta di demolizione delle opere abusive realizzate dal promissario acquirente, trattandosi comunque di domanda accessoria.
Conclusivamente, il ricorso principale va respinto, al pari di quello incidentale.
Le spese processuali, stante la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate fra le parti.
Poiché il ricorso principale e quello incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono entrambi rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte sia del ricorrente principale che dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta entrambi i ricorso;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021
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