LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7668/2019 R.G. proposto da:
GRADENIGO S.R.L., in persona dell’amministratore delegato p.t.
M.F., rappresentata e difesa dai Prof. Avv. Gianluca Contaldi e Vittorio Barosio e dall’Avv. Fabio Dell’Anna, con domicilio eletto in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina, n. 63, presso lo studio del Prof. Avv. Gianluca Contaldi;
– ricorrente –
contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Alessandra Rava, Marco Piovano e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14;
– controricorrente –
e AZIENDA SANITARIA LOCALE CITTA’ DI *****, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Stefano Manni e Michele Sinibaldi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via N. Ricciotti, n. 11;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1475/18, depositata il 2 agosto 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che la Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, in qualità di titolare del presidio sanitario Gradenigo, convenne in giudizio la Regione Piemonte e l’Azienda Sanitaria Locale ***** *****, per sentirle condannare al pagamento della somma di Euro 3.101.452,33, oltre interessi, a titolo di saldo del corrispettivo per le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale negli anni 2009 e 2010, con l’accertamento che nessuna somma era dovuta in restituzione alle convenute per il medesimo periodo;
che si costituì la Regione, e resistette alla domanda, sostenendo che nello anno 2009 l’importo delle prestazioni rese dall’attrice era risultato superiore al tetto di spesa previsto dal contratto di accreditamento, mentre per l’anno 2010 non era stato stipulato alcun contratto;
che si costituì inoltre l’Asl, e resistette anch’essa alla domanda, sostenendo di non essere parte del contratto stipulato con l’attrice, aggiungendo che quest’ultimo aveva cessato di produrre effetti dal 31 dicembre 2009, ed opponendo comunque l’insussistenza delle condizioni di flessibilità previste per la compensazione tra l’incremento dei volumi dell’attività ambulatoriale e la riduzione di quelli dell’attività di degenza ordinaria;
che con sentenza del 14 marzo 2016 il Tribunale di Torino accolse parzialmente la domanda, condannando le convenute al pagamento della somma di Euro 219.675,45, oltre interessi, a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per le prestazioni erogate nell’anno 2009, escludendo il diritto al pagamento del corrispettivo di quelle erogate nell’anno 2010, per mancanza di un contratto stipulato in forma scritta, e ritenendo non dovuto l’indennizzo per lo ingiustificato arricchimento, richiesto in via subordinata nella memoria depositata dall’attrice ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, in quanto l’Asl aveva già pagato importi corrispondenti al tetto massimo previsto, senza operare alcuna compensazione;
che il gravame interposto dalla Gradenigo S.r.l., in qualità di conferitaria del ramo d’azienda della Congregazione relativo all’attività assistenziale e sanitaria svolta presso il presidio sanitario, è stato rigettato dalla Corte d’appello di Torino con sentenza del 2 agosto 2018, che ha accolto invece l’appello incidentale proposto dalla Regione e parzialmente quello proposto dall’Asl, dichiarando inammissibili le domande di risarcimento dei danni ed indennizzo per l’ingiustificato arricchimento proposte dall’attrice in via subordinata relativamente alle prestazioni erogate nell’anno 2010;
che avverso la predetta sentenza la Gradenigo ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, al quale la Regio e l’Asl hanno resistito con controricorsi.
CONSIDERATO
che con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. e dell’art. 2041 c.c., sostenendo che, nel ritenere inammissibile la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, in quanto proposta soltanto nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa, formulata in via subordinata in conseguenza delle eccezioni di nullità del contratto sollevate dalle convenute in relazione alle prestazioni erogate nell’anno 2010, non comportava una mu-tatio, ma un’emendatio libelli, riferendosi alla medesima vicenda sostanziale allegata a sostegno della domanda principale, avendo ad oggetto il medesimo bene della vita ed essendo legata alla stessa da un rapporto di connessione per incompatibilità;
che il motivo è fondato;
che la sentenza impugnata non può essere infatti condivisa nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento proposta in via subordinata dall’attrice nella memoria depositata ai sensi dell’art. 186 c.p.c., comma 6, n. 1, evidenziandone la novità rispetto a quella di pagamento proposta in via principale sulla base del contratto di accreditamento stipulato con la Regione, in quanto caratterizzata da un diverso petitum e da una diversa causa petendi, e ritenendo ininfluente l’attinenza della stessa alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio;
che l’orientamento richiamato a sostegno della predetta affermazione, già prevalente nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2010, n. 26128; v. anche, più recentemente, Cass., Sez. I, 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. II, 4/07/2018, n. 17482), deve ritenersi infatti superato per effetto di una recente sentenza delle Sezioni Unite, la quale ha enunciato il principio di diritto secondo cui le modificazioni della domanda ammesse ai sensi dell’art. 183 c.p.c. possono riguardare uno o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 15/06/2015, n. 12310; Cass., Sez. VI, 30/09/2020, n. 20898; Cass., Sez. III, 14/02/2019, n. 4322);
che a tale conclusione le Sezioni Unite sono pervenute sulla base delle seguenti considerazioni: a) l’art. 183 c.p.c. non pone limiti né qualitativi né quantitativi alla modificazione delle domande, né prevede un divieto esplicito o implicito di modificazione di uno degli elementi oggettivi di identificazione delle stesse, b) nel consentire eccezionalmente la proposizione delle sole domande che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, tale disposizione si riferisce alle stesse domande iniziali modificate o a domande diverse, che però non si aggiungono a quelle iniziali, ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto alle stesse, in rapporto di alternatività, c) tali domande devono riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio o comunque essere a questa collegate, nonché connesse alla domanda originaria, quanto meno per alternatività, rappresentando quella che l’attore ritiene la soluzione più adeguata ai propri interessi, d) la modificazione della domanda non comporta una menomazione delle facoltà difensive della controparte, intervenendo nella fase iniziale del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di trattazione e prima dell’ammissione delle prove, ed essendo in ogni caso prevista l’assegnazione di un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio, e) tale interpretazione risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, favorendo la soluzione in un unico contesto della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice, evitando la proliferazione dei processi, con il rischio di giudicati contrastanti, ed assicurando l’effettività della tutela, messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche;
che, in conformità al predetto principio, è stato successivamente affermato che, nel giudizio introdotto mediante la domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (cfr. Cass., Sez. Un., 13/09/2018, n. 22404; Cass., Sez. VI, 3/12/2020, n. 27620; Cass., Sez. III, 28/11/2019, n. 31078);
che a sostegno di tale affermazione si infatti osservato che, ove la domanda di adempimento contrattuale e quella di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento si riferiscano alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale, esse attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell’una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell’altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell’equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti), e sono legate da un rapporto di connessione per incompatibilità non solo logica, ma addirittura normativamente prevista (stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’art. 2042 c.c.), il quale giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus;
che non può condividersi l’obiezione sollevata dalle difese della Regione e dell’Asl, secondo cui il principio invocato dalla ricorrente non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame, in quanto la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento non è stata proposta in sostituzione di quella di pagamento, ma in aggiunta a quest’ultima, e senza rinunciare alla stessa, con la conseguenza che nella specie non sarebbe configurabile un’emendatio libelli, ma una mutatio libelli;
che ai fini dell’ammissibilità della modificazione, non si richiede infatti una formale rinuncia alla domanda originariamente proposta, risultando sufficiente che, in virtù del rapporto di alternatività ed incompatibilità tra la stessa e la domanda modificata, l’accoglimento di quest’ultima rivesta una portata sostitutiva di quello della prima, in caso di ritenuta inammissibilità o infondatezza della stessa, unico essendo, sotto il profilo sostanziale, l’obiettivo avuto di mira dall’attore, al di là della diversa qualificazione giuridica della pretesa avanzata;
che, nella medesima ottica, deve ritenersi ininfluente anche la circostanza, fatta valere dalla difesa dell’Asi, che nella specie la domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento sia stata proposta in via ulteriormente gradata rispetto alla domanda di risarcimento del danno, a sua volta avanzata in via subordinata rispetto a quella di adempimento contrattuale, trattandosi in entrambi i casi di domande non ulteriori rispetto a quella principale, ma volte al conseguimento del medesimo bene della vita che costituiva oggetto di quest’ultima, e quindi destinate ad essere prese in esame, nell’ordine indicato dall’attrice, in caso di ritenuta inammissibilità o rigetto della stessa;
che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nella parte riguardante la dichiarazione d’inammissibilità della domanda d’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021