Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25187 del 17/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27049/2016 proposto da:

SE.RI SPA, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE AMMINISTRATORE UNICO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL POZZETTO, 122, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CARBONE, rappresentata e difesa dall’avvocato UMBERTO GENTILE;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO INTERDIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO DELL’ARCIDIOCESI DI SIENA, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato ASSOCIATI SRL STUDIO GREZ, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA LAURA CARACENI;

L’ARCIDIOCESI DI SIENA COLLE DI VAL D’ELSA MONTALCINO, IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TREMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO DE MARTINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 602/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 15/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/03/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

FATTI DI CAUSA

L’Arcidiocesi di Siena, Colle Val d’Elsa e Montalcino, unitamente all’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero dell’Arcidiocesi di Siena, Colle Val d’Elsa, Montalcino ed Abbazia territoriale di *****, avviò giudizio arbitrale nei riguardi della spa SE.RI. avvalendosi della clausola arbitrale portata nel compromesso, mediante il quale gli Enti ecclesiastici s’erano impegnati a vendere e la società campana impegnata ad acquistare la quota del diritto di proprietà, pari al 50%, afferente a complesso immobiliare sito nel territorio dei Comuni di *****.

Deducevano gli Enti ecclesiastici che la spa SE.RI. s’era resa inadempiente all’obbligo d’acquistare assunto, non volendo più procedere alla stipula del contratto definitivo di compera vendita, sicché chiedevano che gli Arbitri accertassero l’inadempimento e riconoscessero il loro diritto a trattenere la somma versata dalla SE.RI. spa a titolo di caparra confirmatoria ed ottenere il ristoro dei danni patiti.

Resistette la società promissaria acquirente, sostenendo che il suo rifiuto a stipulare il definitivo era legittimo poiché il complesso immobiliare, promesso in vendita, risultava affetto da abusi edilizi, urbanistici, ambientali ed idrogeologici, quindi era incommerciabile.

Ad esito del procedimento, gli Arbitri emisero lodo che accoglieva le domande degli Enti ecclesiastici e la spa SE.RI. propose impugnazione per nullità nanti la Corte d’Appello di Firenze.

Ad esito della trattazione il Collegio gigliato rigettò l’impugnazione per nullità, osservando come i Giudici privati, non già, ebbero a violare norme di ordine pubblico, bensì si mantennero sempre nell’alveo della contesa tra privati senza risolvere questioni di natura amministrativa.

La spa SE.RI. ha impugnato per cassazione la sentenza resa dalla Corte fiorentina, articolando nove motivi e depositando anche nota difensiva.

Hanno resistito con separati controricorsi e l’Arcidiocesi di Siena e l’Istituto Sostentamento Clero, pure depositando note difensive.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalla spa SE.RI. risulta privo di fondamento e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione sviluppato, la società ricorrente denunzia violazione delle regole di diritto portate nell’art. 112 c.p.c. e art. 1362 c.c., in quanto il Collegio toscano ha ritenuto che la contestazione mossa afferisse bensì alla violazione di norme d’ordine pubblico – quali sono quelle in tema di urbanistica e disciplina edilizia – ma sub specie della loro incidenza nella valutazione del rapporto tra privati, mentre in effetti erano state violate direttamente dette norme poiché ritenuto commerciabile compendio immobiliare che non poteva esserlo per la presenza di abusi edilizi, urbanistici ed irregolarità igienico-sanitarie.

Con la seconda ragione di doglianza la spa SE.RI. denuncia violazione di regole di diritto aventi natura di norme di ordine pubblico, in particolare la L. n. 47 del 1985, art. 40,L. n. 10 del 1977, art. 15,L. n. 1150 del 1942, art. 31, R.D. n. 1497 del 1939, art. 7, R.D. n. 3267 del 1923, artt. 7 e 24, T.U. n. 380 del 2001, art. 24 e R.D. n. 1265 del 1934, art. 221 ed art. 9 Cost., in quanto la Corte fiorentina non ha ritenuto violate le citate norme, aventi natura di ordine pubblico interno, confermando la statuizione arbitrale di suo inadempimento al contratto preliminare, che non poteva esser rispettato poiché i beni compravenduti incommerciabili in ragione della violazione delle norme dianzi citate.

Con il terzo mezzo d’impugnazione la società ricorrente deduce violazione di norme giuridiche portate nella L. n. 40 del 1985, art. 40 ed R.D. n. 3267 del 1923, artt. 7 e 24, poiché la Corte territoriale ha ritenuto corretta la statuizione arbitrale che, a sua volta, ha reputato superabile l’assenza dell’autorizzazione ad erigere costruzioni su terreno sottoposto a vincolo idrogeologico poiché, da un lato, irregolarità sanabile ex L.R. n. 39 del 2000 e, dall’altro, ritenendo non necessaria in relazione al tempo di costruzione del complesso oggetto di preliminare, il rilascio del preventivo nulla osta idrogeologico, in quanto la costruzione di opere senza il preventivo nulla osta risulta sanzionata solo con la citata Legge Regionale.

Rileva la società ricorrente come invece l’assenza dell’autorizzazione di svincolo idrogeologico impediva la stessa edificazione già in forza della normativa portata dal rd 3267/1923, che prevede addirittura l’ordine di riduzione in pristino da parte della Pubblica Amministrazione.

Con il quarto mezzo d’impugnazione la SE.RI. spa rileva violazione delle regole di diritto portate nell’art. 829 c.p.c., comma 4 e art. 830 c.p.c., poiché il Collegio distrettuale ha ritenuto corretta l’argomentazione svolta dal Collegio arbitrale per superare la pregiudiziale afferente l’incidenza del vincolo idrogeologico, posto che la questione non rientrava tra le materie del compromesso.

Con la quinta ragione di doglianza la società ricorrente deduce violazione di norme giuridiche in tema di disciplina urbanistica ed edilizia, aventi natura di nome di ordine pubblico, posto che la Corte gigliata non ha rilevato come gli Arbitri ebbero a violare detta disciplina vincolistica, ritenendo irrilevanti i plurimi abusi edilizi ed urbanistici palesati dal compendio immobiliare oggetto di compromesso, specie l’assenza di autorizzazione paesaggistica con riguardo all’ampliamento realizzato dopo l’apposizione del vincolo ex Lege n. 1497 del 1939.

I primi cinque motivi di doglianza possono esser esaminati congiuntamente posto che, anche se da profili diversi, attingono sempre la medesima questione, ossia il lodo arbitrale, benché la convenzione d’arbitrato non consentiva impugnazione per violazione delle regole di diritto afferenti il merito della controversia, era contrario a norme d’ordine pubblico in quanto aveva ritenuto commerciabile compendio immobiliare che, per gli abusi edilizi ed irregolarità urbanistiche, ambientali ed idrogeologiche palesate, non lo era e di conseguenza correttamente essa società aveva rifiutato la stipula del contratto definitivo di acquisto.

Tutti detti motivi sono privi di fondamento per plurime concorrenti ragioni.

In primo luogo deve esser rilevato come sia insegnamento di questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n. 21850/20 – che il concetto di ordine pubblico, cui opera riferimento la norma ex art. 829 c.p.c., sia da individuare nelle norme inderogabili, a fondamento dei più importanti istituti dell’ordinamento, e non già con relazione ad ogni norma imperativa.

Quindi, se indubbiamente la disciplina urbanistico-edilizia e di governo e tutela del territorio rientra nel concetto di ordine pubblico, stante la rilevanza, anche costituzionale – art. 9 -, della finalità da detta disciplina perseguita, tuttavia detto carattere va escluso in relazione alle norme che non si pongano siccome inderogabili, ossia la cui violazione non possa, concorrendo determinate condizioni appositamente previste dalla relativa normativa, esser superata in via ordinaria mediante procedura di sanatoria o regolarizzazione.

E, nella specie, il Collegio arbitrale – per come è dato arguire dallo stesso ragionamento critico esposto nel ricorso – ha puntualmente dato atto che le rilevate irregolarità in ordine alla disciplina edilizia, urbanistica, idrogeologica ed ambientale potevano in via ordinaria esser risolte mediante il ben possibile – secondo la disciplina normativa vigente – rilascio di autorizzazioni in sanatoria.

In secondo luogo l’argomentazione esposta dalla Corte fiorentina per superare i motivi d’impugnazione per nullità, correlati ai motivi di ricorso in cassazione ora esaminati, appare conforme all’insegnamento di questo Supremo Collegio in tema – Cass. sez. un. n. 14219/02 -.

Difatti se in una controversia tra privati, attinente a diritti soggettivi – situazione senza dubbio oggetto del procedimento arbitrale di causa – il Giudice deve vagliare anche aspetti di pubblico interesse, la questione afferente i confini del potere giurisdizionale dello stesso, è questione che attiene al giudizio di merito, poiché il Giudice statuisce incidenter tantum.

Correttamente, dunque, la Corte fiorentina ha osservato come, bensì gli Arbitri hanno anche esaminato le questioni afferenti gli abusi edilizi e le irregolarità urbanistiche, ambientali ed idrogeologiche, ma esclusivamente per individuare l’esistenza o non del dedotto inadempimento contrattuale senza adottare una disposizione contraria all’ordine pubblico, siccome previsto nella norma assunta siccome violata.

Difatti l’esame delle questioni collegate a detti abusi ed irregolarità appare correlata alla contestazione della motivazione esposta nel lodo per ritenere sanabili e non già legittime – disposizione contraria all’ordine pubblico – dette situazioni in forza delle emergenze probatorie acquisite in atti e della stessa disciplina normativa a regolamentazione della rispettiva materia – come desumibile dalla stessa argomentazione critica esposta nel ricorso per cassazione -, sicché non risultavano più d’ostacolo alla commerciabilità del bene immobile oggetto di compromesso.

Da ultimo, deve questo Collegio notare come l’argomentazione critica svolta in tutti i motivi esaminati non tanto si correla con la motivazione al riguardo illustrata dalla Corte d’Appello toscana, bensì con la motivazione resa dagli Arbitri a sostegno della loro decisione, sicché le censure mosse appaiono al limite dell’ammissibilità poiché non si confrontano, in effetti, con le statuizioni adottate nella sentenza oggetto d’impugnazione avanti questa Suprema Corte.

Con la sesta doglianza la spa SE.RI. rileva violazione della norma giuridica ex art. 1366 c.c., poiché la Corte distrettuale non ha rilevato che gli Arbitri non ebbero ad operare valutazione della volontà contrattuale, palesata dal complesso delle pattuizioni portate nel contratto preliminare, secondo il canone della buona fede, limitandosi i Giudici privati ad esaminare solo il primo articolo della citata convenzione.

L’argomentazione critica sviluppata a sostegno del vizio di legittimità dedotto, da un lato, si compendia nell’elaborazione di opzione esegetica della volontà sottesa al contratto preliminare alternativa a quella ritenuta dal Collegio arbitrale e, dall’altro, si limita a dedurre che la Corte d’Appello doveva ritenere viziata la ricostruzione operata dagli Arbitri poiché contraria alle tesi difensive esposte dalla società impugnante.

Palese risulta l’inammissibilità di detto mezzo d’impugnazione poiché, in effetti, si compendia nella critica di statuizioni di merito, per giunta adottate dagli arbitri e, non già, dalla Corte fiorentina.

Con il settimo mezzo d’impugnazione la spa SE.RI. denunzia la violazione del principio del contraddittorio ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 9, poiché il Collegio toscano non ha rilevato che gli Arbitri ebbero a liquidare il danno, riconosciuto in favore degli Enti ecclesiastici, bensì in via equitativa ma utilizzando documenti tardivamente dimessi in causa.

Con l’ottava ragione di doglianza la società ricorrente deduce nuovamente violazione del contraddittorio sulla scorta delle medesime norme dianzi evocate, poiché la Corte gigliata ha errato nell’apprezzare la sua contestazione afferente la liquidazione del danno poiché sempre fondata sull’assenza di prova della sua esistenza, una volta ritenuta tardiva la produzione documentale ricordata nel motivo precedente.

Le due censure, in quanto connesse possono esser trattate congiuntamente, e sono prive di fondamento giuridico poiché nell’argomento critico svolto la società ricorrente non opera, in effetti, confronto con la motivazione resa dalla Corte toscana sul punto.

Difatti il Collegio fiorentino ha puntualmente esaminato la questione afferente la deduzione di tardività del deposito documentale, operato dagli Enti ecclesiastici a comprova del danno sofferto, nell’ambito del procedimento arbitrale – punto XI delle censure d’impugnazione per nullità – e messo in risalto una pluralità di ragioni di infondatezza.

Anzitutto, la spa SE.RI., ha osservato la Corte territoriale, ha dedotto di aver tempestivamente eccepito la novità del deposito documentale ma non ha provato tale sua asserzione, sicché s’era consumata la decadenza ex art. 829 c.p.c., comma 2.

Quindi il Collegio fiorentino ha osservato come gli Arbitri, dopo la pronunzia del lordo parziale, ebbero a disporre espressamente la riapertura della fase istruttoria proprio ai fini di acquisizione documentale.

Inoltre la Corte territoriale ha precisato che parte impugnante nemmeno aveva identificato con precisione quali documenti furono depositati, a suo dire, tardivamente.

Tali argomentazioni fondanti la statuizione assunta dalla Corte toscana non risultano specificatamente attinte da censura, limitandosi come visto la società impugnante a denunziare bensì violazione del contraddittorio, ma omettendo di confrontarsi con la citata motivazione.

Risultando corretta la soluzione adottata dalla Corte toscana in ordine al motivo di nullità sub n. XI, per la stessa argomentazione critica esposta dalla spa SE.RI. – i Giudici dell’impugnazione hanno equivocato sulla portata del duodecimo motivo di censura poiché ” rappresenta una mera conseguenza del motivo XI” risulta privo di fondamento l’ottavo mezzo d’impugnazione portato nel ricorso per cassazione.

Con il nono ed ultimo motivo d’impugnazione la spa SE.RI. lamenta violazione del disposto ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 11, poiché il Collegio territoriale ha errato nel confermare anche la liquidazione del danno riconosciuto in favore degli Enti ecclesiastici in quanto, pur rilevando che la consulenza tecnica ha accertato l’esistenza di volumi non cedibili, tuttavia non ha detratto il loro valore dal prezzo di contratto, così formulando parti di motivazione in contraddizione tra di loro e conseguente contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione.

La censura s’appalesa priva di pregio posto che la Corte fiorentina ha puntualmente apprezzato la questione, oggi riproposta dalla SE.RI. spa, e rilevato come l’eventuale errore commesso dal Collegio arbitrale incideva sul merito della decisione e configurava, al più, anomalia motivazionale e non comportava il configurarsi di un vizio di nullità per contraddittorietà tra le “disposizioni” del lodo.

Anche con relazione a detta censura parte ricorrente non si confronta con la puntuale argomentazione esposta dalla Corte fiorentina, limitandosi ad apoditticamente asserire che è errata.

Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna della SE.RI. spa alla rifusione, in favore di ciascuna parte resistente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate per ciascuna parte in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense, siccome liquidato in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dai parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la spa SE.RI. a rifondere alle parti resistenti le spese di questo giudizio di legittimità che liquida, per ciascuna parte, in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2021

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