LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25508/2014 R.G. proposto da:
E.P.S.O. s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Gizzi, nel cui studio in Roma, via Anapo n. 29, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 208/4/2013 della Commissione tributaria regionale per l’Umbria, depositata il 24/3/2014 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/7/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.
RILEVATO
che:
1. In data 24/8/2011 l’Agenzia delle Entrate, in seguito ad accertamento compiuto ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4, per le società non operative, notificò alla società E.P.S.O. s.r.l. avviso di accertamento col quale rettificò il reddito dichiarato per l’anno 2006. Impugnato il predetto atto dalla contribuente, la C.T.P. di Terni accolse il ricorso con sentenza n. 140/01/12 del 13/7/2012, depositata il 10/9/2012, che fu riformata dalla C.T.R. per l’Umbria, adita dall’Ufficio, con la sentenza n. 208/04/2014, depositata il 24/3/2014.
2. Contro la predetta sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, n. 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. considerato tempestivo l’appello, siccome consegnato per la notifica il 15/3/2013, in quanto aveva ritenuto che, una volta computata la sospensione feriale dei termini, l’appello sarebbe dovuto essere notificato entro il 16/3/2013, benché invece il computo dei sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, sarebbe dovuto avvenire sulla base di 180 giorni solari, con conseguente scadenza del termine al 14 marzo 2013.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. affermato che il termine “verosimile” attribuito dai giudici di primo grado alle dedotte difficoltà incontrate nel 2006 dalla società (ossia la sperimentazione, in quell’anno, di un nuovo metodo di estrazione delle olive), non fosse idoneo a sorreggere adeguatamente la decisione favorevole e ritenuto che la documentazione prodotta non fosse sufficiente a dimostrare la reale situazione in cui versava la società. Al riguardo la contribuente, premesso che l’accertamento era stato svolto a tavolino sulla base di meri calcoli contabili indipendenti dalla reale situazione di fatto e che essa aveva provato documentalmente la mancata considerazione, da parte dell’Ufficio, di elementi dimostrativi della situazione non standard della società, ossia il fatto che l’attività non fosse a regime in ragione della profonda modifica subita dal processo produttivo per l’avvio di una nuova tecnologia di spremitura con relativi investimenti, parte dei quali finanziati con fondi Europei in attuazione del piano di sviluppo agricolo regionale, ha stigmatizzato il giudizio della C.T.R. in quanto non aveva valutato che il collaudo relativo al piano di sviluppo rurale, attestante la sola acquisizione dei beni strumentali oggetto del contributo e non la loro entrata in funzione, fosse stato effettuato nel mese di maggio 2006, che tale sistema innovativo avesse richiesto continui test e adattamenti dell’impianto e che l’autorizzazione comunale per la realizzazione di alcuni lavori (tra cui la posa in opera di una vasca per il trattamento delle acque reflue e la realizzazione di un muro di recinzione) fosse intervenuta solo nel 2007, a dimostrazione della eccezionalità della situazione nel 2006.
3. Col terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la C.T.R. affermato che la contribuente non avesse assolto all’onere probatorio su di lei gravante a dimostrazione che, nel 2006, si fosse trovata in un periodo di non normale svolgimento della attività, senza considerare che in realtà fosse onere dell’Agenzia delle Entrate dimostrare l’esistenza delle condizioni di cui alla L. n. 724 del 1994 e che, una volta dimostrata la sussistenza di una situazione “non standard”, incombesse nuovamente sull’Ufficio provare l’infondatezza di quanto sostenuto dalla contribuente.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata pronuncia su circostanza controversa e decisiva ai fini del giudizio, per avere la C.T.R. esaminato soltanto gli aspetti relativi alla tempestività del gravame e alla sussistenza delle condizioni che giustificassero il ricorso alle procedure in tema di società non operative, senza pronunciarsi sul merito della controversia e in particolare sulle considerazioni difensive afferenti alle modalità di calcolo della maggiore imposta dovuta, anche applicando la normative sulle società di comodo. La contribuente ha, in particolare, evidenziato di avere rilevato, con le controdeduzioni in appello, l’erroneità del calcolo sui ricavi presunti e sul reddito presunto con riferimento all’asset “immobili e altri beni”, i quali avrebbero richiesto l’applicazione di diversi e inferiori coefficienti di rivalutazione ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, commi 1 e 3, lett. d), per gli immobili situati in Comuni non popolazione inferiore ai mille abitanti, come quello di Parrano, i quali, pur previsti con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, entrata in vigore il 1/1/2008, sarebbero dovuti essere applicati alla fattispecie, essendo l’Agenzia tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell’accertamento, avvenuto il 29/9/2011.
5. Il primo motivo è infondato.
E’ principio pacifico infatti che, nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., il sistema della computazione civile, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 2, e dell’art. 2963 c.c., comma 4, avviene non ex numero, bensì ex nominatione dierum, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale, e che, analogamente, si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini, ai sensi della L. 7 ottobre 1969, n. 742 (ratione temporis vigente), sicché per calcolare i termini di decadenza dal gravame non occorre tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno (in tal senso, Cass., Sez. 6 – 1, 25/08/2020, n. 17640; Cass., Sez. 6-1, 9/7/2012, n. 11491).
Pertanto, essendo stata la sentenza di primo grado depositata il 10/9/2012, con sospensione del termine fino al 15 settembre 2012, il termine per la notifica dell’appello andava a cadere il venerdì 15/3/2013, con la conseguenza che l’appello, in quanto consegnato per la notifica proprio il 15/3/2013, era tempestivo.
6. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono inammissibili.
Si premette che la L. n. 724 del 1994, art. 30, al fine di “disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo” (Cass., Sez. 5, 21/10/2015, n. 21358; Cass., Sez. 6-5, 28/9/2017, n. 26728), prevede, al comma 1, una presunzione legale relativa, fondata sulla massima di esperienza per la quale non vi e’, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione), in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci. A fronte di tale presunzione, è concessa al contribuente la facoltà di richiedere, mediante presentazione di istanza di interpello ai sensi del successivo comma 4-bis (inserito dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 15, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248), la disapplicazione delle “disposizioni antielusive” o di fornire la prova contraria allorquando sussistano situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, o non abbiano consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini Iva, ciò al fine di rispondere all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cass., Sez. 5, 20/4/2018, n. 9852; Cass., Sez. 5, 30/12/2019, n. 34642).
La facoltà, concessa al contribuente, di ottenere la disapplicazione della suddetta disciplina attraverso il meccanismo dell’interpello disapplicativo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8 (peraltro abrogato dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, comma 2, ma comunque tuttora sussistente in virtù della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis), ovvero di accedere alla prova contraria sia in sede amministrativa che processuale, possibile peraltro anche in seguito alle modifiche apportate alla L. n. 724 del 1994, art. 30, dalla L. n. 296 del 2006 (sul punto, Cass., Sez. 5, 24/02/2021, n. 4946), è del resto espressione degli stessi principi formulati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04), allorché ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cass., Sez. 5, 20/06/2018, n. 16204).
Pertanto, a fronte della triplice presunzione legale relativa contemplata dal ridetto art. 30, che fa derivare dall’accertamento dell’esistenza degli elementi patrimoniali indicati nell’art. 30, comma 1, il fatto ignoto dell’inoperatività della società, quanto alla prima, che correla all’inoperatività l’impiego elusivo dello schema societario per la gestione di patrimoni, quanto alla seconda, e che fa scaturire dall’inoperatività la percezione di un reddito minimo, quanto alla terza, il contribuente ha la facoltà di superare la prima dimostrando l’insussistenza di elementi patrimoniali valorizzati dall’Amministrazione finanziaria ai fini del test di operatività o la sussistenza di un’effettiva attività imprenditoriale, e la seconda attraverso la prova di una situazione oggettiva e non imputabile all’interessato che giustifichi la scarsità dei ricavi e del reddito (sul punto, Cass., Sez. 5, 24/02/2021, n. 4946, cit.).
A quest’ultimo riguardo, questa Corte ha già avuto modo di osservare come l’impossibilità dell’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui al ridetto art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario, debba essere intesa non in termini assoluti, bensì economici, in quanto aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass., Sez. 5, 20/06/2018, n. 16204), ed elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta (Cass., Sez. 5, 03/11/2020, n. 24314).
6.2 Orbene, nella specie, le contestazioni sollevate dal contribuente vertono sul dedotto avvenuto superamento della presunzione legale per il tramite di una serie di elementi, sostanzialmente ricondotti all'”avvio”, nell’anno di imposta 2006, “di una nuova tecnologia di spremitura con relativi investimenti in parte finanziati con fondi Europei a cura della Regione umbra”, all’avvenuto collaudo del Piano di sviluppo rurale 2000/2007 della Regione umbra nel mese di maggio 2006, alla necessità di sottoporre il nuovo sistema produttivo a continui test e adattamenti dell’impianto e, infine, al rilascio soltanto nel 2007 dell’autorizzazione comunale per la posa in opera della vasca per il trattamento delle acque reflue del processo produttivo e di un muro di recinzione dell’azienda, asseritamente non esaminati dalla C.T.R.
Sul punto, va però ricordato che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Ciò comporta che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente debba indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Orbene, la necessità che il vizio debba attenere ad un “fatto storico” esclude in sé l’ammissibilità del rilievo sollevato con il quarto motivo, non potendosi considerare tale la questione relativa all’applicabilità, all’anno di imposta 2006, dell’indice dello 0,9 per cento introdotto dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 128, lett. 2), per i Comuni con meno di mille abitanti.
Quanto alle doglianze espresse con il secondo e il terzo motivo, si osserva come la C.T.R. abbia dato conto di alcuni degli elementi dedotti al fine di superare la presunzione legale di non operatività della società, sia quanto alla innovatività dell’impianto, ritenuta non provata, sia alla data del suo funzionamento, asseritamente rimasta incerta, sia all’approvazione, da parte della Regione, dello stato finale degli investimenti, reputata non decisiva, né rilevante in quanto non costituente un collaudo, mentre, pur non avendo esaminato l’incidenza dei restanti elementi, quelli relativi alle autorizzazioni amministrative rilasciate per lavori edili soltanto nel 2007, il ricorso pecca di specificità, non essendo stato evidenziato né il momento in cui la relativa domanda era stata avanzata dal contribuente all’ente, né la decisività ai fini dell’asserito stallo dell’attività.
Può allora dirsi che le doglianze proposte si risolvano in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
8. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021