Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24982 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30728-2019 proposto da:

B.F., rappresentato e difeso dall’avv. PATRIZIO ZAGATTI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AKNO BUSINESS PARKS S.P.A..;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1066/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 10.7.2006 B.F. evocava in giudizio Akno Business Parks S.p.a. innanzi il Tribunale di Padova, esponendo di aver concluso con la società convenuta un contratto per la fornitura di alcuni lucernari; che la società Akno aveva poi annullato l’ordine, avendo individuato diversa soluzione tecnica; che il B. aveva quindi chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 164.766,25; che le parti si erano accordate, con apposita transazione, per la rateazione del debito. Deduceva inoltre che Akno non aveva adempiuto alle obbligazioni assunte con la predetta scrittura transattiva e ne chiedeva pertanto la condanna al pagamento della somma di Euro 6.860,98 ancora dovuta in base a quell’accordo rateale; ad adempiere al contratto originario, e quindi a pagare la somma di Euro 345.489,79; nonché al risarcimento del danno cagionato all’attore in dipendenza dei fatti esposti in citazione.

Si costituiva in giudizio Akno Business Parks S.p.a., resistendo alla domanda.

In sede di precisazione delle conclusioni, l’attore modificava la propria domanda, rinunciando a pretendere l’adempimento del contratto ed insistendo invece soltanto in quella di risoluzione e di risarcimento del danno.

Con sentenza n. 671/2014 il Tribunale di Padova accoglieva in parte la domanda, condannando la società convenuta al pagamento della somma di Euro 6.853,27 dovuta in base all’accordo di rateizzazione del debito, nonché dell’ulteriore importo di Euro 34.686,52 a titolo di risarcimento del danno, condannando la Akno anche alle spese del grado.

Interponeva appello avverso detta decisione il B., insistendo per la parte della propria domanda originaria non accolta dal Tribunale. Si costituiva in seconde cure Akno Business Parks S.p.a., resistendo al gravame e spiegando appello incidentale condizionato per la condanna del B. alla restituzione della somma di Euro 44.563,24 percepita a seguito della sentenza di prime cure.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1066/2019, la Corte di Appello di Venezia rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.F., affidandosi a tre motivi.

Akno Business Parks S.p.a., intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

L’avv. Zagatti, procuratore della parte ricorrente, ha depositato, in prossimità dell’adunanza camerale, dichiarazione di rinuncia al mandato difensivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 1453 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato le statuizioni del Tribunale, che aveva ritenuto carente l’indicazione del petitum e della causa petendi poste alla base della pretesa azionata dall’originario attore. Il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che il B. aveva modificato, nel corso del giudizio, la sua iniziale domanda di adempimento in domanda di risoluzione parziale del contratto, invocando – appunto – la declaratoria di intervenuta risoluzione di quest’ultimo, per fatto e colpa della Akno, limitatamente alla sola parte che non aveva ricevuto esecuzione. La società convenuta, dunque, avrebbe dovuto essere condannata, da un lato, al pagamento del saldo della merce ricevuta in esecuzione del contratto a suo tempo concluso tra le parti, e, dall’altro lato, al risarcimento del danno derivante dalla risoluzione del contratto medesimo, per fatto e colpa della società committente.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 1453 c.c., comma 2, perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che il danno risarcibile non era limitato al solo importo a suo tempo indicato dal Tribunale, ma ammontava, nel complesso, ad Euro 175.752,11 al netto di iva.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe errato nel non ammettere i capitoli di prova articolati dalla difesa del B..

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Con esse, infatti, il ricorrente propone una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, senza confrontarsi con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’apprezzamento delle prove acquisite agli atti del giudizio, e la valutazione circa la decisività di alcune di esse, si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in Cassazione, ov’esso sia sorretto da motivazione logica, coerente e non inficiata da insanabili contrasti (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Ne’ può essere ritenuta ammissibile la censura che si risolva nella mera invocazione di una revisione del convincimento espresso dalla Corte territoriale, teso ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Peraltro, quanto al primo motivo, si deve ribadire che, se da un lato la parte conserva, sino al momento della precisazione delle conclusioni definitive, il diritto di modificare la propria iniziale domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto, in forza della disposizione di cui all’art. 1453 c.c., comma 2, tuttavia tale facoltà non può essere esercitata, in linea di principio, soltanto in relazione ad una porzione del negozio, sussistendo pur sempre un rapporto di necessaria alternatività logico-giuridica tra le due domande, l’una delle quali – quella di adempimento – presuppone la perdurante validità del vincolo negoziale, mentre l’altra – quella di risoluzione – ne postula l’intervenuta elisione, per effetto del grave inadempimento imputabile all’altra parte, ovvero del legittimo esercizio, da parte del contraente non inadempiente, di una clausola risolutiva espressa. Dal che deriva che la scelta di modificare la domanda iniziale di adempimento in domanda di risoluzione deve riguardare, di regola, l’intero negozio giuridico, anche in considerazione del fatto che il giudizio sulla gravità dell’inadempimento, che a sua volta costituisce causa giustificativa dell’esercizio dell’azione di risoluzione, investe necessariamente l’intero sinallagma contrattuale, e non soltanto una parte di esso. Sul punto, infatti, è opportuno ribadire che “Lo scioglimento del contratto per inadempimento – salvo che la risoluzione operi di diritto – consegue ad una pronuncia costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. Tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza del’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7083 del 28/03/2006, Rv. 588671; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22346 del 22/10/2014, Rv. 633068; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10995 del 27/05/2015, Rv. 635646; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8220 del 24/03/2021, non massimata).

Fa eccezione a tale principio l’ipotesi in cui il contratto, ancorché ad esecuzione istantanea, abbia ad oggetto “… più cose funzionalmente collegate purché esse, una volta separate, abbiano una propria individualità fisica rispetto all’aggregato, conservino una concreta funzione economico giuridica ed abbiano attitudine ad essere oggetto di diritti come beni a sé stanti…”(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5434 del 15/04/2002, Rv. 553748). In tale eventualità, si è affermato che “La risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c., per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, è possibile anche per il contratto ad esecuzione istantanea, quando il relativo oggetto sia rappresentato -secondo la valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione di legge o vizi logici- non da un’unica cosa infrazionabile, ma da più cose aventi propria individualità, quando, cioè, ciascuna di queste, separata dal tutto, mantenga un’autonomia economico-funzionale, che la renda definibile come bene a sé, suscettibile di diritti o di negoziazione distinti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16556 del 02/07/2013, Rv. 626965; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10700 del 20/05/2005, Rv. 582211 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23657 del 21/12/2004, Rv. 578200). Anche in tal caso, tuttavia, la risoluzione parziale del contratto per inadempimento del venditore è configurabile qualora – avuto riguardo all’interesse della controparte alla stregua della funzione del negozio, da individuare in base alla volontà contrattuale – la prestazione correttamente eseguita rivesta autonomo rilievo per il compratore, mentre tale risoluzione è da escludere quando, in considerazione del necessario collegamento tra oggetti venduti, attribuito dalle parti, il compratore non abbia interesse alla consegna parziale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25157 del 13/12/2010, Rv. 615844).

Nel caso di specie, il ricorrente non allega neppure che, nel caso di specie, il contratto stipulato tra le parti, ed oggetto della presente controversia, concernesse non già un unico oggetto, ma una pluralità di cose dotate di autonomia economico-funzionale e suscettibili, pertanto, di negoziazione distinta; né indica alcun elemento idoneo ad escludere che, in presenza dei predetti requisiti di autonomia, l’altra parte non avesse comunque interesse all’adempimento globale.

Infine, il terzo motivo è ulteriormente inammissibile per difetto di specificità, poiché il ricorrente neppure indica quali sarebbero le istanze istruttorie che la Corte di merito avrebbe erroneamente omesso di ammettere, né specifica in quale momento del giudizio di merito esse sarebbero state ritualmente introdotte; né, infine, riporta la censura in appello con la quale la questione oggetto della doglianza in esame sarebbe stata, in ipotesi, devoluta alla cognizione del giudice di seconda istanza.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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