LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12834/2015 R.G. proposto da:
A.B., rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Iacono Quarantino, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, n. 288;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore;
– intimata –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 21, n. 6803/21/14, pronunciata il 21/10/2014, depositata il 13/11/2014;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 13 luglio 2021 dal Consigliere Guida Riccardo.
RILEVATO
che:
1. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio ha accolto, con la sentenza menzionata in epigrafe, l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro A.B., esercente l’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Viterbo che aveva accolto l’opposizione del contribuente agli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione, ai fini Irpef e Irap, per i periodi d’imposta 2006 e 2007, maggiori redditi sulla base dello scostamento tra i ricavi dichiarati (in misura di Euro 93.116,00, e di Euro 41.066,00) e quelli risultanti dall’applicazione dell’apposito studio di settore;
2. la C.T.R., dato atto che il contribuente non aveva partecipato al contraddittorio procedimentale, ha giudicato gli accertamenti conformi alla disciplina degli studi di settore e, aderendo alla prospettiva del fisco, ha negato la rilevanza degli argomenti difensivi sviluppati dal contribuente in giudizio, quali la crisi del settore, la consistenza delle vendite a saldo; inoltre, ha ritenuto inattendibili le perdite di esercizio dichiarate per il biennio in discorso, anche perché, secondo i dati contabili, appariva che i due dipendenti avessero guadagnato più del titolare della ditta;
3. il contribuente ha proposto ricorso, con cinque motivi (il motivo sub “I” reca tre censure: “I.1), I.2), I.3)”), per la cassazione della decisione di appello; l’Agenzia delle entrate ha depositato mero “atto di costituzione”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, u.p..
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso (“I. Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – I.1) Violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, in combinato disposto con la L. n. 212 del 2000, art. 7, con il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 38 e art. 39, comma 1, lett. d), e con il D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 54 e 56”), si censura la sentenza impugnata per avere giudicato legittimo l’accertamento fondato sugli studi di settore, in mancanza di elementi concreti idonei a confutare le deduzioni del contribuente “in sede di contraddittorio”, senza considerare che l’Agenzia si era limitata ad evidenziare le discordanze tra ricavi dichiarati e ricavi presunti e che gli avvisi erano privi di motivazione in punto di esistenza di “gravi incongruenze” tra ricavi dichiarati e ricavi determinabili con gli studi di settore;
2. con il secondo motivo (“I. Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – I.2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere reputato legittimi gli avvisi benché non motivati e, quindi, per avere ritenuto sufficiente un accertamento fondato su presunzioni semplici, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, in tal modo trasferendo alla parte privata l’onere della prova che, invece, spetta all’ufficio;
3. con il terzo motivo (“I. Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – I.3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per l’omessa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel giudizio di merito;
4. con il quarto motivo (“II. Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla omessa considerazione delle vicende personali del ricorrente incidenti sulla sua capacità lavorativa e reddituale per gli anni di imposta 2006 e 2007”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere tenuto in considerazione (vedi pag. 20 del ricorso) “la situazione particolare e di anormalità in cui (egli) ha operato negli anni contestati (2006-2007) (…) e, non da ultimo, la malattia che aveva colpito la moglie del ricorrente nell’anno 2004 e ne aveva determinato il decesso alla fine dell’anno 2006 (…) con conseguenti gravi ripercussioni sul piano personale e lavorativo dello stesso contribuente”;
5. con il quinto motivo (“III. Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Nullità della sentenza impugnata per contrasto tra la motivazione e il dispositivo con riferimento alla statuizione relativa alle spese di lite”), si denuncia l’insanabile contrasto tra la motivazione della sentenza, nella quale si propende per la compensazione delle spese di lite, ed il suo dispositivo, che invece reca la condanna del contribuente al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito;
6. i primi quattro motivi, suscettibili di esame congiunto poiché sollevano analoghe questioni di diritto, non sono fondati;
e’ ius receptum che, in tema di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, la relativa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standard” in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, il quale ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del proprio convincimento (Cass. 31/05/2018, n. 13908; 20/09/2017, n. 21754; 7/06/2017, n. 14091). La motivazione dell’atto di accertamento, dunque, non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate (Cass. 12/04/2017, n. 9484). Quel che dà sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri (o analogamente in base agli studi di settore), infatti, è il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e, conseguentemente, la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Cass. Sez. U., 18/12/2009, n. 26635);
7. Cass. 15/07/2020, n. 14981, è tornata ad occuparsi del tema del decidere ed ha affermato che “Nell’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore assume rilievo centrale l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli “standard” alla concreta realtà economica del contribuente; l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità delle elaborazioni statistiche al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone delle più ampie facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa: in tal caso, però, egli assume le conseguenze della propria inerzia, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standard”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.”;
8. svolte queste premesse sul piano dei principi di diritto che regolano la materia, tornando all’esame dei primi quattro motivi, rileva la Corte che il giudice d’appello dà conto che, in fase amministrativa, il contribuente, benché regolarmente invitato, non ha partecipato al contraddittorio; dopodiché, alla stregua di una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità, la Commissione regionale dichiara di non ritenere persuasive le giustificazioni addotte dall’imprenditore, nel corso del giudizio, a sostegno dello scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello presunto, compresa quindi (sia pure implicitamente) la malattia e la morte della moglie del contribuente e, al contrario, di condividere gli elementi di segno opposto (sopra sintetizzati) allegati dall’ufficio al fine di corroborare le pretese fiscali;
9. sotto un altro profilo, i rilievi critici in esame sarebbero inammissibili ove dovessero essere interpretati come una richiesta, rivolta a questa Corte di legittimità, di rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito. E’ ovvio, infatti, che, con la proposizione del ricorso per cassazione, non si può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355);
10. da ultimo è stato chiarito (in tal senso Cass. Sez. L., 03/11/2020, n. 24395) che a diverse conclusioni non è dato pervenire nemmeno configurando il supposto vizio di apprezzamento delle risultanze probatorie come violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., poiché questa Corte (Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016) ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione di questi due articoli non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali;
11. il quinto motivo è infondato;
va data continuità all’indirizzo della Corte (Cass. 16/10/2019, n. 26236; 26/09/2017, n. 22433; 10/09/2015, n. 17910) per il quale il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della sentenza si verifica solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale. A ciò si aggiunga la notazione che la consequenzialità della statuizione sulle spese legali rispetto a quella principale cui accede impone, in ragione del rispetto dei principi che informano il giusto processo, connotato da celerità e ragionevole durata, di individuare nella sede processuale della correzione materiale, quella idonea a ristabilire il nesso di sequenza tra la decisione sulla prestazione richiesta – modificata in sede di correzione di errore materiale – e la determinazione delle spese processuali;
12. nel caso in esame non vi è alcuna incertezza sul contenuto essenziale del decisum in punto di spese del giudizio giacché, in parte motiva, la C.T.R. afferma testualmente (nella quarta pagina della decisione) che “sussistono giusti motivi per compensare tra le parti (le spese di giudizio), in considerazione della complessità della materia”, e tuttavia il dispositivo, a causa di un palese errore materiale, reca la condanna del contribuente al pagamento delle spese dei gradi di merito;
13. nulla occorre disporre sulle spese del giudizio di legittimità nel quale l’Agenzia non ha svolto attività difensiva.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021