Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.25758 del 22/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14983/2020 proposto da:

S.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Briganti, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/05/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 20 febbraio 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, S.B., potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullità del decreto per violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 1, art. 11, lett. a) e art. 13, e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 106 Cost., comma 2, art. 111 Cost., comma 6 e L. n. 46 del 2017, art. 2.

Rileva il ricorrente che la motivazione posta a fondamento della propria non credibilità sarebbe omessa o comunque apparente.

E’ da osservare, in proposito, che il Tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del richiedente asilo – incentrate su di un incidente stradale provocato dal ricorrente e sulla successiva aggressione da questi subita ad opera del figlio di una delle vittime del sinistro – non attendibili; ha evidenziato: che S. non era stato in grado di circostanziare la vicenda, attraverso l’indicazione di nomi dei tempi e dei luoghi relativi ai fatti oggetto della narrazione che dovevano ritenersi essenziali e determinanti l’espatrio; che non era inoltre emerso un vero sforzo del medesimo volto alla specificazione della domanda; che, da ultimo, la vicenda descritta appariva non plausibile, risultando inverosimile che non fosse stato aperto un procedimento penale a carico del richiedente e che quest’ultimo fosse stato riassunto in servizio nonostante il grave sinistro.

Ciò detto, il giudizio espresso dal Tribunale è pienamente idoneo a sorreggere la decisione impugnata, sotto il profilo che qui interessa. In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, poi, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; cfr. pure Cass. 2 luglio 2020, n. 13578). Il vizio motivazionale nella fattispecie e’, d’altro canto, da escludere. Non si vede anzitutto perché il rilievo, formulato dal giudice del merito, quanto alla genericità delle dichiarazioni da lui rese debba ritenersi solo apparente, a fronte di un dato che è intrinsecamente idoneo a dar ragione dell’esatto contrario: e cioè della mancanza, nelle suddette dichiarazioni, dell’indicazione dei nomi delle persone coinvolte nella vicenda, oltre che della rappresentazione delle circostanze di tempo e di luogo della stessa. si manifestava inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difettava di concretezza. Al contempo, il giudizio di non plausibilità della narrazione risulta essere argomentato, e tanto basta a sorreggere, sul punto, il provvedimento impugnato: come è noto, infatti, nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

L’istante rileva, poi, che non sarebbe stato preso in considerazione il proprio rischio di subire un processo e una condanna ingiusti, nonché vendette private da parte di familiari delle vittime, nel contesto di un sistema istituzionale che non offre garanzie rispetto a condotte di privati.

La censura riguarda il rispetto dei diritti umani in ***** e inerisce, evidentemente, alle domande aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b). Essa si rivela non pertinente. Una volta escluso, per le ragioni anzidette, che il racconto del richiedente potesse dirsi provato, a norma del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, il Tribunale non aveva alcun motivo dir riconoscere al ricorrente il richiamato status o la nominata forma di protezione. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756). Ne’ decisivo si rivela, in tale prospettiva, il dato della spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifestava inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difettava di concretezza e non avrebbe potuto comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Per tale ragione risulta non pertinente nemmeno il rilievo, comunque generico, assegnato dal ricorrente alla natura non aggiornata delle fonti informative consultate dal giudice del merito per dar conto della situazione sociale, economica e politica del paese di origine.

Con riferimento alla domanda di protezione umanitaria assume l’istante che il provvedimento impugnato non evidenzierebbe le ragioni logiche e giuridiche che dovrebbero sottendere l’effettiva valutazione comparativa richiesta dalla sentenza n. 4455 del 2018 di questa Corte. Osserva, in particolare, che il percorso migratorio di esso richiedente non era stato preso nella debita considerazione.

Il Tribunale ha però accertato, da un lato, che il rientro in patria del richiedente non risultava essere incompatibile con l’esercizio del “nucleo essenziale dei diritti inalienabili” a lui facenti capo e, dall’altro, che non emergeva un quadro di integrazione dello stesso richiedente nel tessuto socio-economico nazionale (non risultando dirimenti, a tal fine, né la partecipazione a corsi di formazione, di apprendistato o di volontariato, né l’apprendimento della lingua italiana). E’ evidente, quindi, che il decreto impugnato abbia proceduto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, ad operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459).

Quanto al percorso migratorio, il provvedimento impugnato rileva, anche sulla scorta di una relazione medico-legale, che l’esposizione dell’istante a violazioni dei diritti umani nel paese di transito (Libia) non abbia determinato una condizione di vulnerabilità irreversibile e perdurante.

Ora, ai fini della protezione umanitaria possono essere certamente prese in considerazione le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo: tali violenze devono risultare però potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 11 febbraio 2021, n. 3583; Cass. 2 luglio 2020, n. 13565; Cass. 15 maggio 2019, n. 13096).

Ulteriore censura formulata nel corpo del motivo è basata sul rilievo per cui non sarebbe stato svolto “un nuovo, completo colloquio avanti al Tribunale”, e cioè “un esaustivo interrogatorio libero che potesse supplire alla mancanza di videoregistrazione del colloquio presso la Commissione territoriale”; sempre con riferimento all’audizione del ricorrente si oppone, poi, che l’udienza in cui ha avuto luogo detta audizione è stata tenuta da un GOT a ciò delegato.

Con riferimento alla seconda doglianza è sufficiente ricordare non essere affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta (Cass. Sez. U. 26 febbraio 2021, n. 5425). La censura basata sulla rinnovazione dell’audizione risulta essere poi inammissibile, in quanto, a fronte dell’espletamento dell’incombente avanti al Tribunale (cfr. la trascrizione del relativo verbale, a pag. 72 del ricorso per cassazione), l’istante non indica le norme processuali che nella fattispecie sarebbero state violate, né chiarisce se e in che modo il giudice del merito sia incorso in un vizio motivazionale: e del resto, l’istante nemmeno spiega quali siano i punti della propria vicenda personale che il Tribunale avrebbe dovuto approfondire nel corso del disposto interrogatorio.

2. – Il secondo mezzo oppone l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione.

Il motivo è da disattendere con riguardo a tutti i fatti che in esso vengono menzionati. Gli accadimenti relativi alla vicenda personale del richiedente sono stati presi in considerazione, ma sono stati reputati inidonei a giustificare il positivo giudizio di credibilità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in quanto – come si è visto – la narrazione dell’istante risultava, al riguardo, generica e inattendibile. La capacità del *****, Stato di provenienza del ricorrente, di offrire effettiva protezione costituisce elemento privo di decisività, a fronte della ritenuta non credibilità del richiedente. La deduzione dell’omesso esame degli elementi, verbali e non verbali, della narrazione del richiedente e del tutto priva di specificità, e come tale inammissibile. L’omesso esame comparativo degli elementi di vulnerabilità concernenti la persona del ricorrente non ricorre, avendo riguardo a quanto sopra osservato.

3. – Col terzo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11,D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e art. 35 bis, comma 11, lett. a), dell’art. 16 dir. 2013/32/UE, nonché, 2, 3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 351 del 2007, artt. 5, 6,7 e 14 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il motivo costituisce parziale ripetizione di deduzioni svolte nei due precedenti mezzi di censura.

Il ricorrente si duole, anzitutto, del giudizio di non credibilità formulato dal Tribunale ed assume che questo avrebbe adottato generiche clausole di stile omettendo di confrontarsi con la specifica vicenda da lui narrata. Già si è detto, però, che il decreto impugnato bene ha spiegato le ragioni per le quali la non circostanziata e implausibile narrazione del richiedente fosse inidonea a fondare la domanda di protezione internazionale da lui proposta.

Parimenti non conferenti, in base a quanto precisato trattando del secondo motivo, sono le deduzioni formulate con riguardo all’audizione del richiedente, che è stata rinnovata avanti al Tribunale. Mette solo conto di aggiungere che non appare pertinente il richiamo alla sentenza Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, da momento che in questa sede non si fa questione della necessità, da parte del giudice del merito, di far luogo all’audizione del richiedente che abbia già avuto facoltà di rendere le proprie dichiarazioni davanti alla commissione territoriale: come si è osservato, nella fattispecie in esame, il Tribunale ha effettivamente proceduto a un nuovo interrogatorio dell’istante.

Nel motivo si fa poi questione delle carenze dell’attività istruttoria ufficiosa demandata al giudice del merito, ma si è già osservato come la deduzione, che investe i profili attinenti allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria – avendo riguardo alle fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), – non sia concludente.

Il motivo si occupa pure della protezione umanitaria: lo fa confusamente, intervallando considerazioni generali che attengono alla detta forma di tutela con altri temi: basti citare, a titolo di esempio, la citazione di precedenti afferenti la protezione umanitaria (a pag. 75) e, di seguito, quelli che concernono l’obbligo, da parte del giudice del merito, di dar conto di specifiche e aggiornate fonti internazionali (a pag. 76 s.) e le considerazioni afferenti il danno grave provocato da soggetti privati, nell’ipotesi in cui nel paese di origine l’autorità statale non sia in grado di offrire adeguata ed effettiva tutela (pag. 79). Va rammentato, allora, che l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009); in particolare, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790).

4. – Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 dir. 2013/32/UE.

Il motivo si risolve nell’affermazione del principio per cui al richiedente va assicurato un procedimento che preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto della propria domanda di protezione internazionale, con obbligo, da parte del giudice, di cooperare nella raccolta e nella valorizzazione degli elementi atti a sostenere la domanda stessa.

Il motivo è inammissibile: esso pecca di totale astrattezza e, del resto, pare evocare argomenti già spesi nei precedenti motivi di ricorso.

5. – Il ricorso è respinto.

6. – Non vi sono spese da liquidare.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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