Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26225 del 28/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13436-2017 proposto da:

Artigiansalumi di M.S. & C. sas, elettivamente domiciliadta in Roma, via di Pietralata 320, presso lo studio dell’Avv. Gigliola Mazza Ricci, rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Pasquale Masucci;

– ricorrente –

contro

SOGET spa;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2862/27/16 della CTR Bari, Sez. Foggia, depositata il 24 novembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 07/07/2021 dal relatore DARIO CAVALLARI;

letta la memoria del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale U. DE Augustinis, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Artigiansalumi di M.S. & C. sas, concessionaria di suolo pubblico nel Comune di Torremaggiore, ha ricevuto la notifica di cinque avvisi di accertamento TOSAP, comprensivi di interessi e sanzioni, relativi agli anni dal 2008 al 2012.

La società contribuente ha proposto cinque opposizioni contro ciascun avviso davanti alla CTP di Foggia che, nel contraddittorio delle parti, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 275/6/13, li ha accolti per difetto di motivazione degli avvisi e per mancanza di prova della pretesa tributaria azionata.

La SOGET spa ha proposto appello che la CTR di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2862/06/2016, ha accolto.

L’Artigiansalumi di M.S. & C. sas ha presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Parte intimata non ha svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, nonché artt. 3,24 e 117 Cost., art. 6 CEDU, e art. 2697 c.c., atteso che la CTR avrebbe errato nel ritenere ammissibile in appello l’eccezione di controparte relativa alla circostanza che gli avvisi impugnati erano stati emessi sulla base del processo verbale di constatazione, nonostante detta eccezione non fosse stata articolata in primo grado.

Inoltre, la CTR non avrebbe potuto presentare in appello nuovi documenti, come il menzionato processo verbale, che fossero anche nuove prove.

Qualora si fosse condivisa l’interpretazione della vigente normativa seguita dalla CTR, la Artigiansalumi di M.S. & C. sas solleva questione di legittimità costituzionale con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, per contrasto con gli artt. 3,24 e 117 Cost., e art. 6 CEDU, e con i criteri di razionalità ed i principi generali dell’ordinamento laddove consente di produrre in appello la prova documentale.

Infine, la società ricorrente si duole della violazione dell’art. 2697 c.c., poiché il PVC, essendo stato prodotto in appello, non avrebbe potuto essere utilizzato come prova.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, si evidenzia che non può affermarsi la tardività dell’eccezione relativa alla circostanza che gli avvisi impugnati erano stati emessi sulla base del processo verbale di constatazione, atteso che, come evidenziato nella sentenza impugnata, tali avvisi si fondavano proprio sul presupposto che la società contribuente aveva occupato una superficie di gran lunga maggiore rispetto a quella dichiarata e che i PVC, debitamente sottoscritto dal titolare della società in questione, conteneva i risultati delle misurazioni rilevanti nella fattispecie.

Quanto al fatto che non potevano essere depositati documenti aventi valore di prova, si rileva che, per costante giurisprudenza (Cass., Sez. 5, 16 novembre 2018, n. 29568), “Nel processo tributario, poiché il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione in appello di qualsiasi documento, la stessa può essere effettuata anche dalla parte rimasta contumace in primo grado, poiché il divieto posto dal detto decreto, art. 57, riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto”.

Questo principio non può che riguardare i documenti aventi valore di prova, non comprendendosi, invece, quale utilità potrebbe avere per la parte il deposito di eventuali documenti privi di valenza istruttoria.

In ordine all’eccezione di illegittimità costituzionale di parte ricorrente, si rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 199 del 2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli artt. 3,24 e 117 Cost., del citato art. 58, comma 2, laddove consente che la parte possa produrre in appello qualsiasi documento, anche se non già presentato in primo grado oppure prodotto, ma non esaminato dal giudice, in quanto tardivo.

La Consulta ha ritenuto che non vi fosse alcuna disparità di trattamento tra le parti del giudizio, visto che la facoltà di produrre per la prima volta documenti in appello è riconosciuta ad entrambe le dette parti, cosicché non vi è alcuno “sbilanciamento” processuale, né una compressione del diritto di difesa, poiché non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo, attesa la discrezionalità del legislatore in ordine alla disciplina dei singoli istituti processuali, nei limiti della ragionevolezza, e la mancanza, nel nostro ordinamento, di un principio costituzionale che prescriva un doppio grado di merito.

Le esposte considerazioni si estendono alle osservazioni della società ricorrente concernenti l’art. 6 CEDU, i criteri di razionalità ed i principi generali dell’ordinamento.

Inoltre, nessuna violazione dell’art. 2697 c.c., è ravvisabile, considerato che il PVC è stato utilizzato per dimostrare il presupposto dell’imposizione contestata, ovvero l’occupazione di una superficie superiore rispetto a quella dichiarata.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e art. 24 Cost., poiché il PVC era stato impiegato per integrare la motivazione degli avvisi di accertamento nonostante non fosse stato richiamato negli stessi.

La doglianza è infondata.

Infatti, gli avvisi di accertamento in esame sono stati compiutamente motivati con riferimento alla circostanza che era emersa l’occupazione, ad opera della società ricorrente, di una superficie superiore a quella autorizzata. Neppure può sostenersi la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, il quale recita che “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”, poiché il menzionato PVC, come sostiene parte ricorrente, non è stato indicato negli avvisi.

Risulta rispettato, altresì, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, il quale dispone che “Gli avvisi di accertamento in rettificà e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. (…)”, considerato che la CTR ha attestato che detto PVC è stato debitamente sottoscritto dal titolare della società contribuente.

3. Con il terzo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c..

La doglianza relativa all’art. 2697 c.c., è respinta per le ragioni sopraesposte.

Quanto all’art. 115 c.p.c., con riferimento al quale parte ricorrente contesta il mancato rispetto del principio di non contestazione, si rileva l’inammissibilità della doglianza, atteso che “Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass., Sez. 6-3, 22 maggio 2017, n. 12840), il che, nella specie, non è avvenuto.

4. Il ricorso è respinto.

Alcuna statuizione deve essere assunta in ordine alle spese di lite, attesa la condotta processuale di controparte.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater, dell’obbligo, per la parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 Sezione Civile, tenuta con modalità telematiche, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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