LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. DI PAOLOANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37732-2019 proposto da:
C.R., O.D., V.S., S.C.A., CI.AL., P.M., D.S.S., CA.NA., M.B., CR.FR., L.T., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ALBERICO II, 4, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA, che le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
ROMA CAPITALE, in persona della Sindaca pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE, 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ALESSANDRO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICHTER MAPELLI MOZZI PAOLO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
C.R., O.D. V.S., S.C.A., CI.MA., P.M., D.S.S., CA.NA., M.B., CR.FR., L.T., elettivamente domiciliate in ROMA, ALBERICO II, 4, presso lo studio dell’avvocato DANTIZIA MARIA ROSARIA, che le rappresenta e difende;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
contro
S.L., B.P., D.M.V., DA.LO.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 925/2019 della CORTV D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. BELLE’
ROBERTO.
RITENUTO
Che:
1. oggetto del giudizio è l’azione di vari educatori di asili nido i quali hanno chiesto, nei confronti di Roma Capitale, l’accertamento dell’illegittimità del termine apposto ai rispettivi contratti a tempo determinato, la conversione a tempo indeterminato e il risarcimento del danno;
2. il Tribunale di Roma ha affermato l’illegittimità di tali termini, per difetto di idonea causale, rigettando la domanda di conversione e riconoscendo il risarcimento del danno in misura di 12 mensilità, determinate facendo applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, mentre nei riguardi delle lavoratrici L., O. e C. veniva dichiarata cessata la materia del contendere, in quanto stabilizzate;
3. la sentenza è stata appellata da Roma Capitale, con riferimento all’accertamento dell’illegittimità dei termini apposti ai contratti ed al risarcimento del danno, nonché dalle lavoratrici, al fine di ottenere un migliore ristoro del danno e, quanto a L., O. e C., denunciando l’erroneità della declaratoria di cessazione della materia del contendere;
4. la Corte d’Appello definiva la controversia con dispositivo in cui statuiva:
– l’accoglimento “parzialmente” dell’appello di Roma Capitale e “in parziale riforma” il rigetto delle domande delle lavoratrici, comprese Liuzzi, O. e C. “relative al risarcimento del danno, cori “conferma” nel resto e compensazione delle spese dei due gradi;
– l’accoglimento dell’appello verso le lavoratrici Sarnieri e Da., di cui rigettava le domande, con compensazione delle spese dei due gradi;
– il rigetto dell’appello verso la lavoratrice Di Maggio, con condanna dell’ente alle spese del grado;
– la cessazione della materia del contendere sull’appello incidentale.
5. in motivazione la Corte territoriale sosteneva:
– la fondatezza della censura di Roma Capitale in ordine alla legittimità delle causali, fatta eccezione per la posizione di D.M.V., i cui contratti erano anteriori al 2008 e per essi non era stata provata la causale relativa all’apposizione del termine;
– la fondatezza della domanda delle altre lavoratrici, perché i rapporti di lavoro a termine erano perdurati oltre il limite massimo di 36 mesi, fatta eccezione per S.L. e Da.Lo., nei cui confronti le domande venivano integralmente rigettate per l’insussistenza anche di tale presupposto;
– nulla di specifico era detto con riferimento alle posizioni L., O. e C.;
– quanto alle spese di giudizio, rispetto alla Di Maggio si esprimeva la condanna di Roma Capitale alla rifusione con riferimento al grado di appello, rispetto S. e Da. si dichiarava la compensazione delle spese di secondo grado, mentre rispetto alle altre lavoratrici si affermava in un passaggio la compensazione per metà e la condanna ai danni di Roma Capitale per il residuo e in altro passaggio si affermava invece la compensazione integrale per i due gradi di giudizio;
5. la sentenza è stata impugnata per cassazione dalle lavoratrici indicate in epigrafe con due motivi, cui Roma Capitale ha replicato mediante controricorso contenente anche due motivi di ricorso incidentale e le lavoratrici a loro volta hanno replicato con loro controricorso;
6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
Che:
1. il primo motivo di ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione;
2. il secondo motivo del ricorso principale è invece dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziando preliminarmente che il riconoscimento del diritto delle ricorrenti al risarcimento del danno quale stabilito in primo grado soddisferebbe le domande dispiegate e non vi sarebbe un loro interesse a proporre ricorso per cassazione, che veniva tuttavia avanzato al fine di evitare comunque il passaggio in giudicato del capo di motivazione con cui si affermava la presenza di idonee causali, cui appunto la censura si riferiva;
3. la controricorrente, resistendo ai motivi avversari, riteneva che fosse percorribile una lettura congiunta di dispositivo e motivazione utile ad evitare l’invalidazione della sentenza, mentre in via incidentale sosteneva l’erroneità della pronuncia (art. 360 c.p.c., n. 3) per essere stata formulata senza fare applicazione, come doveroso, della normativa speciale scolastica di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 e la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, rubricata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per essersi equiparate le posizioni L., O. e C. a quelle delle altre lavoratrici, al fine del riconoscimento del risarcimento del danno, in realtà non dovuto nei loro riguardi, in quanto le stesse erano state stabilizzate, come rilevato già dal Tribunale nel dichiarare cessata la materia del contendere nei loro riguardi;
4. il collegio, opinando diversamente dalla proposta formulata dal relatore prima della camera di consiglio, ritiene che sia in effetti possibile una lettura della motivazione e del dispositivo resi dalla Corte d’Appello secondo modalità tali da non intercettare alcuna insanabile divergenza;
4.1 intanto va detto che la validità dell’atto, e quindi la coerenza tra dispositivo e motivazione va presunta in quanto, se è vero che non è ammesso mutare opinione tra il momento della lettura del decisum e il momento successivo della sua argomentazione, non è per la sola esistenza di apparenti divergenze che si debba concludere nel senso della nullità, dovendosi anzi ipotizzare che i giudici siano stati mossi da volontà conformi nelle diverse fasi destinate a comporre attraverso atti cronologicamente successivi l’atto unitario della sentenza;
e’ anzi questo uno dei significati propri da attribuire alla conclusione, assunta da giurisprudenza del tutto consolidata, secondo cui solo una divergenza “insanabile” tra dispositivo e mol:ivazione è causa della eventuale nullità della sentenza (Cass. 22 agosto 2019, n. 21618; Cass. 10 maggio 2011, n. 10305), dovendosi altrimenti procedere ad una lettura integrata delle due componenti della medesima decisione (Cass. 21 giugno 2016, n. 12841);
4.2 in tale direttrice interpretativa, anche la lettura della sentenza va svolta non ponendo necessariamente attenzione al solo significato tecnico delle parole e delle impostazioni espressive utilizzate, ma ricercando l’effettiva manifestazione della volontà giudiziale, sebbene, come certamente è accaduto nel caso di specie, veicolata attraverso forme e stilemi non del tutto conformi ai canoni correnti del settore;
5. ciò posto, va intanto detto, per limitare il campo della motivazione, che in assoluto la sentenza non presenta alcuna divergenza tra il secondo (rigetto delle domande di S.L. e Da.Lo., con compensazione sui due gradi) ed il terzo punto (rigetto dell’appello avverso la condanna pronunciata dal Tribunale a favore di D.M.V., con favore di spese per la stessa) del dispositivo e la motivazione, come del resto è confermato dal fatto che neppure le parti vi fanno cenno ed anzi i due lavoratori soccombenti di cui al secondo punto del dispositivo non sono neppure tra coloro che hanno proposto il ricorso per cassazione;
6. per quanto riguarda il primo punto del dispositivo, esso, alla luce della motivazione e tenuto conto del criteri sopra indicati al punto 4.1, va inteso nel senso che il parziale accoglimento dell’appello di Roma Capitale non significa che le condanne a favore dei lavoratori quali espresse in primo grado siano state caducate, ma soltanto che il motivo di gravame veniva accolto, come appunto detto in motivazione, ma solo in parte, nel senso che si riteneva fondata la censura mossa all’accertamento in ordine all’invalidità delle causali apposte ai contratti a termine, ma non si riteneva per ciò la legittimità dei contratti, in quanto comunque tali, infine, da superare il limite dei 36 mesi;
6.1 nella stessa linea, il rigetto delle domande delle lavoratrici indicate nel medesimo punto del dispositivo “relative al risarcimento del danno”, non va inteso come rigetto totale delle domande da esse dispiegate, ma come rigetto delle ragioni di appello incidentale con le quali si chiedeva una migliore liquidazione di somme, risarcimento;
6.2 neppure può ritenersi che si determini motivazione e dispositivo per il fatto che tale espressa “in parziale riforma” della sentenza impugnata, mentre, se quanto riconosciuto dal Tribunale fosse stato confermato, si sarebbe dovuta avere una conferma in parte qua della sentenza;
soccorre a questo proposito il fatto che, in quella parziale riforma, siano coinvolte tutte le lavoratrici cui in dispositivo non è stato destinato (come invece è accaduto per le posizioni S., Da. e Di Maggio) uno specifico trattamento e quindi anche le lavoratrici O., C. e L., rispetto alle quali in primo grado vi era stata declaratoria di cessazione della materia del contendere, perché stabilizzate;
su queste tre lavoratrici, la motivazione nulla dice, ma si osserva intanto che, pur essendo esse tra le ricorrenti per cassazione, il secondo motivo anche da esse proposto affermi che la proposizione di esso era cagionata dal fatto che la sentenza di appello pareva essersi discostata da quella del Tribunale ed analogamente le conclusioni chiedono confermarsi la pronuncia del Tribunale, ove però la domanda di tali lavoratrici non era stata accolta, peraltro in piena coerenza con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la stabilizzazione esclude l’ulteriore risarcimento del danno da precariato (Cass. 3 luglio 2017, n. 16336), a meno di più specifiche e puntuali allegazioni, su cui qui non si discute;
si può allora ritenere che, rispetto a queste tre lavoratrici, il rigetto della domanda espresso con il primo punto del dispositivo di appello, costituisca in effetti una “parziale riforma”, in quanto alla declaratoria di cessazione della materia del contendere si è andato a sostituire un rigetto nel merito della domanda, che è peraltro in sé giuridicamente più corretto;
d’altra parte, la disposta “parziale riforma” trova almeno in ciò una spiegazione, sicché deve concludersi che neppure essa si ponga in insanabile contrasto con la motivazione e con quanto accaduto in causa nel rapporto tra i due gradi di giudizio;
6.3 il “fermo nel resto”, di cui ancora a quel primo capo di dispositivo è invece agevolmente spiegabile sia in riferimento alla conferma del risarcimento per come riconosciuto in primo grado, sia in riferimento alla originaria e mai modificata reiezione delle domande di conversione a tempo indeterminato dei rapporti;
6.4 quanto alle spese, è vero che, per le lavoratrici contemplate in quel primo capo di dispositivo, la motivazione afferma sia la compensazione parziale, con condanna della P.A. a rifonderne la metà, sia la compensazione integrale;
il dispositivo però contiene senza alcun dubbio la compensazione integrale su due gradi, sicché non può parlarsi di insanabile divergenza tra dispositivo e motivazione, ma solo di una contraddittorietà motivazionale, in quanto tale non censurata dalle parti e destinata a risolversi con il principio per cui, qualora non si determini nullità, è il dispositivo, e quanto della motivazione sia con esso coerente, a prevalere sulla motivazione per eventuali aspetti di mera difformità tra l’uno e l’altra (Cass. 17 novembre 2015, n. 23463; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21885);
7. vi è infine il quarto punto del dispositivo, ove si dichiara “cessata la materia del contendere sull’appello incidentale”;
sul punto, in motivazione, nulla è detto, né si può fare riferimento, per giustificarne il senso, alla rinuncia all’appello incidentale di cui è menzione nel ricorso principale per cassazione, stante il totale silenzio serbato sul punto dai giudici di appello e stante il fatto che in motivazione si afferma che quanto preteso con l’appello incidentale sarebbe stato in realtà respinto;
in effetti le pretese di cui all’appello incidentale, per quanto si è detto sul primo capo del dispositivo, sono state anche rigettate dalla Corte d’Appello e, quindi, la contestuale e non meglio argomentata dichiarazione di cessazione della materia del contendere è semplicemente un fuor d’opera, tra l’altro non spiegato né motivato e privo come tale di qualsiasi rilevanza, in qualunque senso;
8. tali conclusioni, tra l’altro sostanzialmente coincidenti con la ricostruzione proposta da Roma Capitale nel proprio controricorso e rispetto alla quale le lavoratrici, nel proprio controricorso, hanno affermato a loro volta di aderire, necessitano anche di un riepilogo di sintesi, in ragione della indubbia singolarità del caso di specie, al fine di evidenziare con chiarezza il senso che si assume quale antecedente logico diretto della reiezione del primo motivo di ricorso principale che qui si pronuncia; in particolare, la sentenza di appello nel suo insieme è qui intesa ed è da intendere nel senso che essa:
ha confermato l’accoglimento della domanda di D.M.V.; ha disposto la reiezione della domanda di S.L. e Da.Lo.;
ha rigettato le domande dispiegate dalle lavoratrici O., C. e L., pacificamente stabilizzate;
quanto alle altre lavoratrici, ha confermato l’accoglimento delle domande risarcitorie quale formulato dal Tribunale in primo grado, rigettando ogni pretesa risarcitoria ulteriore e confermando il diniego di conversione dei rapporti;
9. da tutto ciò deriva l’assorbimento del secondo motivo del ric o. principale, espressamente formulato per il caso in cui non vi fosse conferma della pronuncia del Tribunale, come anche del secondo motivo del ricorso incidentale proposto da Roma Capitale, in quanto esso è stato formulato sul presupposto che fosse stata accolta in appello la domanda risarcitoria proposta dalle lavoratrici O., C. e L., il che viene invece qui escluso;
10. resta il primo motivo del ricorso incidentale, con cui come si è detto Roma Capitale ha affermato che erroneamente nei gradi di merito la legittimità dei contratti a termine e la loro abusiva reiterazione fosse stata apprezzata sulla base della normativa generale sul pubblico impiego e non di quella propria della scuola e di cui alla L. n. 297 del 1994;
11. il motivo è infondato, in quanto le norme sui rapporti scolastici a termine (c.d. supplenze) contenute nel D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 520 e 521, come anche la L. n. 124 del 1999, art. 4 e la L. n. 107 del 2015 fanno riferimento alle scuole statali e facenti capo al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e non alle scuole dell’infanzia comunali, i cui addetti sono dipendenti dell’ente locale, cui dunque si applica la disciplina generale sul pubblico impiego e quella del D.Lgs. n. 267 del 2000 (t.u. enti locali), né va (e il richiamo all’ultima parte del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 4-bis, con cui si è esclusa l’applicazione del predetto D.Lgs. n. agli asili nido ed alle scuole dell’infanzia degli enti locali, trattandosi di norma, al di là di ogni altra possibile considerazione, introdotta con il D.L. n. 101 del 2013 e dunque certamente successiva a quanto fatto oggetto della presente causa, iniziata nel 2011 e riguardante rapporti antecedenti;
12. in definitiva va disatteso sia il ricorso principale, sia quello incidentale, il che giustifica, stante la reciproca soccombenza, la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021