LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9427-2020 proposto da:
I.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA CASTAGNOLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 868/2020 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato l’08/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Bologna in data 8.2.2020, la quale ha respinto il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che il Ministero intimato si costituisce ai fini della partecipazione alla eventuale udienza di discussione;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
– che i motivi deducono:
1) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed omesso esame, per avere ritenuto il richiedente non credibile e non avere esaminato il documento, costituito dalla denunzia alla polizia nigeriana del *****;
2) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto la corte non ha operato una valutazione individuale della situazione del richiedente, che svolge mansioni a tempo determinato di facchino;
– che il ricorso è inammissibile;
– che il giudice del merito ha ritenuto come i fatti narrati dal richiedente, cittadino della Nigeria, oltre a palesarne la completa inattendibilità ed inveridicità (attese le incongruenze, ivi riportate, afferenti fatti centrali e non di dettaglio, già ravvisate dalla commissione territoriale) non integrino i presupposti del diritto al rifugio e della protezione sussidiaria, né esistendo nel paese una situazione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sulla base di completi e recentissimi rapporti internazionali e fonti riconosciute, esaminati dal giudice, il quale ha svolto un’amplissima e dettagliata motivazione, che dà conto della situazione attuale del paese di origine; infine, ha escluso la sussistenza di qualsiasi situazione persino allegata di particolare vulnerabilità, esaminandone la situazione, come dedotta, sia per la sua completa non credibilità, sia per avere solo un rapporto a tempo parziale e determinato di facchino, sia perché il periodo trascorso in Libia non è dimostrato abbia di per sé prodotto peculiari conseguenze derivate da tale permanenza, da interare una condizione si particolare vulnerabilità individuale;
– che, dunque, le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti al giudice del merito in relazione a una situazione di minaccia alla quale egli sarebbe sottoposto nel suo paese di origine; ed egli sostiene che il giudice del merito avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la narrazione e non avrebbe operato i necessari accertamenti in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria; tuttavia, tali motivi: i) non sono riconducibili ad una censura di violazione di legge, dal momento che, in verità e nella sostanza, non mettono in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate in rubrica, ma si limitano a censurare la concreta applicazione che di esse il giudice di merito ha fatto, sulla base del materiale istruttorio giudicato rilevante, per i fini del rigetto della domanda proposta; ii) circa la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non menzionano un fatto decisivo, in quanto, con riguardo alla protezione sussidiaria di cui alle lettere a) e b), il tribunale ha ampliamente motivato il giudizio sulla situazione di fatto, a lui riservato; senza che l’inciso, concernente la circostanza che il richiedente neppure “si sia rivolto alle Autorità del luogo per denunciare le minacce asseritamente ricevute”, contenuto nella decisione impugnata, assuma i caratteri del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituendo ciò solo un elemento indiziario tra gli altri, e, dunque, per definizione, non essendo decisivo, palesando la motivazione del tribunale che si tratta appunto solo di un indizio fra i molti considerati;
– che il giudice del merito – con argomentazione approfondita, la quale fa perno su profili cronologici e contraddittorietà del racconto – non ha ritenuto il racconto verosimile: e, al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, fra le molte): il giudice del merito ha esaminato le dichiarazioni del richiedente, con proprio accertamento insindacabile in fatto, ed ha motivato largamente le ragioni per cui esse sono solo in parte attendibili ed affidabili;
– che, inoltre, a fronte dei generici rilievi del richiedente, la corte del merito ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicché la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, né a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (e plurimis, Cass. 30 agosto 2019, n. 21881; Cass. 12 giugno 2019, n. 15794);
– che, quanto alla protezione umanitaria, questa Corte ha già precisato come essa “tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di leghe ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente”, evidenziando che non sussiste “né un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, né quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., 7 febbraio 2019, n. 3681, tra le tante);
– che il ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità effettiva, in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno;
– che, dunque, il ricorrente a null’altro mira che a riprodurre il giudizio sul fatto, come è del resto palesato dalla stessa riproduzione di documenti nel corpo del ricorso;
– che, in definitiva, sotto il velo della denuncia di violazione di legge e di vizio motivazionale, il ricorrente ha in realtà inteso rimettere inammissibilmente in discussione l’accertamento di merito svolto dal Tribunale;
– che non occorre provvedere sulle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021