Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25058 del 16/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12403/2016 proposto da:

FALLIMENTO ***** S.p.a., in persona del curatore Dott. P.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Nomentana n. 76, presso lo studio dell’avvocato Marco Selvaggi, rappresentato e difeso dall’avvocato Gherardo Soresina, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore Dott.ssa T.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Filippo Corridoni n. 14, presso lo studio dell’avvocato Marco Paoletti, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SIENA del 04/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/04/2021 dal Cons. Dott. Paola Vella.

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Siena, con decreto del 18.5.2016, ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** S.r.l. in Liquidazione (di seguito *****), proposta dal Fallimento ***** S.p.a. (di seguito *****) per ottenere, per ciò che in questa ancora rileva, l’ammissione del credito di Euro 3.880.118,98 (oltre interessi), preteso, a titolo di incrementi derivanti da attività di sviluppo e realizzazione di nuovi modelli, sulla base dell’art. 15 del contratto del 18/10/2010 con cui ***** s.r.l. aveva concesso in affitto a ***** s.p.a. la propria azienda, corrente in *****, per la produzione e commercializzazione di caravan, camper, motorhome, integrato da scrittura del 28/10/2010 e seguito dalla scrittura privata autenticata del 12/05/2014, di risoluzione consensuale del contratto.

Il tribunale ha rilevato che la clausola contrattuale invocata dall’opponente stabiliva che al termine del rapporto l’affittuaria avrebbe avuto diritto ai conguagli per le opere, le addizioni e i miglioramenti di qualunque tipo apportati all’azienda solo se previamente autorizzati dalla concedente e che, benché la scrittura risolutiva prevedesse la necessità di regolare in separata sede i rapporti economici derivanti dall’attività di sviluppo e realizzazione dei nuovi modelli svolta da ***** nell’ambito dell’azienda condotta in affitto, non v’era prova che tale attività fosse stata autorizzata da ***** né esisteva un atto di esatta ricognizione dei miglioramenti da essa derivati, i quali non potevano essere neppure accertati sulla base della documentazione contabile prodotta dal Fallimento *****, non opponibile al curatore del Fallimento ***** e dunque inidonea all’espletamento di una ctu, che, se disposta, avrebbe avuto carattere esplorativo.

2. Avverso detta decisione il Fallimento ***** ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Fallimento ***** ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

2.1. Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione “per omesso esame del fatto (…) attinente all’esistenza di un accordo tra le parti relativo alla necessità di conguagliare in denaro l’incremento delle consistenze di inventario realizzato dall’Affittuario nel corso del contratto di affitto”, in quanto il tribunale, nel rilevare che non v’era prova dell’autorizzazione ai miglioramenti, non aveva tenuto conto che nella scrittura di risoluzione l’affittante aveva dato atto della loro esistenza e si era impegnata a regolare i rapporti economici da essi derivanti entro cinque giorni, effettuando un inventario finale in occasione del quale sarebbero stati determinati i valori e le modalità dei conguagli, in tal modo autorizzandoli.

2.2. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1322,1372,1362,1363 e 1367 c.c., nonché degli artt. 2561 e 2562 c.c., “per avere il Tribunale di Siena violato la comune volontà delle parti, chiaramente espressa nel contratto del 12 maggio 2014, di addivenire ad un conguaglio in denaro degli incrementi delle consistenze di inventario apportati dall’Affittuaria nel corso del contratto di affitto”; in altri termini, nel negare che vi fosse prova dell’autorizzazione, il giudice avrebbe violato le regole di ermeneutica contrattuale.

2.3. Il terzo motivo lamenta “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione ai principi di cui all’art. 24 Cost. (…) nonché omessa, illogica e contraddittoria motivazione in ordine al rifiuto del tribunale di Siena di ammettere la consulenza tecnica d’ufficio richiesta dalla ricorrente, volta a determinate la differenza delle consistenze dell’inventario aziendale ed i conseguenti conguagli in denaro dei beni materiali ed immateriali che l’Affittuario aveva immesso nel patrimonio aziendale”;in particolare, ***** s.p.a. aveva depositato l’inventario iniziale, il libro cespiti e i documenti contabili che provavano la realizzazione di beni funzionali ad accrescere il patrimonio aziendale, nonché l’accordo di risoluzione con il quale ***** s.r.l. rientrava nel possesso dell’azienda comprensiva delle migliorie, chiedendo – dal momento che non era stato mai redatto l’inventario finale – apposita c.t.u. per valutare la differenza fra la consistenza iniziale e quella finale; a fronte di tale produzione documentale contabile (di cui non aveva senso valutare l’opponibilità alla curatela, non essendo stata prodotta al fine di trarne una prova del credito), il tribunale non aveva spiegato perché la richiesta di c.t.u. fosse meramente esplorativa.

3. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati, poiché il tribunale non ha fatto buon governo delle regole di ermeneutica contrattuale.

3.1. Come già si è accennato nella parte espositiva, il giudice ha accertato: i) che “in effetti dalla documentazione versata in atti emerge che siano intervenute modifiche quantitative o qualitative dell’azienda attribuibili all’affittuaria”, tali da giustificare l’applicazione dell’art. 2561 c.c., comma 4 e art. 2562 c.c., che prevedono la regolazione in denaro della differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto; ii) che “alla lett. h) della premessa dell’atto di risoluzione del contratto si fa riferimento alla necessità di regolare in separata sede i rapporti economici derivanti, tra l’altro, “dall’attività di sviluppo e realizzazione dei nuovi modelli di autocaravan e segnatamente dei motorhome della serie ***** svolta dalle ***** spa nell’ambito dell’azienda condotta in affitto”; iii) che all’art. 1 della medesima scrittura privata “si dà atto della restituzione di tutti i beni materiali e immateriali costituenti l’azienda esistenti all’inizio del rapporto di affitto con aggiunta degli ulteriori beni mobili strumentali acquistati dall’affittuaria durante l’affitto, nonché dei beni immateriali prodotti dall’affittuaria nell’interesse dell’azienda”, con espresso richiamo a “quanto previsto nell’art. 15 del contratto di affitto per gli eventuali conguagli a credito e a debito”.

3.2. Sennonché, dopo aver dato ampiamente atto di tali decisive circostanze, il tribunale ha osservato che “nel caso in esame, tuttavia,… manca la prova della preventiva autorizzazione di tali addizioni da parte della concedente l’affitto”, peraltro aggiungendo con affievolimento della precedente negazione dell’an della pretesa, forse perché consapevole della debolezza dell’argomentazione addotta a suo sostegno – che, pur a voler ritenere autorizzati miglioramenti ed addizioni, non v’era possibilità di accertarne la consistenza e il valore.

3.3. Orbene, un simile percorso motivazionale trascura il doveroso accertamento del significato da attribuire, secondo il senso proprio delle parole adoperate e tenuto conto della comune volontà delle parti, alle pattuizioni sopra riportate al punto 3.1., specie muovendo dalla premessa dello stesso giudicante, che ha ritenuto documentalmente provate le “modifiche quantitative o qualitative dell’azienda attribuibili all’affittuaria”.

3.4 In particolare, il giudice del merito ha totalmente omesso di tener conto della clausola dell’accordo risolutivo con la quale *****, dopo aver dato atto dell’attività di sviluppo e realizzazione di nuovi modelli svolta da *****, e richiamato espressamente l’art. 15 del contratto, si assumeva l’impegno di determinare i valori e i conguagli con separato atto, onde verificare (sulla scorta dei canoni ermeneutici di cui si è detto) se da essa si dovesse desumere che l’attività migliorativa svolta da ***** era stata previamente autorizzata o se, in alternativa, la stessa integrasse una nuova pattuizione con la quale ***** si obbligava a remunerare le addizioni e le migliorie apportate dall’affittuaria all’azienda anche in deroga all’art. 15.

4. Anche il terzo motivo è fondato.

4.1. Il tribunale ha infatti ritenuto “insufficiente” la documentazione contabile prodotta dall’opponente (inventario iniziale, registri dei cespiti ammortizzabili e fatture) in ragione dell’erroneo richiamo al principio dell’inapplicabilità dell’art. 2710 c.c., nei confronti della curatela fallimentare, nella specie non pertinente, atteso che detta documentazione era volta non già a provare l’ammontare del credito bensì a supportarne la quantificazione attraverso la richiesta ctu ed ha perciò impropriamente attribuito natura esplorativa a tale mezzo di indagine.

4.2 Il giudice del merito, inoltre, non ha chiarito perché, pur in assenza (peraltro addebitabile all’inadempimento di *****) di un inventario finale, la consulenza dovesse necessariamente essere effettuata “sulla carta”, essendo precluso al ctu di visionare e ispezionare fisicamente i beni mobili aziendali: invero, una simile affermazione avrebbe potuto ritenersi giustificata solo in caso di accertamento della mancata acquisizione dell’azienda o dei beni inerenti le addizioni e le migliorie eseguite da ***** (nonché della loro stima) da parte del curatore del Fallimento *****, ma non certo dal mero rilievo del successivo affitto a terzi dell’azienda e dell’intervenuto fallimento.

4.3 Non rileva, infine, che la ricorrente abbia dedotto in rubrica un vizio di “omessa, illogica e contraddittoria motivazione”, occorrendo tener conto che l’anomalia motivazionale ancora denunciabile in sede di legittimità è anche quella che si traduce in una motivazione apparente, perplessa o caratterizzata da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass. Sez. U., 8053/2014).

6. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio della causa al Tribunale di Siena in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Siena, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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