Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25856 del 23/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11047/2016 proposto da:

D.P.M., rappresentato e difeso dagli Avvocati ALESSANDRO GRAZIANI, e LUIGI SECCHI, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37;

– ricorrente –

contro

DE.PE.MA., rappresentato e difeso dagli Avvocati PIETRO GIULIANI, e FRANCO CHIAPPARELLI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in ROMA, VIA ANGELO EMO 106;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4374/2015 della CORTE d’APPELLO di MILANO pubblicata il 16/11/2015.

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/03/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 1022/2014 il Tribunale di Monza, accogliendo in parte le domande di D.P.M. proposte nei confronti della sorella DE.PE.MA. e le domande riconvenzionali di quest’ultima, condannava la convenuta ad arretrare un pluviale dell’immobile di sua proprietà in *****, alla distanza legale di un metro dal confine con la proprietà dell’attore, a sua volta condannato all’esecuzione di talune opere (di finitura di un muro perimetrale lasciato in parte grezzo) alla cui esecuzione si era impegnato. Venivano respinte tutte le altre domande proposte dalle parti in via principale e riconvenzionale ed era disposta la compensazione delle spese legali e la ripartizione paritaria delle spese di CTU, effettuata per la ricognizione dello stato dei luoghi e per verificare la conformità ai progetti di quanto realizzato in esecuzione di una denuncia di inizio attività e delle successive varianti, congiuntamente presentate da D.P.M. e Ma. al Comune di Seregno.

Avverso la sentenza proponeva appello D.P.M. richiamando le risultanze della CTU, per ribadire che nella costruzione dei rispettivi fabbricati in attuazione della d.i.a., congiuntamente presentata da costui e dalla sorella Ma., si sarebbe realizzato lo sconfinamento della costruzione di quest’ultima nella proprietà del fratello per alcuni centimetri; De.Pe.Ma. avrebbe anche innalzato per 70 cm la falda del suo tetto, come descritto in CTU, appoggiandola su muro di proprietà del fratello. Chiedeva la condanna dell’appellata all’esecuzione delle opere necessarie per la rimessione in pristino dell’immobile, come descritto nella CTU, con la reimmissione dell’appellante nel possesso delle superfici illegittimamente occupate dalla costruzione della sorella. Con altro motivo di appello, riferito alla sua condanna a eseguire le opere di finitura faccia vista di un muro perimetrale, D.P.M. lamentava la contraddizione tra la motivazione e il dispositivo della sentenza di primo grado, poiché solo nel dispositivo, nel prevedere l’alternativa tra due possibili modalità individuate dal CTU, una delle quali meno costosa per l’appellante, sarebbe stata prevista la necessità del consenso di De.Pe.Ma. all’esecuzione delle opere con tale ultima modalità e si sarebbe così introdotta una condizione del ricorso a tale maniera di esecuzione delle opere non prevista nella parte motiva della sentenza. In via strettamente subordinata, chiedeva che, qualora la Corte d’Appello non avesse ritenuto in tutto o in parte possibile la rimessione in pristino, De.Pe.Ma. fosse condannata al pagamento di un equo indennizzo, da commisurare ai vantaggi ottenuti da costei a suo discapito.

Si costituiva l’appellata chiedendo che l’impugnazione venisse rigettata.

Con sentenza 4374/2015, depositata in data 16.11.2015, la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello, condannava l’appellata al pagamento della somma di Euro 516,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda (30.1.2012) al saldo, confermando, quanto al resto, la sentenza appellata e compensando tra le parti le spese di lite del grado di appello.

In particolare, la Corte d’Appello rilevava che il CTU aveva accertato che la traslazione per circa 7 cm sull’asse est-ovest del fabbricato di De.Pe.Ma. era avvenuta con sconfinamento rispetto alla linea di frazionamento catastale. Riteneva il Giudice di secondo grado che la domanda di condanna al pagamento di un equo indennizzo fosse stata proposta dall’appellante in alternativa alla domanda di condanna alla riduzione in pristino, per cui determinava la misura dell’indennizzo da corrispondere. Infine, non era ravvisabile alcuna contraddizione tra la parte motiva e il dispositivo di sentenza, essendo evidente che l’inciso “in caso di mancata prestazione del consenso”, che si leggeva solo nel dispositivo, costituisse una precisazione, certamente non contraddittoria rispetto alla motivazione.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione D.P.M. sulla base di sei motivi. Resiste De.Pe.Ma. con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente propone “Denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La Corte d’Appello, nel decidere sulla domanda di riduzione in pristino, formulata in via principale, riteneva di non accoglierla, giacché (avendo l’appellante chiesto, in via strettamente subordinata, e solo nel caso in cui la Corte non avesse ritenuto possibile la rimessione in pristino, la condanna della controparte a un equo indennizzo) tale domanda non dovesse considerarsi subordinata ma alternativa, pertanto tale da ritenere abbandonata la domanda formulata in via principale.

1.1. – Il motivo è fondato ed è assorbente rispetto agli altri motivi (che saranno trascritti nell’ordine di cui al ricorso).

1.2. – Il Giudice di secondo grado riteneva che la domanda di condanna al pagamento di un equo indennizzo fosse stata proposta dall’appellante “in alternativa” alla domanda di condanna alla riduzione in pristino, per cui determinava la misura dell’indennizzo da corrispondere.

1.3. – Va rilevato che nello stesso giudizio possono essere proposte, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili, senza che con ciò venga meno l’onere della domanda ed il dovere di chiarezza che l’attore è tenuto ad osservare nelle proprie allegazioni; ne consegue che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accolga una delle domande come sopra proposte, in quanto il rapporto di alternatività e di subordinazione tra esse esistente non esclude che ciascuna di esse rientri nel petitum (Cass. n. 16876 del 2010; conf. Cass. n. 13602 del 2013).

Allorché la parte abbia proposto nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due o più domande fra loro concettualmente incompatibili, la sentenza con la quale il giudice di merito abbia accolto la domanda subordinata non implica soltanto la pronuncia favorevole sulla qualificazione giuridica esposta dall’attore a sostegno della stessa, ma comporta anche un preciso accertamento dei fatti, alternativo a quello posto a fondamento della domanda principale. Ne consegue che l’attore parzialmente vittorioso, per evitare la formazione del giudicato, deve formulare impugnazione avverso l’accoglimento della domanda subordinata, condizionandola all’accoglimento del gravame sulla domanda principale, in quanto solo in tal modo può ottenere la revisione dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti le ragioni della pretesa subordinata accolta, incompatibile con quella principale (così, da ultimo, Cass. n. 13602 del 2013, nonché già Cass. n. 9631 del 2013; cfr. anche Cass. n. 9479 del 2009 e Cass. n. 26159 del 2014). La divergenza tra i due orientamenti è solo apparente poiché ciò che rileva ai fini dell’applicazione del primo ovvero del secondo è il tipo di rapporto che esiste tra le domande cumulativamente proposte dalla stessa parte in primo grado. Qualora si tratti di domande alternative, ma compatibili, ovvero legate da rapporto di subordinazione, l’accoglimento della principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l’attore, che voglia insistervi, a proporre appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Qualora si tratti invece di domande incompatibili ovvero sia accolta la subordinata, l’attore che voglia insistere nella domanda alternativa incompatibile non accolta ovvero nella domanda principale ha l’onere di riproporla con appello incidentale, eventualmente condizionato all’accoglimento dell’appello principale.

1.4. – La Corte d’Appello, nel decidere sulla domanda di rimessione in pristino, formulata in via principale, riteneva di non accoglierla, sul presupposto che, avendo l’appellante chiesto, in via strettamente subordinata, e solo nel caso in cui la Corte non avesse ritenuto possibile la rimessione in pristino, la condanna della controparte a un equo indennizzo, tale domanda non fosse da considerarsi subordinata, bensì alternativa, e tale da ritenere abbandonata la domanda formulata in via principale.

Per la giurisprudenza costante di questa Corte si possono legittimamente proporre nello stesso giudizio sia in forma alternativa o subordinata due o più domande anche se tra loro concettualmente incompatibili. Le domande quindi, possono essere sia alternative che subordinate ed una e l’altra di tale qualifica viene determinata dalle parti e non può il giudice attribuire a tali domande una qualifica diversa.

La fattispecie in esame, non lascia dubbi sul fatto che non si tratti di una domanda alternativa, bensì di una domanda subordinata che, di conseguenza, non può mai comportare una rinuncia alla domanda svolta in via principale.

1.5. – Ne consegue che la Corte distrettuale ha omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio incorrendo nella censura di omessa motivazione secondo i canoni di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Costituisce principio consolidato che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consenta di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). A seguito della riforma del 2012 è scomparso pertanto, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga direttamente ed immediatamente dal testo della sentenza impugnata.

2. – Si sintetizza il contenuto degli altri motivi assorbiti.

2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “Denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione del disposto dell’art. 832 c.c., art. 872 c.c., comma 2 e art. 873 c.c.”, in ordine alla lesione del diritto del proprietario di godere e disporre delle cose di sua proprietà in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dalli ordinamento giuridico.

2.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia su un motivo di gravame con violazione dell’art. 112 c.p.c.”, onde rimettere il ricorrente nel possesso della porzione di area sita al piano interrato illegittimamente occupata dalla controparte, omettendo qualsiasi esame.

2.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta “Denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 938 c.c.”, là dove il ricorrente, per evitare la formazione del giudicato, propone impugnazione, anche se condizionata al mancato accoglimento della domanda principale.

2.4. – Con il quinto motivo, il ricorrente oppone la “Denunzia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in ordine alla liquidazione dei compensi del giudizio.

2.5. – Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la “Denunzia art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”, circa la statuizione sulle spese.

3. – Va accolto il primo motivo, nei sensi di cui in motivazione, con assorbimento dei restanti motivi. Va cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo; assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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