LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18688-2019 proposto da:
T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, alla via ACQUA DONZELLA, n. 27, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.G., M.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3007/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’08/05/2018;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2020, dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano Valle.
osserva quanto segue:
FATTO E DIRITTO
L’avvocato T.G., unitamente all’avvocato M.G., venne convenuta in giudizio da S.G., per responsabilità professionale.
Il Tribunale di Roma rigettò la domanda nei confronti di entrambi i professionisti legali.
La Corte di Appello di Roma adita dal S.G. ha accolto l’impugnazione e condannato l’avvocato T.G. al pagamento di poco più di undicimila Euro oltre interessi, e confermato il rigetto della domanda proposta nei confronti dell’avvocato M., gravando il S. delle spese della fase di appello in favore del M. e la T. di quelle di entrambe le fasi.
T.G. impugna la sentenza della Corte territoriale e ne chiede la riforma, con ricorso affidato a tre motivi.
S.G. e M.G. sono rimasti intimati.
La proposta del Consigliere relatore, di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti.
La parte ricorrente ha depositato memoria nel termine di legge.
Il primo motivo deduce violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116,303,305 e 307 c.p.c..
Il secondo mezzo afferma congiuntamente vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c. e artt. 1176 e 2697 c.c. e vizio di omessa valutazione di un fatto determinante, ai sensi dell’art. 360 codice di rito, n. 5.
Il terzo motivo deduce, pure congiuntamente, vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 83,112,115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. e omessa valutazione di un fatto determinante, ai sensi dell’art. 360 codice di rito, n. 5.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato: l’istanza di riassunzione venne tempestivamente proposta dal difensore del S. il 14/02/2014, nel termine di sei mesi dall’evento interruttivo, decorrente dal 16/09/2013, come riconosce la stessa ricorrente, e il Presidente della Corte emise proprio decreto il 19-20/02/2014, fissando termine per la notifica fino al 26/03/2014 e la sola proroga venne chiesta in data 28/03/2014 dopo la scadenza del detto termine (ordinatorio e non perentorio) per notificare ricorso e decreto a causa della notifica non andata a buon fine e, quindi, la proroga venne, una seconda volta, richiesta, ma oltre il termine semestrale e venne concessa dalla Corte, con provvedimento reso in udienza, fissandosi per la notifica dell’atto di riassunzione nuovo termine fino all’udienza del 15/10/2014.
La Corte di Appello di Roma correttamente ha, pertanto, rigettato l’istanza di estinzione formulata dalla T., dando continuità all’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità (da ultimo di Cass. n. 09819 del 20/04/2018 Rv. 648428 – 01 che richiama Sez. U n. 14854 del 28/06/2006 Rv. 589898 – 01): “Verificatasi una causa d’interrnione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivaione del processo interrotto, destinato a realivarsi distinguendo il momento della rinnovata “edictio actionis” da quello della “vocatio in ius”, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della “vocatio in ius”. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all’art. 305 c.p.c., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, comma 3, e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3".
Deve ribadirsi, pertanto, che l’onere processuale della tempestiva riassunzione è assolto con il deposito della prima istanza, in quanto la restante attività attiene alla chiamata in giudizio (vocatio in ius) e all’ordine del giudice di rinotifica ove la notifica non sia andata a buon fine in applicazione dell’art. 291 c.p.c. (l’estinzione si avrebbe ex art. 291, comma 3, codice di rito solo in caso di inerzia della parte).
Non viene, quindi, in rilievo l’art. 154 c.p.c. (e la ricorrente impugna richiamando Cass. n. 11260 del 20/05/2011 Rv. 618063 – 01 che solo in un obiter sembra discostarsi, come rileva Cass. n. 9819 del 2018, sopra richiamata, da Sez. U n. 14854 del 2006).
Il primo mezzo è, pertanto, rigettato.
I restanti due motivi sono del tutto inammissibili in quanto essi attengono, sebbene formulati anche con riferimento al vizio di sussunzione, al giudizio di fatto, ossia chiedono a questa Corte il nuovo apprezzamento di fatti già compiutamente vagliati dal giudice dell’impugnazione territoriale.
In particolare, essi si incentrano sull’interpretazione della domanda formulata dal S. nelle cause presupposte e da parte del giudice di primo grado di quelle cause, nelle quali la T. (e il M.) svolsero attività difensiva per il S., e non propongono, pertanto, alcun vizio di violazione e (o) falsa applicazione delle norme di diritto (solo nominalmente) richiamate nelle loro epigrafi.
Il giudizio controfattuale risulta, peraltro, adeguatamente effettuato dalla Corte di merito con riferimento all’attività professionale della T..
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Nulla per le spese di lite di questa fase di legittimità non essendovi controparti costituite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
rigetta il ricorso;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 3 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021