LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18281-2020 proposto da:
H.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO MANNIRONI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. R.G. 1696/2020 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato l’08/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cagliari sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 8/6/2020 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Cagliari in ordine alle istanze avanzata da H.S. nato in Nigeria il *****, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale. In particolare il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria dove era nato in quanto il padre era morto e poiché in vita faceva parte della setta degli ***** volevano costringerlo a diventare anche lui adepto della setta. A causa delle minacce ricevute aveva deciso di fuggire in Italia.
Avverso il decreto del Tribunale di Cagliari ha roposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 39 del 1990, art. 1 (e succ. modif.); nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e dell’art. 2697 c.c.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 lett. e) e art. 3.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 ed alla Dir. C.E.E. n. 115 del 2008, art. 6; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché il Tribunale di Cagliari non ha tenuto conto che la fattispecie prefigurata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, costituisce ipotesi del tutto autonoma, viepiù che la Dir. C.E.E. n. 115 del 2008, art. 6, comma 4, prevede che gli Stati membri possono decidere di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi “caritatevoli o di altra natura” del tutto autonomi e differenti da quelli umanitari di cui al medesimo D.Lgs., art. 5.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti perché, contrariamente a quanto assunto dal tribunale, rilevano con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le circostanze addotte ovvero il rischio pressoché certo che, se rimpatriato, si troverebbe in una situazione di conflitto generalizzato con riferimento all’ipotesi di cui alla lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; che parimenti il tribunale per nulla ha tenuto conto delle violenze subite e dei traumi sofferti.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e della Dir. C.E.E. n. 115 del 2008, art. 6; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia perché, contrariamente a quanto assunto dal tribunale, sussistono nel caso di specie le condizioni perché sia riconosciuta la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, protezione del tutto autonoma e distinta da quella di cui allo stesso D.Lgs., art. 5, comma 6. Deduce in particolare che ben può essergli accordato il permesso di soggiorno ex art. 19 cit., atteso non ha più alcun legame con il suo paese d’origine.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia perché il tribunale ben avrebbe potuto accordargli il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; che siffatta disposizione fa salva la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario ovvero derivanti dagli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Il primo motivo proposto è inammissibile. Per quanto concerne, invero, la protezione sussidiaria ai sensi del decreto succitato, ex art. 14, lett. c), va osservato che – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte – è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, tuttavia, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312; Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020). A tal riguardo, deve ritenersi che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), o di altre fonti internazionali citate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, da richiedersi agli enti a ciò preposti. Il Tribunale ha adempiuto a tale dovere citando le fonti aggiornate dalle quali ha desunto le informazioni sulla situazione del paese di provenienza.
Il secondo ed il quarto motivo di ricorso da trattarsi congiuntamente sono infondati. Richiamati gli insegnamenti di questa Corte n. 16362/2016 e n. 11110/2019 deve essere escluso che vi sia margine per far luogo alla protezione umanitaria toutcourt “per motivi caritatevoli o di altra natura”.
Il terzo motivo è infondato.
Il Tribunale di merito non ha riconosciuto al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, prime due lett. A) e B), in quanto la forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi anche in ragione della non credibilità del ricorrente così come dichiarato dal giudice territoriale con ampia ed esauriente motivazione sulla base dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5.
Il quinto motivo in ordine all’invocata protezione umanitaria è infondato. Il Tribunale territoriale infatti ha ritenuto, che le vicende riferite dalla ricorrente, sebbene credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio attenuato, non giustifichino la concessione della protezione umanitaria.
Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.
In tema di integrazione nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, nelle motivazioni dell’impugnato decreto. Il tribunale ha soggiunto che il ricorrente non ha raggiunto in Italia un significativo livello di integrazione per il riconoscimento della protezione umanitaria. Il motivo infatti, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata.
Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021