LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34987-2019 proposto da:
RADIO CALL SERVICE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 11, presso lo studio dell’avvocato LUIGI RAGNO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFILIPPO CECCIO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
RISCOSSIONE SICILIA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO TUDISCA;
– controricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE *****, *****;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2106/10/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.
RITENUTO
CHE:
1 La soc. Radio Call Service srl impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina la cartella di pagamento- contenente iscrizione a ruolo straordinaria effettuata ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15 bis – con cui Riscossione Sicilia spa richiedeva il pagamento dell’importo pari ad Euro 2.366.790,06, di cui Euro 94.393,00 a titolo di Iva, Euro 463.813,50 di Ires, Euro 34.307,00 di Irap oltre sanzioni ed interessi per Euro 1.774.276,56, relativi all’anno di imposta 2006. La cartella di pagamento faceva seguito ad un avviso di accertamento non definitivo in quanto impugnato dalla ricorrente.
2. La CTP accoglieva il ricorso ritenendo la cartella non motivata.
3 Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva parzialmente l’appello dichiarando la validità dell’iscrizione nei limiti derivanti dall’importo accertato (in diminuzione) nella decisione di primo grado intervenuta nel ricorso proposto dalla società avverso l’avviso di accertamento (sentenza 3212/09/15 del 20/3/2015 della CTP di Messina) che rideterminava il reddito di Euro 1.895.026,37.
4 Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente affidandosi a due motivi; l’Agenzia delle Entrate e la Riscossione Sicilia spa si sono costituite depositando controricorso.
5 Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la società contribuente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR reso una motivazione apparente ed illogica, in particolare per non avere, dopo aver preso atto della invalidità dell’atto presupposto dichiarata dalla CTP, dichiarato l’illegittimità della cartella di pagamento e conseguentemente disposto l’annullamento di tale atto-.
1.1 Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza appellata per omessa motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’iscrizione a ruolo straordinaria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 11 e art. 15 bis.
2. I due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, sono infondati.
2.1 Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. E’ noto che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, è denunziabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. In particolare, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, presuppone che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. E così, ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (cfr. Cass. S.U. 8053/2014).
2.2 Nella fattispecie in esame la CTR, dopo aver dato atto dell’intervenuta sentenza di primo grado della CTP di Messina, nel giudizio promosso dal contribuente avverso il prodromico atto impositivo, che ha rideterminato in diminuzione il reddito imponibile, ha ritenuto superata ogni questione sulla legittimità della procedura di iscrizione straordinaria di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 11 e 15 bis, essendo applicabile la procedura ordinaria per gli accertamenti in corso di giudizio.
2.3 In sostanza i giudici di seconde cure hanno affermato che, una volta emanata la sentenza di primo grado, il D.P.R. citato, art. 15 bis, non esplica più efficacia ed è sostituito dalla regolamentazione del tributo stabilito nella sentenza la quale sostituisce l’avviso di accertamento.
2.4 Si tratta di un principio affermato da questa Corte con la sentenza a sezioni unite n.758/2017, riportata nella motivazione dell’impugnata sentenza, secondo il quale “l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 11 e 15-bis, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante: ne deriva che, qualora intervenga una sentenza, anche se non passata in giudicato, del giudice tributario che annulla, in tutto o in parte, tale atto, l’ente impositore (così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento) ha l’obbligo di agire in conformità alla statuizione giudiziale, sia nel caso in cui l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i consequenziali provvedimenti di sgravio e, eventualmente, di rimborso dell’eccedenza versata”. Ciò in quanto il processo tributario è annoverabile non tra quelli di “impugnazione-annullamento” bensì tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto è diretto non alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma, estendendosi al rapporto d’imposta, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione (tra altre, Cass. nn. 4280 del 2001, 3309 del 2004, 6918 del 2013, 19750 del 2014) – annulla, totalmente o parzialmente, l’atto impositivo (pur se in via non definitiva in attesa dell’eventuale giudizio di impugnazione).
La motivazione della sentenza non è affatto connotata dalle dedotte deficienze, reca il minimo costituzionale e non è afflitta da vizi di illogicità e/contraddittorietà in quanto i giudici di seconde cure hanno sufficientemente dato conto dell’iter logico e giuridico seguito per la decisione di limitare il carico fiscale contenuto nella cartella esattoriale.
3 Il ricorso va quindi rigettato.
4 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 10.200 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021