Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25408 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5103/2015 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARVISO 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BARBIERI, rappresentato e difeso dall’avvocato ATTILIO PEGAZZANO FERRANDO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA U.S.L. N. ***** DI LIVORNO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 320, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAPPELLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato NERI BALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 532/2013 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il 13/06/2013 R.G.N. 1571/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO

che:

1. con la sentenza impugnata il Tribunale di Livorno, decidendo sul ricorso proposto (tra gli altri) da C.P., dipendente della Azienda USL n. ***** di Livorno, tecnico della prevenzione inquadrato in categoria D, profilo professionale tecnico dell’ambiente e nei luoghi di lavoro, respingeva la domanda dal medesimo intesa ad ottenere, al pari di altri colleghi (provenienti dalla VII categoria funzionale), l’inquadramento in Ds e la corresponsione delle differenze di trattamento economico;

il Tribunale riteneva che non potesse invocarsi il principio della parità di trattamento, che preclude solo di praticare distinzioni tra soggetti di pari inquadramento;

escludeva che potesse essere corrisposta l’indennità di coordinamento, non costituente parte fissa della retribuzione e subordinata solo all’effettivo svolgimento delle funzioni di coordinamento;

2. la Corte d’appello di Firenze, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dichiarava inammissibile l’appello proposto dai dipendenti ritenendo che l’impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di accoglimento;

3. avverso la sentenza del Tribunale C.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

3. l’Azienda USL n. ***** di Livorno ha resistito con controricorso;

4. la controricorrente ha anche depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, dell’art. 8 c.c.n.l. per il secondo biennio;

sostiene il ricorrente l’erroneità della sentenza impugnata là dove non ha riconosciuto il diritto al superiore inquadramento in categoria Ds;

rileva che le pubbliche amministrazioni devono riconoscere ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale;

sostiene che non si tratti, nella specie, di disattendere le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di sostituirsi alla volontà negoziale delle parti sociali, ma di applicare il medesimo trattamento retributivo per il fatto di svolgere le stesse mansioni;

2. il motivo è infondato;

2.1. più volte questa Corte si è pronunciata in fattispecie in cui i lavoratori del pubblico impiego avevano lamentato la violazione del T.U. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2, per disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori addetti a mansioni analoghe;

il principio che costantemente è stato espresso in tali fattispecie è che l’art. 45 cit., secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete (Cass., Sez. Un., 23 aprile 2008, n. 10454; Cass. 28 marzo 2012, n. 4971; Cass. 29 aprile 2013, n. 10105; Cass. 21 novembre 2013, n. 26140; Cass. 25 gennaio 2016, 1241; Cass. 31 luglio 2017, n. 19043; Cass. 6 marzo 2019, n. 6553);

2.2. il suddetto principio opera come limite per l’Amministrazione pubblica che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2, deve garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e, comunque, trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi (Cass. 2 marzo 2011, n. 5097), mentre la materia degli inquadramenti del personale è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva che nel settore pubblico può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato, sicché le scelte della contrattazione collettiva sull’inquadramento del personale sono sottratte al sindacato giurisdizionale, dovendosi escludere che il principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, costituisca parametro di giudizio sulle eventuali differenziazioni operate in tale sede (Cass., Sez. Un., 7 luglio 2010, n. 16038; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22437);

2.3. il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in determinate situazioni, afferenti alla peculiarità del rapporto, ai diversi percorsi formativi, alle specifiche esperienze maturate e alle carriere professionali dei lavoratori (cfr. Cass. n. 19043/2017 cit.);

2.4. nel caso in esame, non è in discussione che l’attuale ricorrente abbia percepito il trattamento contrattuale previsto per il proprio inquadramento contrattuale nel ruolo professionale del SSN, mentre non può lo stesso rivendicare – per quanto si è detto – il trattamento previsto per altri colleghi per i quali, in ragione della carriera di provenienza, la contrattazione collettiva ha disposto diversamente;

il nuovo ordinamento professionale introdotto con il c.c.n.l. 1998-2001 aveva previsto l’inquadramento in C della figura del tecnico della prevenzione ex VI livello mentre l’inquadramento in D della dei tecnici della prevenzione già inquadrati nel VII livello;

non è neppure contestato in giudizio che le mansioni assegnate e svolte dal ricorrente fossero riconducibili nella qualifica contrattuale di inquadramento, mentre resta irrilevante che le attività demandate possano essere convergenti o sovrapponibili a quelle svolte dagli appartenenti al ruolo sanitario, una volta stabilito che non si tratta di svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del sistema di inquadramento proprio del ruolo di appartenenza, ma di rivendicazione di un trattamento diverso, proprio dei dipendenti di un altro ruolo;

2.5. né può ritenersi che l’irragionevolezza di suddetta suddivisione sarebbe dimostrata dal successivo c.c.n.l. che ha previsto il passaggio in D di tutti i tecnici collocati in C, perché tale nuova previsione contrattuale costituisce l’approdo di una complessiva revisione normativa di tutte le pressioni sanitarie e soprattutto della qualificazione professionale e formativa per l’accesso alle stesse;

2.6. alla stregua di tali considerazioni, aventi carattere assorbente di ogni altro rilievo, deve concludersi che non si può ravvisare un contrasto con il principio di parità di trattamento di cui al citato D.Lgs. n. 165, art. 45, in quanto tale principio non costituisce parametro per giudicare le eventuali differenziazioni operate dalle parti collettive, né è ipotizzabile un contrasto con il principio di non discriminazione, non avendo tale principio valenza di clausola aperta, idonea a vietare ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, rilevando sotto tale profilo specifiche previsioni normative;

neppure sono suscettibili di essere sindacate da parte del giudice le scelte operate dalla contrattazione collettiva in materia di classificazione professionale dei lavoratori, giacché è assente un parametro di giudizio cui rapportare detto sindacato: proprio il potere di classificazione professionale e di regolamentazione economica demandato dalla legge ai contratti collettivi rende le scelte compiute in proposito dalla contrattazione collettiva non suscettibili di sindacato da parte del giudice;

3. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 del c.c.n.l. Comparto sanità 2 biennio economico 2000-2001, dell’art. 5, comma 2, del c.c.n.l. del 20/9/2001 integrativo del c.c.n.l. del personale del comparto sanità stipulato il 7/4/1999, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2;

censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l’indennità di coordinamento nella parte fissa;

4. il motivo è infondato per le stesse considerazioni di cui al motivo che precede, essendo previste dalla contrattazione collettiva funzioni comprendenti il coordinamento (come quelle in D) e funzioni non ricomprendenti il coordinamento (come quello in C), come confermato dall’art. 8 del c.c.n.l. 2000/2001 che ha riconosciuto l’indennità di coordinamento solo agli operatori già in precedenza inquadrati in D;

4.1. si aggiunga che come già ricordato da questa Corte in plurime decisioni, l’insieme della complessa disciplina riguardante le categorie C, D e Ds e i compiti di coordinamento ha portato ad individuare una prima fase in cui la contrattazione collettiva è dovuta intervenire a mettere ordine rispetto al fatto che le attività della categoria C rientrassero anche nell’ambito della categoria D ed a regolare la posizione del personale di categoria D cui erano stati formalmente dati o riconosciuti compiti di coordinamento;

4.2. a tale fine, nella fase c.d. di “prima applicazione”, l’art. 10, comma 3, c.c.n.l. 20.9.2001 ha riconosciuto l’indennità di coordinamento al personale di categoria D (o, in casi eccezionali che qui non interessano, anche al personale di categoria C: art. 10, comma 7, c.c.n.l. cit.) che avesse previamente avuto il conferimento formale dello specifico incarico di coordinamento o che ne ricevesse la verifica con atto formale, sulla base di assegnazione proveniente da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonché del personale (Cass. 27 aprile 2010, n. 10009 e poi le successive Cass. 22 settembre 2015, n. 18679 e Cass. 28 maggio 2019, n. 14507);

per il medesimo personale di cui sopra, per effetto dell’art. 19, lett. b) del c.c.n.l. 19 aprile 2004, era stato poi previsto il transito alla posizione Ds;

4.3. viceversa, nella fase successiva alla “prima applicazione” (che rileva nella presente fattispecie), per il restante personale, sia che esso fosse transitato in categoria D dalla categoria C per effetto dell’art. 8 del c.c.n.l. 20.9.2001, sia che esso già fosse in categoria D e che, non avendo ottenuto l’indennità di coordinamento, non fosse transitato in categoria Ds, valgono le regole desumibili dall’art. 5, comma 2, c.c.n.i. del 20.9.2001 e dall’art. 19, lett. c) del c.c.n.l. 19 aprile 2004, secondo le quali la progressione si basa su determinati requisiti di anzianità, nonché su criteri stabiliti dalle Aziende con propri specifici atti ed avviene in forza di procedure selettive (v. Cass. 18 maggio 2018, n. 12339);

ancora successivamente l’art. 4 del c.c.n.l. 10.4.2008 ha fissato gli ulteriori criteri per il conferimento delle funzioni di coordinamento, di cui si è detto, conformandosi all’articolata disciplina delle “funzioni di coordinamento” introdotta della L. n. 43 del 2006, art. 6, ed al successivo Accordo Stato-Regioni;

4.4. è chiaro, dunque, che la disciplina sulla “prima applicazione” ebbe necessariamente riguardo a mere situazioni di fatto, di cui perseguiva la sanatoria ed il riordino, come chiaramente evidenziato da Cass. 10009/2010 cit.;

la successiva giurisprudenza di questa Corte ha avuto tuttavia cura di precisare come l’attività di coordinamento sia funzione autonoma e distinta dalle altre che connotano la categoria di appartenenza (Cass. 28 agosto 2018, n. 21258; Cass. 4 luglio 2012, n. 11162); ciò, nella logica del periodo successivo a quello in cui si dovettero governare – con gli artt. 8 e 10 del c.c.n.l. 21.9.2001 – situazioni di disordine organizzativo pregresse, sta a significare che la corrispondente attribuzione non può derivare se non da specifici provvedimenti istitutivi e determinativi dei criteri di assegnazione (art. 5 c.c.n.i. 20.9.2001; art. 19, lett. c, c.c.n.l.) e, poi, con l’osservanza dei requisiti formalizzati dalla L. n. 43 del 2006, art. 6 e richiamati dall’art. 4 del c.c.n.l. 10.4.2008;

4.6. nel sistema “a regime” (una volta superata la fase transitoria) è previsto che l’indennità in questione è attribuita a “coloro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione nonché del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed – ove articolata al suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato” e specificando che essa “si compone di una parte fissa ed una variabile”;

dunque, “a regime”, l’incarico, che richiede sempre un atto formale di conferimento, può essere attribuito dalle aziende ai soggetti in possesso del requisito minimo di anzianità solo previa definizione di criteri generali ai quali le aziende medesime devono attenersi nella scelta del dipendente cui affidare il coordinamento (v. di recente Cass. 18 maggio 2018, n. 12339; Cass. 11 gennaio 2021, n. 187);

l’indennità di coordinamento e’, così, attribuibile solo a seguito di concertazione con le OO.SS. sia per la preliminare concreta pianificazione degli interventi necessari alla gestione dei reparti ospedalieri cui assegnarla, al fine del coordinamento del personale chiamato a realizzare quei determinati interventi, sia per i resoconti sui giudizi di valutazione annuale;

4.7. tale essendo l’assetto normativo del sistema “a regime” (che, come detto, è quello che rileva nella fattispecie in esame) non può certo sostenersi che certificazioni attestanti l’assegnazione di compiti di coordinamento in sostituzione di altri dipendenti (per trasferimenti o quiescenza) possano dare diritto al riconoscimento della pretesa indennità, essendo anzi gli stessi, indicativi della mancanza di procedure di concertazione utile per i fini di cui all’art. 5, comma, 2, del c.c.n.i. cit.;

in sostanza, le posizioni di coordinamento (per le quali l’art. 10, comma 1, del c.c.n.l. 20 settembre 2001 ha istituito apposta indennità identificandone il presupposto specifico nella funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione) avrebbero potuto essere attribuite dall’Azienda solo con atto formale di conferimento ai soggetti in possesso del requisito minimo di anzianità e previa definizione di criteri generali cui attenersi nella scelta del dipendente al quale affidare il coordinamento;

4.8. nella specie, in cui la domanda è diretta ad ottenere proprio ed esclusivamente il riconoscimento dell’indennità ex art. 10 c.c.n.l. nel sistema “a regime”, nulla è detto con riguardo alla intervenuta regolare istituzione di tali posizioni di coordinamento essendo il ricorso su un preteso diritto alla corresponsione di tale indennità (parte fissa) per tutti i tecnici della prevenzione, al di là dell’effettivo coordinamento e sul presupposto di aver svolto in fatto, le stesse mansioni dei colleghi inquadrati in categoria Ds;

difetta, dunque, il conferimento formale e si ignora se i criteri siano stati o meno adottati (in tale situazione non risulterebbero neppure decisivi il possesso dell’anzianità minima ovvero anche lo svolgimento di fatto dell’attività: v., in termini Cass. 28 agosto 2018, n. 21258);

5. conclusivamente, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Azienda controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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