Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25413 del 20/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16888-2019 proposto da:

B.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato TURI ROCCO;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato ALESSI GAETANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSI ROSARIO LIVIO;

– controricorrente –

S.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1840/2018 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GORGONI MARILENA.

RILEVATO

Che:

B.L. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1840/2018 del Tribunale di Brindisi, pubblicata il 18 dicembre 2018, articolando due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso Sara Assicurazioni S.p.a.

Nessuna attività difensiva è svolta in questa sede da S.D..

Il ricorrente espone di aver convenuto, dinanzi al Giudice di Pace di San Vito dei Normanni, S.D. e la Sara Assicurazioni S.p.a., propria compagnia assicuratrice, per ottenerne la condanna in solido, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 149, al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 3.500,00, derivanti dall’incidente stradale, asseritamente causato da S.S., mentre era alla guida della Mercedes, di proprietà di S.D., assicurata dalla Milano Assicurazioni.

Il Giudice di Pace adito accoglieva la domanda e condannava i convenuti in solido al pagamento di Euro 1.796,32, oltre agli interessi e alle spese legali.

Sara Assicurazioni proponeva appello, lamentando: la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 148, in ordine all’obbligo del danneggiato di sottoporsi al controllo medico-legale disposto dalla compagnia; l’erronea valutazione delle risultanze probatorie e documentali, con particolare riguardo al rapporto redatto dalla Polizia Municipale;

l’errata individuazione delle norme di legge e dei principi di diritto in materia di quantificazione del danno biologico. L’appellato resisteva, eccependo preliminarmente la nullità, l’inammissibilità e/o l’improponibilità dell’appello per difetto di procura speciale e, comunque chiedendo il rigetto del gravame.

Il Tribunale di Brindisi, nella contumacia di S.D., con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, dichiarava improponibile la domanda attorea per violazione del principio di infrazionabilità dell’azione extracontrattuale per i danni materiali e personali derivanti dal medesimo fatto illecito.

In particolare, il giudice a quo, dopo aver invitato le parti a prendere posizione sulla questione preliminare inerente la improponibilità della domanda, alla luce delle difese svolte e nel rispetto del principio del contraddittorio, concludeva che da parte dell’odierno ricorrente vi era stato un abuso dello strumento giudiziale, poiché, a fronte di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito tanto alle cose quanto alla persona, aveva proposto due distinte azioni giudiziali con finalità meramente speculative; azioni che, invece, avrebbe potuto proporre cumulativamente innanzi alla medesima autorità giudiziaria, non avendo dimostrato la ricorrenza di un interesse oggettivamente valutabile a proporle separatamente.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “Violazione ed erronea applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 88 e 112 c.p.c., art. 1175 c.c. nonché del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere erroneamente il giudice d’appello fatto riferimento solo ad un generico ed indistinto principio di divieto di infrazionabilità del credito, senza che lo stesso fosse eccepito dall’appellante e/o fosse di derivazione normativa né rispondente alle concrete esigenze oggettive, ritenendo ingiustamente improponibile la domanda per il seguente riportato motivo: “nel caso di specie non è dato rilevare alcun interesse oggettivamente valutabile alla prospettazione separata dalle azioni relative ai crediti riferibili allo stesso rapporto: bene avrebbe dovuto e potuto il Barletta con la stessa domanda proporre le due azioni riferibili allo stesso rapporto”.

Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto tener conto che, al momento della proposizione della domanda per il risarcimento dei danni materiali, non era ancora legittimamente proponibile quella per il risarcimento dei danni alla persona, non essendo ancora trascorsi novanta giorni dalla richiesta di risarcimento del danno alla propria compagnia di assicurazioni (D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145, comma 2), e che la domanda per il risarcimento dei danni materiali era stata proposta senza indugio per la necessità di acquisire quanto prima un mezzo che sostituisse quello danneggiato, di cui l’odierno ricorrente si serviva per recarsi al lavoro.

Il motivo è infondato.

E’ vero che non può giungersi ad una categorica affermazione del divieto di frazionamento dell’azione, occorrendo comunque valutare l’interesse del creditore che è posto alla base della scelta di agire in modo parcellizzato, ma deve tenersi conto che oltre all’eccezione della parte interessata, superabile con la dimostrazione della sussistenza di un interesse rilevante al frazionamento, è data facoltà al giudice di rilevare d’ufficio la mancanza di una ragione idonea a giustificare la proposizione di distinte domande e stimolare il contraddittorio delle parti sul punto, fino a permettere al medesimo giudicante di procedere alla declaratoria di “improponibilità” della domanda.

Ciò è puntualmente avvenuto nel caso di specie.

Va altresì dato rilievo al fatto che il ricorrente non dimostra di aver fatto valere le ragioni che, a suo dire, avrebbero giustificato la proposizione solo della domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni all’auto, nell’udienza del 5 dicembre 2017, a tale scopo disposta ed all’esito della quale il Tribunale, alla luce delle difese svolte, nel rispetto del principio del contraddittorio e in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale richiamato (compreso quello (Cass. 28/06/2018, n. 17019) che si riferiva ad una fattispecie coincidente con quella in esame in cui l’attore, nonostante che alla data dell’esercizio della prima azione l’intero panorama delle conseguenze dannose fosse pienamente emerso, dopo aver proposto una prima azione per risarcimento dei danni a cose, ne aveva proposta una seconda per quelli alla persona) ha ritenuto improponibile la domanda per carenza di un interesse oggettivamente apprezzabile alla proposizione di due autonomi giudizi per ottenere il risarcimento del danno.

Va evidenziato che l’applicazione del principio del divieto di frazionamento processuale del credito, come specificato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 23726 del 15/11/2007, richiede quale presupposto indefettibile, da un punto di vista logico prima ancora che giuridico, che vi sia un soggetto che, in relazione ad uno stesso rapporto obbligatorio, abbia già maturato una pluralità di diritti di credito nei confronti di un certo debitore e che, nonostante ciò, ossia nonostante che i predetti diritti di credito siano già venuti ad esistenza nella sfera giuridica del creditore e siano quindi già tutti esigibili, decida egualmente di azionarli non già in unico procedimento giudiziario, bensì in differenti procedimenti, in tal modo aggravando la posizione del debitore che si vedrà condannato al pagamento delle spese di lite non già di un unico giudizio, bensì di una molteplicità di controversie. Dunque, perché si possa invocare il menzionato principio del divieto di parcellizzazione processuale del credito, è necessario che il creditore sia già titolare di una pluralità di diritti di credito tutti perfettamente esigibili nel momento in cui sceglie di chiederne la tutela processuale in maniera frammentata; per converso e ovviamente – tale principio non può in alcun modo trovare applicazione ove il creditore, sia pure con riferimento ad un medesimo rapporto obbligatorio, azioni in sede giudiziaria solo ed esclusivamente il singolo credito di cui sia già in quel preciso momento storico divenuto titolare e solo successivamente azioni, sempre in sede giudiziaria, l’ulteriore credito di cui sia divenuto titolare soltanto successivamente: ebbene, in tal caso, non si è al cospetto di alcuna parcellizzazione processuale di più diritti di credito, bensì solo ed esclusivamente della legittima scelta del creditore di richiedere l’accertamento e la tutela processuale dei diritti di credito di cui egli è divenuto titolare a mano a mano che tali diritti risultino non solo presenti nella sua sfera giuridica, ma anche giudizialmente tutelabili, ovvero esigibili anche in sede processuale. Al contrario, come si evince chiaramente dalla menzionata pronuncia di questa Corte, là dove i crediti scaturenti dal medesimo rapporto obbligatorio vengano ad esistenza e diventino esigibili in momenti differenti, è del tutto legittimo che il creditore si avvalga di una tutela processuale frazionata, introducendo volta per volta differenti e successive azioni giudiziarie preordinate al riconoscimento soltanto dei crediti divenuti già esigibili al momento dell’avvio del singolo giudizio avente ad oggetto siffatti, già scaduti crediti.

E’ vero, dunque, che era astrattamente ammesso il frazionamento del credito, come il ricorrente sostiene nel ricorso e ribadisce nella memoria, ma il punto è che egli avrebbe dovuto dimostrare che erroneamente il Tribunale aveva ipotizzato la non ricorrenza dell’interesse oggettivo alla frazionamento della domanda, assolvendo l’onere della prova di aver fatto valere le ragioni dell’inesigibilità del credito per i danni alla persona “nel corso dell’udienza del 5 settembre 2017”, di cui già si è detto.

Al contrario, B.L. non solo non si è fatto carico di soddisfare detto onere, ma neppure supporta l’affermazione dell’inesigibilità del credito per i danni alla persona, alla data del 6 ottobre 2012, quando aveva proposto l’azione di risarcimento dei danni patiti all’autovettura.

Il che rende evidentemente (anche) inammissibile la censura per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, oltre che infondata per la parte in cui ha omesso di considerare la rilevabilità officiosa del divieto frazionamento.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il Tribunale, malgrado l’appellato avesse tempestivamente e ripetutamente sollevato questione di nullità della procura alle liti, avrebbe ingiustamente disatteso tale eccezione, sia pure implicitamente.

La procura alle liti conferita al rappresentante legale di una società deve essere leggibile e deve contenere il nome completo, cioè l’intero prenome e l’intero cognome, oltre all’esatta qualificazione rivestita dal soggetto delegato all’interno dell’organizzazione societaria; in difetto di tali elementi non risulterebbe possibile verificare la sussistenza dei poteri rappresentativi in capo a chi sottoscrive l’atto.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, la censura è generica: non è chiaro, infatti, che cosa esattamente viene lamentato. I vizi della procura sono indicati in maniera sommaria, senza riferimenti precisi alla procura per cui è causa; in secondo luogo, non è contenuto alcun riferimento a quelle attività – eccezione circa la nullità relativa della procura alla prima difesa utile, facendo carico alla controparte di integrare con la prima replica le lacunosità della procura – volte a rilevare la nullità relativa della procura e a consentire l’integrazione delle lacune presenti nella stessa.

A p. 12 del ricorso, il ricorrente si limita ad affermare: “la parte che ha depositato l’atto con la procura non corretta deve, nella prima difesa successiva (e nel caso di specie ciò non è avvenuto), integrare la procura stessa e chiarire chi ha sottoscritto l’atto (se la sottoscrizione è illeggibile) o indicare il nome del legale rappresentante (se non è stato indicato in precedenza) o la sua qualifica e qualità (se non riportata nel testo della procura)”.

E’ appena il caso di rilevare che quanto più specificamente argomentato nella memoria, precisamente alle pagg. 6-9, non può sanare i vizi di genericità e di indeterminatezza dei motivi di ricorso, perché la memoria non può contenere integrazioni ed aggiunte, avendo sola funzione di illustrare e chiarire i motivi di impugnazione o quella di confutare le tesi avversarie (Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass. 29/03/2016, n. 7237; Cass. del 20/12/2016, n. 26332; Cass. 31/03/2021, n. 8939).

3. Il ricorso e’, dunque, infondato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

4. Seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315, si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002dell’art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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