Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25067 del 16/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20120/2017 proposto da:

Giben Tech S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Sebastiano Veniero n. 30, presso lo studio dell’avvocato Petri Martina, rappresentata e difesa dagli avvocati Borghesi Domenico, Malipiero Alessandro, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.V.J., G.E.J., S.S.J., Ga.Si.Sa., elettivamente domiciliati in Roma, Piazzale Porta Pia n. 116, presso lo studio dell’avvocato Faranda Titti, rappresentati e difesi dall’avvocato Alicicco Daniele Carlo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1080/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 11/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

FATTI DI CAUSA

1. – Giben Tech S.r.l. ricorre per due mezzi, nei confronti di G.E.J., S.S.J., Ga.Si.Sa. e P.V.J., contro la sentenza dell’11 maggio 2017 con cui la Corte d’appello di Bologna ha respinto la sua opposizione avverso il decreto che ha riconosciuto esecutiva in Italia la sentenza numero 158 del 2014, con l’atto numero 863 del 2014, del Tribunale di Barcellona, recante condanna della società al pagamento di somme dovuto in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

2. – G.E.J., S.S.J., G.S.S. e P.V.J. resistono con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. – Il ricorso contiene due motivi.

3.1. – Il primo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 3 Cost. e art. 24 Cost., comma 2, art. 6 della CEDU e artt. 34 e 45 del Regolamento CE numero 44 del 2001.

Evidenzia la società ricorrente di essere stata costretta a subire la sentenza, di primo grado, pronunciata dal Tribunale di Barcellona, senza aver potuto proporre impugnazione al Tribuna Superior, e conseguentemente ricorso per cassazione al Tribuna Supremo, a causa dell’art. 230, Consignacion de cantidad, della Ley 36/2011, de 10 de octubre, reguladora de la jurisdiccion social (LJS), il quale subordina la proposizione dell’impugnazione al deposito della somma portata dalla condanna in primo grado, ovvero di una fideiussione a prima richiesta per il medesimo importo.

Si sostiene, in proposito, che detta previsione sarebbe lesiva del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, e del principio di “parità delle armi”, giacché finirebbe per discriminare le società che, versando in difficile situazione economica, non possono permettersi di pagare somme considerevoli o non possono farlo con la necessaria celerità, nulla rilevando, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, che l’impedimento denunciato non attenga al giudizio conclusosi con la sentenza oggetto di riconoscimento, bensì ad una successiva fase di impugnazione non esperita.

3.2. – Il secondo mezzo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, nonché degli artt. 34 e 45 del Regolamento CE numero 44 del 2001.

La censura si ricollega alla precedente e pone in particolare l’accento sul rilievo che la previsione dettata dalla disposizione già richiamata preclude, con l’appello, anche il ricorso per cassazione, al quale il citato art. 111, dà copertura costituzionale.

4. – Il ricorso va respinto.

I due motivi, che per il loro evidente collegamento possono essere simultaneamente trattati, sono manifestamente infondati: il perché lo si vedrà al p. 4.5..

4.1. – L’art. 230 della Ley 36/2011, de 10 de octubre, reguladora de la jurisdiccion soda, stabilisce al comma 1, che assume rilievo in questa sede, sotto la rubrica Consignacion de cantidad, che: “Cuando la sentencia impugnada hubiere condenado al pago de cantidad, sere’ indispensable que el recurrente que no gozare del derecho de asistencia juridica gratuita acredite, al anunciar el recurso de suplicacion o al preparar el recurso de casacion, haber consignado en la oportuna entidad de credito y en la cuenta de depositos y consignaciones abierta a nombre del organo jurisdiccional, la cantidad objeto de la condena, pudiendo sustituirse la consignacion en metelico por el aseguramiento mediante aval solidario de duracion indefinida y pagadero a primer requerimiento emitido por entidad de credito”.

Gli effetti dell’inosservanza di tale previsione sono indicati al comma 4 della disposizione: “Si el recurrente no hubiere efectuado la consignacion o aseguramiento de la cantidad objeto de condena en la forma prevenida en los apartados anteriores, incluidas las especialidades en materia de Seguridad Social, el juzgado o la Sala tendran por no anunciado o por no preparado el recurso de suplicacion o de casacion, segun proceda, y declararan la firmeza de la resolucion mediante auto contra el que podrà recurrirse en queja ante la Sala que hubiera debido conocer del recurso”.

4.2. – L’art. 34 del Regolamento numero 44/2001 stabilisce che non possono essere riconosciute le decisioni “se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto”.

Ora, il tema dell’osservanza dell’ordine pubblico, in particolare processuale, si pone, in generale, nei termini che seguono.

E’ stato già affermato, in riferimento all’art. 27, n. 1 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, la quale stabiliva che le decisioni non sono riconosciute “se il riconoscimento è contrario all’ordine pubblico dello Stato richiesto”, ponendo cioè il medesimo limite previsto dall’art. 34, n. 1 del Regolamento (CE) 44/2001, applicabile nel nostro caso ratione temporis, che, in tema di riconoscimento di sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie, e ciò in ragione delle statuizioni della Corte di giustizia le cui pronunce costituiscono l’interpretazione autentica del diritto dell’Unione Europea e sono vincolanti per il giudice a quo: ne consegue che anche il diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta ma può soggiacere, entro certi limiti, a restrizioni (Cass. 9 maggio 2013, n. 11021).

La pronuncia si pone sulla scia di Corte di giustizia 2 aprile 2009, causa C-394/2007) secondo la quale il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo. Ne consegue che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo, ponendosi in contrasto con l’ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio (Cass. 3 settembre 2015, n. 17519).

Questo in generale il tema dell’ordine pubblico processuale quale limite al riconoscimento delle sentenze straniere: tema in generale che infine si vedrà non essere stato richiamato dal ricorrente a proposito.

4.3. – Il congegno della Consignacion de cantidad è stato più volte sottoposto, in Spagna, a controllo di costituzionalità.

Tra le altre, la sentenza n. 166/2016, del 6 ottobre 2016, del Tribunal Constitucional (come pure la successiva n. 173/2016, del 17 ottobre 2016), pronunciata su ricorso di una società calcistica condannata in primo grado a pagare la somma di Euro 1.594.729,50, a seguito di taluni licenziamenti illegittimi, somma che essa società non sarebbe stata in grado di versare a causa di proprie difficoltà economiche, ed il cui pagamento neppure sarebbe stata in grado di garantire a mezzo di fideiussione, ha ribadito la piena costituzionalità del citato art. 230, evidenziando in particolare:

-) da un lato, il recepimento in sede normativa, attraverso la previsione della fideiussione, dell’esigenza di elasticità, nell’applicazione del congegno, già segnalata da proprie precedenti sentenze;

-) dall’altro lato, la finalità della norma, diretta a favorire l’esecuzione immediata della sentenza, una volta divenuta definitiva, senza che il successivo dipanarsi del processo possa dar luogo ad un eccessivo allungamento dei tempi di soddisfazione del diritto del creditore-lavoratore.

Emerge dunque con evidenza dalla giurisprudenza costituzionale spagnola che la norma in questione trova la sua specifica ratio in un’esigenza di eguaglianza sostanziale (v. dell’art. 9 Cost., comma 2, spagnola: “Corresponde a los poderes publicos promover las condiciones para que la libertad y la igualdad del individuo y de los grupos en que se integra sean reales y efectivas; remover los obstaculos que impidan o dificulten su plenitud y facilitar la participaciun de todos los ciudadanos en la vida politica, econumica, cultural y social”), e cioè costituisce manifestazione del bilanciamento tra il diritto di difesa costituzionalmente garantito (anche nella Costituzione spagnola all’art. 24) ed il diritto del lavoratore a realizzare il proprio credito, nell’ottica del “sistema legale, costituzionalmente giustificabile, secondo la nostra dottrina, come mezzo per compensare l’originaria disuguaglianza tra lavoratore e datore di lavoro” (Tribunal Constitucional, sentenza n. 64/2000, del 13 marzo 2000).

Va da sé che l’assunto della ricorrente, secondo cui il primo motivo avrebbe fondamento anzitutto nell’art. 3 della nostra Cost., non è condivisibile, giacché è proprio in funzione dell’eguaglianza sostanziale che la norma in discorso si giustifica: sicché la tesi qui sostenuta possiede la medesima fondatezza di quella che volesse denunciare, tanto per fare un esempio, l’incostituzionalità dell’art. 429 c.p.c., comma 3, per violazione del principio di uguaglianza, per il fatto che la rivalutazione automatica è riconosciuta ai soli crediti del lavoratore e non a quelli del datore (v. tra le tante la sentenza n. 13 del 1977 della Corte costituzionale).

4.4. – Per il resto, è cosa nota che l’appello civile non abbia copertura costituzionale (Corte Cost. 22 giugno 1963, n. 110; Corte Cost. 23 aprile 1965, n. 36; Corte Cost. 4 luglio 1977, n. 125; Corte Cost. 15 aprile 1981, n. 62; Corte Cost. 21 luglio 1983, n. 224; Corte Cost. 7 marzo 1984, n. 52; Corte Cost. 29 marzo 1984, n. 78; Corte Cost. 22 novembre 1985, n. 299; Corte Cost. 18 luglio 1986, n. 200; Corte Cost. 31 dicembre 1986, n. 301; Corte Cost. 26 gennaio 1988, n. 80; Corte Cost. 31 marzo 1988, n. 395; Corte Cost. 14 dicembre 1989, n. 543; Corte Cost. 3 ottobre 1990, n. 433; Corte Cost. 23 dicembre 1994, n. 438).

E nello stesso senso depone la Cedu, giacché nell’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è proclamato il diritto all’appello nel processo penale, non in quello civile.

Per di più, i diritti di cui agli artt. 6 e 13 della Cedu e gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE non sono assoluti e possono essere limitati in relazione a situazioni specifiche. Nel valutare la legittimità di una limitazione, la Corte EDU tiene in considerazione l’importanza dell’accesso alla giustizia quale principio democratico (Corte EDU, Kijewska c. Polonia, n. 73002/01, 6 settembre 2007, punto 46), sicché per essere legittima, una restrizione deve avere uno scopo legittimo, assicurare che l’essenza stessa del diritto non sia lesa ed essere proporzionata.

Orbene, costituiscono senz’altro esplicazioni di uno “scopo legittimo” le restrizioni volte a garantire la corretta amministrazione della giustizia (Corte EDU, Harrison Mckee c. Ungheria, n. 22840/07, 3 giugno 2014). Quanto alla proporzionalità, occorre verificare l’equilibrio tra gli scopi legittimi dello Stato e le misure che quest’ultimo utilizza per raggiungere tali obiettivi. Ad esempio, in materia di spese processuali, è stato detto che esse possono contribuire ad un’amministrazione efficiente della giustizia (scoraggiando l’uso improprio delle controversie legali), ma possono anche limitare l’accesso alla giustizia se eccessive, tali da impedire ai contendenti di intentare un’azione civile, nel qual caso possono costituire una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Cedu (Corte EDU, Kreuz c. Polonia, n. 28249/95, 19 giugno 2001, punti 61-67; Corte EDU, Perdigao c. Portogallo, n. 24768/06, 16 novembre 2010, punto 74). Insomma, gli oneri economici connessi alla difesa in giudizio non devono essere eccessivi e tali da indurre l’interessato a deflettere dall’agire e difendersi in sede giudiziale Questo essendo il quadro, così come non contrasterebbe con l’ordine pubblico processuale la radicale esclusione dell’impugnazione in appello, priva di copertura costituzionale, a maggior ragione non contrasta con l’ordine pubblico processuale la subordinazione della proposizione dell’appello al versamento della somma in discorso: la qual cosa va affermata non solo in ossequio ad un criterio logico, quale quello riassunto nell’argumentum a fortiori, ma altresì in considerazione, nuovamente, delle concrete finalità del versamento, diretto non già ad ostacolare, per fini meramente deflattivi, l’esercizio dell’impugnazione, bensì ad uno “scopo legittimo”, e cioè ad assicurare l’efficienza del processo, dal quale non è certo irragionevole attendersi che, ove debba prolungarsi per la fase di impugnazione, sia però idoneo a garantire alla parte che ha ragione, in caso di rigetto di essa, l’immediata realizzazione del proprio diritto, massime in un settore quale quello dei crediti di lavoro, così da non rendere eccessivo l’arco temporale necessario alla realizzazione del diritto.

D’altro canto, non è neppure seriamente dubitabile la sussistenza del requisito della proporzionalità, sol che si consideri che la norma esaminata non trova applicazione per chi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, e che l’ammissibilità dell’appello è garantita anche dalla costituzione, ovviamente assai meno onerosa, di una fideiussione.

Ovvio, poi, che la riconosciuta assenza di contrasto con l’ordine pubblico processuale della consignacion de cantidad, fa cadere in radice la doglianza concernente le preclusione del ricorso per cassazione.

4.5. – Deve essere però chiaro, come si premetteva, che quanto finora detto non ha in effetti nulla a che vedere con la reale sostanza dell’impugnazione proposta.

E cioè, il ricorso, al di là delle considerazioni svolte finora in diritto in tema di ordine pubblico processuale, costituisce palese abuso del processo, diretto a nient’altro che a procrastinarne la durata, per l’ovvia considerazione che non emerge dal ricorso il benché minimo indizio di una situazione economica della società tale da impedirle realmente di costituire almeno la fideiussione, e di farlo nei tempi previsti, così da accedere all’impugnazione in appello.

Il che porta a condannare la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma pari all’importo liquidato per spese di lite, ex art. 96 c.p.c., comma 3.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, nonché della ulteriore somma di Euro 7.200,00 ex art. 96 c.p.c., comma 3, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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