LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10757-2020 proposto da:
M.M., M.C., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ELENA TORDELA;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 17/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Napoli del 17 marzo 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a M.M. e M.C., nati in Nigeria, potessero essere riconosciute la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
2. – Nel ricorso per cassazione gli istanti prospettano sette motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.
Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I primi due motivi sono svolti facendo valere due questioni di costituzionalità.
La prima investe il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, l’art. 24 Cost., commi 1 e 2, e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado.
La seconda ha pure ad oggetto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, l’art. 24 Cost., commi 1 e 2 e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.
Merita rilevare, anzitutto, che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. Sez. U. 12 novembre 2020, n. 25573; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3708; Cass. 15 giugno 2018, n. 15879).
Ben vero e’, poi, che l’eccezione di illegittimità costituzionale può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità (e quivi essere sollevata d’ufficio): essa, nondimeno deve essere ovviamente rilevante agli effetti della decisione della causa, e cioè deve avere una portata strumentale rispetto all’accoglimento o al rigetto del ricorso (Cass. 14 marzo 1995, n. 3784; Cass. 6 novembre 1995, n. 11555).
Ciò detto, la questione di costituzionalità basata sul restringimento del termine previsto per il ricorso per cassazione è irrilevante, dal momento che non ricorre una ipotesi di tardività della proposta impugnazione rispetto al termine di trenta giorni: sono gli stessi istanti a rilevare che il loro ricorso, sotto tale aspetto, “risulta essere tempestivo e rispettoso della novella legislativa”.
Parimenti irrilevante è la questione attinente al rilascio della procura, che deve essere successiva alla comunicazione del decreto impugnato, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13: infatti – e ciò è pure evidenziato dagli odierni istanti – la procura relativa al giudizio di cassazione risulta conferita in un momento successivo alla nominata comunicazione.
2. – Il terzo motivo è così rubricato: “Richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e ss. e relative deroghe espresse dal legislatore, nelle controversie in materia di protezione internazionale”.
La questione, a prescindere dai profili di irrilevanza, è manifestamente infondata.
Come osservato da questa S.C., infatti, la nuova disciplina non attua alcuna violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poiché il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717).
3. – Il quarto motivo è titolato come segue: “Richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013”.
I ricorrenti pongono un problema di compatibilità tra il diritto unionale, con riguardo alla tutela giurisdizionale che deve essere accordata ai richiedenti protezione internazionale, e la previsione del legislatore nazionale secondo cui il detto procedimento “e’ trattato in camera di consiglio” (art. 35-bis, comma 9, cit.). Al riguardo non è decisivo quanto disposto dall’art. 46.3 della dir. 2013/32/UE, secondo cui “gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva (2011 /95), quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado”. Infatti, per un verso, il rito camerale non esclude l’audizione del richiedente asilo e, per altro verso, la stessa Corte di giustizia ha precisato che la richiamata direttiva non impedisce, in via assoluta, al giudice nazionale di respingere il ricorso senza procedere all’audizione predetta (C. giust. 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, 49). 4. – Il quinto motivo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11; è lamentato che il Tribunale abbia rigettato la richiesta del difensore dei ricorrenti di fissare udienza in camera di consiglio: richiesta motivata anche dalla mancata messa a disposizione, da parte della Commissione territoriale competente, della videoregistrazione della loro audizione.
Il motivo è inammissibile.
La deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la denuncia di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).
Poiché la sentenza impugnata non reca traccia della questione sollevata col motivo di censura in esame, era onere dei ricorrenti dar conto degli elementi che potessero consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la consistenza. In particolare, facendosi questione della mancata fissazione dell’udienza di comparizione in assenza della videoregistrazione del colloquio con il richiedente dinanzi alla Commissione territoriale (evenienza in presenza della quale il tribunale deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato; per tutte: Cass. 23 maggio 2019, n. 14148; Cass. 5 luglio 2017, n. 17717), va ritenuto che il ricorrente, in difetto di puntuali indicazioni, quanto all’esistenza del vizio processuale, desumibili dalla sentenza impugnata, debba quantomeno riprodurre, nelle parti rilevanti, il contenuto del verbale relativo alla trattazione camerale della causa avanti al tribunale e il verbale redatto dalla commissione a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, comma 7, (atto – questo – da cui è desumibile il dato della mancata videoregistrazione del colloquio).
5. – Il sesto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, letto in combinazione con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19.
La censura, che investe il tema della protezione umanitaria, è infondata.
Il Tribunale, con riguardo alla detta forma di protezione, ha ritenuto insufficiente “il richiamo stereotipato alle diverse problematiche che affliggono la Nigeria e che si concretizzano genericamente nella violazione dei diritti umani” e ha poi osservato che ciò rendeva irrilevante l’apprezzamento di quegli elementi fondanti l’assunta integrazione sociale e lavorativa dei richiedenti.
Tali affermazioni appaiono corrette in diritto. Infatti, la situazione di vulnerabilità che dà titolo alla protezione umanitaria deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione).
6. – Il settimo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e art. 3, comma 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7 e 14, dell’art. 10 Cost., dell’art. 8 della dir. 2004/83/CE, dell’art. 8 della dir. 2001/95/CE e dell’art. 3 CEDU.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nell’affermazione per cui tutta la Nigeria sarebbe interessata a un conflitto armato di violenza indiscriminata: ciò che, invece, il Tribunale ha motivatamente escluso. E’ da rammentare in proposito che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).
7. – Il ricorso è respinto.
8. – Non vi sono spese da liquidare in favore della parte vittoriosa.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021