LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 16081-2020 proposto da:
G.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, alla via Archimede, n. 37, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SCANDURRA, rappresentato e difeso dall’avvocato ITALO DE ZIO DI MYRA;
– ricorrente –
contro
ARCA PUGLIA CENTRALE, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, alla via A. BERTOLONI n. 35, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO CAPPELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARICLA CANDELIERE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 235/2020 della CORTE d’APPELLO di BARI, depositata il 04/02/2020;
udita la relazione della causa svolta, nella Camera di Consiglio non partecipata del 26/05/2021, dal Consigliere Relatore Dott. Valle Cristiano, osserva quanto segue.
FATTO E DIRITTO
G.G.P. impugna con atto affidato a quattro motivi (sebbene l’ultimo sia duplicato e rechi il numero 3) la sentenza della Corte di Appello di Bari, n. 235 del 04/02/2020, che ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto dell’impugnativa di un’ordinanza del presidente dell’allora Istituto Autonomo Case Popolari (ora ARCA Agenzia Regionale per la Casa e l’Abitare, Puglia Centrale) di rilascio di un immobile destinato ad abitazione per la categoria dei profughi, in forza della L. 4 marzo 1952, n. 137, alla quale, tuttavia, egli non appartiene, facendo valere un (asserito) diritto di subentro per ragioni familiari, in quanto genero di A.M., già profugo di guerra, dopo il decesso della figlia di questi, A.C., sua moglie.
Resiste con controricorso l’ARCA Puglia centrale.
La controversia è stata avviata alla trattazione secondo il rito di cui all’art. 375 c.p.c.
La proposta, di manifesta inammissibilità del ricorso, predisposta dal Consigliere relatore, è stata ritualmente comunicata alle parti costituite.
Non sono state depositate memorie nel termine di legge di cui all’art. 380 bis c.p.c., né in forma cartacea né negli applicativi telematici (desk del magistrato o processo civile telematico e teams).
Ciò posto il Collegio ritiene di condividere la prospettazione, di manifesta inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, e degli artt. 100, 112 e 115 in relazione ai nn. 3 e 5 c.p.c.
Il motivo, oltre che impropriamente formulato, laddove richiama l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ossia l’omesso esame di un fatto decisivo, è inammissibile in quanto: entrambi i giudici di merito (il Tribunale e la Corte di Appello di Bari) hanno comunque esaminato la deduzione di invalidità della delibera del Presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari (al quale è subentrato successivamente l’ARCA Puglia centrale) e l’hanno ritenuta infondata affermando che l’ordinanza di rilascio dell’immobile, da considerarsi abusivamente occupato dallo G., in quanto non avente titolo all’occupazione, rientrava nelle competenze gestorie dello IACP ossia del suo Presidente.
Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 137 del 1952, artt. 23 e 30, ed è anche esso inammissibile, stante la riconosciuta – dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 419 del 25/01/1989 Rv. 461541 – 01), della quale non constano mutamenti ed al quale il Collegio presta adesione ed intende assicurare continuità – competenza a provvedere alla gestione dei detti immobili in capo agli IACP.
Deve, invero, ribadirsi, in una con la sopra richiamata giurisprudenza, che gli alloggi suddetti sono (o, meglio, furono) costruiti dallo Stato ed assunti in gestione dagli Istituti Autonomi per le Case Popolari, con la conseguenza che le questioni di nullità dell’ordinanza di rilascio pure prospettate dal G. appaiono del tutto infondate, trattandosi comunque di immobili rientranti nell’ambito del potere gestorio degli IACP.
Il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 456,457,458,459 e 460 c.c. (in materia di successione) in quanto, nella prospettazione del ricorrente, il Tribunale di Bari, nella sentenza di primo grado, avrebbe riconosciuto il suo diritto a subentrare nell’assegnazione dell’alloggio alla moglie, premorta, A.C. in quanto la sentenza di primo grado avrebbe condannato lo IACP alla corresponsione della somma di Euro milleottocentosessantasei (Euro 1.866,00) in suo favore.
Il motivo e’, anche esso, inammissibile perché afferma circostanza non vera, e comunque non riscontrabile, in quanto la sentenza del Tribunale di Bari non è riportata, se non in un passo non adeguato, per la sua brevità (“vedovo ed erede della A., legittimato, quindi, nella successione, sussistendo tutti i presupposti”) per la parte che in questa sede dovrebbe rilevare e, peraltro, non risulta in alcun modo che A.C. fosse subentrata al padre A.M. unico appartenente alla categoria dei profughi (e per vero, la giurisprudenza di legittimità esclude del tutto che vi sia un diritto al subentro e che lo stesso, ove ritenuto esistente, sia trasmissibile in via ereditaria).
Il quarto motivo, rubricato, come già detto, ancora con il n. 3) deduce omesso esame di una serie di dati fattuali (quali: la qualità di profugo in capo al G., che, giusta quanto risulta dagli atti deve essere, ed è stata esclusa; tipologia dell’alloggio, che è stata presa in considerazione; qualità di erede, che pur, come detto, è stata presa in considerazione e di cui è esclusa la valenza ai fini del subentro) sui quali la Corte territoriale, e prima ancora il Tribunale, sì sono ampiamente ed esaustivamente pronunciati e, in ogni caso, il mezzo è ampiamente deficitario nell’ottica dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, laddove non indica alcun fatto diverso, rispetto a quelli esaminati nelle fasi di merito, sul quale l’esame giudiziale non sia stato condotto.
Il ricorso deve, nel rilievo dell’inammissibilità di tutti i suoi motivi, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività processuale espletata.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali, nei confronti del ricorrente, per il versamento dell’ulteriore importo per contributo unificato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Sez. U n. 04315 del 20/02/2020).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021
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