Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25409 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15663/2015 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO BOTASSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1206/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 23/02/2015 R.G.N. 352/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 1206/2014, pubblicata il 23 febbraio 2015, la Corte d’appello di Torino, pronunciando sull’impugnazione proposta da I.A. nei confronti del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda dell’ A., funzionario contabile presso la casa di reclusione di ***** dal 19/3/2012, volta a far accertare il proprio diritto a partecipare all’interpello di cui al bando avente ad oggetto “mobilità interna – Interpello nazionale 2013”, in ragione del suo grado di invalidità superiore ai 2/3 ed ai sensi di quanto sancito dalla L. n. 104 del 1992, art. 21, bando dal quale era stato escluso per non essere in possesso dei previsti requisiti (anzianità di servizio di almeno 5 anni ovvero periodo di permanenza non inferiore a due anni nell’ultima sede di servizio, dopo un trasferimento d’ufficio);

2. riteneva la Corte territoriale che la L. n. 104 del 1992, art. 21, comma 2 (al pari dell’art. 33 della medesima Legge) non configurasse un diritto assoluto del lavoratore, ma che dovesse essere contemperato con le esigenze organizzative del datore di lavoro;

rilevava che assumesse rilievo la previsione di cui alla citata norma di una “precedenza” in sede di trasferimento a domanda, precedenza che non poteva essere invocata in mancanza, come nella specie, dei requisiti richiesti per la partecipazione all’interpello;

3. I.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un motivo, al quale il Ministero della Giustizia ha opposto difese con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione agli artt. 32,38,97 Cost.;

censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che a fronte della tutela invocata, di rango costituzionale, si contrapponga il principio di buon funzionamento dell’amministrazione parimenti tutelato a livello costituzionale dall’art. 97 Cost.;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe ingiustificatamente subordinato il diritto del lavoratore ad ottenere il trasferimento nella sede prescelta alla sussistenza di un requisito minimo di permanenza, in grado di assicurare una maggiore efficienza e produttività del dipendente pubblico, senza spiegare per quale ragione il trasferimento dell’ A. non potesse ritenersi sufficiente a soddisfare un simile requisito;

2. il motivo è infondato;

3. la L. n. 104 del 1992, art. 21, “Precedenza nell’assegnazione di sede”, prevede: “1. La persona handicappata con un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla L. 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili. 2. I soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda”;

4. questa Corte, pronunciandosi con riferimento alla medesima L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5 (in materia di agevolazioni in favore di soggetti che assistono portatori di handicap), ha più volte ribadito che il diritto di scelta della sede più vicina al domicilio della persona invalida da assistere non è un diritto soggettivo assoluto ed illimitato, ma è assoggettato al potere organizzativo dell’Amministrazione che, in base alle proprie esigenze organizzative, potrà rendere il posto “disponibile” tramite un provvedimento di copertura del posto “vacante”;

4.1. in tale senso è stato interpretato l’inciso “ove possibile” di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, quale necessario bilanciamento degli interessi in conflitto (interesse al trasferimento del dipendente ed interesse economico-organizzativo del datore di lavoro) soprattutto in materia di rapporto di lavoro pubblico, in cui tale bilanciamento riguarda l’interesse della collettività (Cass. 25 gennaio 2006, n. 1396; Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7945; Cass. 18 febbraio 2009, n. 3896; Cass. 30 marzo 2018, n. 7981; Cass. 22 febbraio 2021, n. 4677);

4.2. come è stato evidenziato, la L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività lavorativa al fine di rendere quest’ultima il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza del soggetto invalido, ma non è l’unico strumento posto a tutela della solidarietà assistenziale;

4.3. il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso – come dimostrato dall’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti (costituzionalmente rilevanti);

in particolare, il suo esercizio non può ledere le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e, soprattutto nei casi di rapporto di lavoro pubblico, non può tradursi in un danno per l’interesse della collettività (Cass., Sez. Un., n. 7945 del 2008 cit.);

5. considerazioni, per certi versi, non dissimili possono essere svolte anche con riguardo alla previsione di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 21;

5.1. in tale disposizione non è utilizzato dal legislatore l’inciso “ove possibile”, tuttavia è la stessa ratio della previsione ed il riferimento alle sedi “disponibili” che presuppone innanzitutto una scelta dell’Amministrazione di coprire i posti vacanti;

ed infatti l’espressione “sedi disponibili” di cui all’art. 21, ha lo stesso significato limitativo di quella “ove possibile” di cui all’art. 33;

per “sedi disponibili” vanno intese le sedi nelle quali, in relazione alle proprie esigenze di servizio, l’Amministrazione intenda inviare il personale da assegnare a titolo di assunzione o di trasferimento, non rinvenendosi, in nessuna parte della disposizione in esame, o della legge nel suo complesso, un principio inteso a subordinare, agli interessi ed alle scelte del portatore di handicap, le superiori esigenze organizzative, rimesse alle scelte discrezionali della Pubblica amministrazione;

5.2. è evidente che nei trasferimenti a domanda sono disponibili soltanto i posti presso sedi individuate dalle amministrazioni nell’ambito delle relative procedure di mobilità, ossia quei posti individuati come vacanti per i quali si ritiene di dover far luogo alla copertura, ferma la valutazione discrezionale dell’amministrazione in ordine alla loro indicazione, secondo le proprie esigenze organizzative, nonché in ordine ai requisiti per una delimitazione della platea degli aspiranti;

5.3. il richiamato art. 21, dunque, non può fondatamente essere interpretato nel senso che le sedi disponibili debbano essere intese come qualsiasi ufficio dell’amministrazione che l’interessato intenda scegliere, purché nell’ufficio stesso vi sia disponibilità di posti, con riferimento alla qualifica funzionale e al profilo professionale dallo stesso posseduta o che, secondo un’interpretazione addirittura maggiormente estensiva, per poter beneficiare delle disposizioni in esame, sia sufficiente che vi sia disponibilità nell’organico con riferimento al profilo professionale posseduto dall’interessato, anche se non via posto in relazione alla qualifica funzionale;

5.4. inoltre, è lo stesso termine “precedenza” che evoca il concorso con altre persone;

6. ciò porta a ritenere che un diritto soggettivo del dipendente, portatore di handicap grave o gravemente disabile, a scegliere con priorità la sede di lavoro al momento dell’assunzione o con precedenza in sede di trasferimento a domanda, sussiste in presenza di due condizioni: a) la disponibilità di sedi vacanti; b) l’esistenza di un concorso con altri dipendenti interessati alla medesima sede (concorso che presuppone la necessaria sussistenza dei requisiti richiesti per la partecipazione alla relativa procedura);

6.1. la legge, infatti, pur non sacrificando in nessuna delle sopra indicate due ipotesi gli interessi pubblici superiori ad un ordinato assetto degli uffici, anche per ciò che concerne la provvista di personale, esige, nell’art. 21, che la scelta sia operata su disponibilità predeterminate, sulle quali – nella comparazione con altri interessati ed in presenza dei requisiti per accedere a tale comparazione, il destinatario dei benefici ha diritto di precedenza; viceversa, il beneficio di cui al successivo art. 33 (commi 5, 6 e 7) è destinato a divenire operante soltanto “ove possibile”, ossia se ne sussistano i presupposti anche in relazione alle esigenze organizzative dell’Amministrazione, di volta in volta considerati;

6.2. d’altra parte, un diritto di scelta prioritaria fra le sedi disponibili da esercitare non al momento dell’assunzione o di un interpello per mobilità, ma semplicemente al momento del verificarsi delle condizioni sanitarie per l’handicap, rischierebbe di mettere in crisi il modello organizzativo predisposto;

7. venendo al caso in esame, va evidenziato che l’insussistenza in capo all’ A. delle condizioni per la partecipazione all’interpello per la mobilità interna del 24/4/2013 (anzianità di servizio superiore a 5 anni e permanenza superiore ai 2 anni nell’ultima sede) escludevano, a monte, una comparabilità con gli altri partecipanti al medesimo interpello al fine di far valere il diritto di precedenza di cui si è detto;

8. né, per quanto si è detto, il ricorrente può pretendere di far valere la propria condizione sanitaria (prevista dal legislatore con riferimento ad una “precedenza” da accordarsi) in termini assoluti, e dunque a prescindere dalle scelte organizzative della p.a. che, per ragioni attinenti all’esigenza di assicurare professionalità nei posti di “contabile” e “funzionario contabile” da ricoprire e, dunque, nel rispetto dei principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento, ha richiesto i suddetti requisiti;

9. del resto, lo stesso Giudice delle leggi, pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, ha dato rilievo alla discrezionalità del legislatore nell’individuare gli strumenti normativi finalizzati a tutelare la condizione del portatore di handicap “mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal complessivo disegno costituzionale” (Corte Cost. n. 372 del 2002; Corte Cost. n. 406 del 1992; Corte Cost. n. 246 del 1997; Corte Cost. n. 396 del 1997; Corte Cost. n. 325 del 1996);

10. alla stregua di tali considerazioni, non ravvisandosi nella sentenza impugnata le denunciate violazioni, il ricorso va rigettato;

11. le spese, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

12. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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