LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25405-2019 proposto da:
LDR RISTORAZIONE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO n. 13, presso lo studio dell’avvocato DANIELE BERARDI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUGLIELMO MARCONI n. 19, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO SARRA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 503/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato L.D.R. Ristorazione S.r.l. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 3738/2009, emesso dal il Tribunale di Roma, con il quale le era stato ingiunto il pagamento, in favore di C.L., della somma di Euro 41.225,84 oltre accessori, a fronte delle prestazioni professionali rese dall’opposto. In particolare, la società opponente deduceva l’esistenza di un accordo verbale tra le parti, in ragione del quale tutte le spese, i costi e gli oneri relative alla progettata scissione, alla quale si riferiva l’attività professionale svolta dal C., avrebbero dovuto essere poste a carico della costituenda società L.D.N. EDILIZIA S.R.L.
Nella resistenza del C. il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11455/2014, rigettava l’opposizione confermando il decreto opposto.
Interponeva appello avverso detta decisione L.D.R. Ristorazione S.r.l. e, nella resistenza del C., la Corte di Appello di Roma, con la sentenza oggi impugnata, n. 503/2019, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione L.D.R. Ristorazione S.r.l., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso C.L..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., degli artt. 2730 e 2734 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente valutato le prove, omettendo in particolare di dare rilievo a due comunicazioni telefax, l’una del ***** e l’altra del *****, che confermerebbero l’esistenza di un accordo tra le parti, nel senso che le spese della progettata operazione di scissione societaria sarebbero state sostenute dalla costituenda L.D.N. Edilizia S.r.l. Il giudice di seconde cure, infatti, avrebbe erroneamente ritenuto incerta la provenienza dei predetti telefax, e dunque non avrebbe ravvisato la prova dell’accordo suindicato.
Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 1335 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare, ai fini della decisione, la raccomandata inviata da L.D.R. al C. in data *****, non specificatamente contestata dal professionista, con la quale era stata immediatamente contestata la parcella da quegli emessa, proprio in ragione del fatto che le spese della progettata scissione avrebbero dovuto gravare sulla nuova società L.D.N. Edilizia. Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto attribuire alla predetta missiva valenza di prova certa, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1335 c.c..
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della clausola – contenuta nell’atto notarile di scissione – ai sensi della quale “le spese del detto atto e sue consequenziali siano a carico della società neo costituenda”. Ad avviso della società ricorrente, detta clausola avrebbe confermato l’esistenza di un accordo nel senso che tutte le spese dell’intera operazione di scissione, incluse quelle legate alla consulenza professionale prestata dal C., sarebbero state a carico della L.D.N. Edilizia S.r.l..
Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha infatti valutato le evidenze istruttorie, affermando, in dettaglio:
– che il primo fax, datato *****, provenisse da un numero telefonico inesistente, mentre il secondo, datato *****, risultasse inviato da una utenza fissa (*****) all’epoca non più attiva;
– che, in ogni caso, “… la comunicazione unilaterale di un diverso soggetto obbligato al pagamento dei compensi, seppure fosse avvenuta regolarmente, non sarebbe sufficiente a dimostrare l’accordo intervenuto tra le parti, in mancanza di espressa accettazione o comportamenti concludenti univoci in tal senso” (cfr. pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata);
– che la clausola contenuta nell’atto notarile si riferisse soltanto alle spese dell’atto, e non anche ai compensi dovuti al C.;
– che la mancata indicazione del compenso del professionista nella contabilità di L.D.R. Ristorazione S.r.l. non fosse circostanza decisiva, avendo essa, al massimo, un mero valore indiziario;
– che la pag. 43 del libro verbali delle assemblee fosse stata completata in epoca successiva alla riconsegna dei documenti da parte del C., posto che nel verbale del ***** era stata attestata la riconsegna, inter alla, di un libro verbali assemblee composto di 100 pagine e compilato dalla pag. 1 alla pag. 42 compresa;
– che, dunque, non vi fosse prova che il C. fosse stato edotto, o avesse accettato, “… eventuali delibere riguardanti l’individuazione di un soggetto obbligato al pagamento dei compensi diverso da quello che ha conferito l’incarico” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata);
– che la contestazione del *****, inviata da L.D.R. Ristorazione S.r.l. dopo aver ricevuto la parcella del C., fosse “… assolutamente generica, risolvendosi nell’affermazione dell’esorbitanza, senza alcuna altra precisazione, e nel diniego di qualsiasi mandato diverso da un mero coordinamento fiscale e contabile di tutta l’operazione; incarico, invece, puntualmente documentato da controparte” (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
Non sussiste, dunque, alcun profilo di omesso esame, né dei due telefax del ***** e del ***** – oggetto del primo motivo del ricorso – né della lettera di contestazione del ***** – oggetto del secondo motivo – né della clausola contenuta nell’atto notarile di scissione – oggetto del terzo motivo – ed il ricorrente non supera il decisivo rilievo, contenuto nella decisione impugnata, circa l’inesistenza di un accordo tra le parti che prevedesse che il compenso del C., che aveva ricevuto l’incarico professionale da L.D.R. Ristorazione S.r.l., sarebbe stato pagato da un soggetto diverso da tale società. Le censure, in sostanza, si risolvono nell’invocazione di un complessivo riesame della valutazione del fatto e dell’apprezzamento delle prove operate dal giudice di secondo grado, senza tener conto, da un lato, del principio per cui il motivo di ricorso non può mai risolversi nella mera richiesta di revisione del giudizio di merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), e, dall’altro lato, del principio secondo cui il sindacato sulle prove e sulla scelta di quali, tra di esse, sia decisiva appartiene al giudice di merito e non è utilmente sindacabile in sede di legittimità, ove il giudice di merito indichi in modo coerente le ragioni del proprio convincimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595 (conf. Cass. Sez.1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Da quanto precede, discende l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021
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