LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37870-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
N.C.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7506/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.
RILEVATO
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Campania, sezione staccata di Salerno, che ha respinto il suo appello avverso una decisione CTP Avellino, di accoglimento del ricorso proposto dalla s.r.l. “TOP.C” avverso un avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA 2010, con il quale erano state recuperate a tassazione somme riferite a fittizi costi sostenuti per acquisti di beni da due società ritenute inesistenti e prive di struttura organizzativa (s.r.l. “GSA” ed s.p.a. “RC ITALIA”); la CTR ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo nullo l’avviso di accertamento impugnato per omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale; ha inoltre ritenuto che, in ogni caso, la società contribuente avesse fornito adeguate giustificazioni circa la dimensione organizzativa delle imprese, con le quali aveva avuto rapporti commerciali, la tipologia delle operazioni compiute ed i titoli di pagamento dei beni acquistati e venduti.
CONSIDERATO
che il ricorso è affidato a due motivi;
che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, nella specie, la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale non era applicabile, trattandosi di avviso di accertamento emesso “a tavolino” e non preceduto da accessi, ispezioni o verifiche fiscali nei locali, nei quali la società contribuente svolgeva la propria attività commerciale;
che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione TUIR, art. 109 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata affermato che la società contribuente aveva dimostrato che il risultato dell’accertamento avrebbe potuto essere diverso, tenuto conto delle fatture prodotte in atti; nella specie, era onere della società contribuente dimostrare l’inerenza dei costi e cioè fornire ogni elemento utile per una precisa individuazione delle prestazioni genericamente esposte in fattura; e l’emissione di regolare fattura e la presenza di regolari pagamenti non erano sufficienti a fornire la prova della reale effettuazione delle operazioni contestate, essendo stato dimostrato che la struttura delle due società, che aveva emesso le fatture disconosciute, era inadeguata allo svolgimento delle operazioni fatturate;
che la società intimata non si è costituita;
che il primo motivo di ricorso è fondato;
che, invero, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere non obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento agli accertamenti in materia di IRES ed IRAP, ritenendo che detto obbligo sussista solo con riferimento agli accertamenti in materia di tributi armonizzati, quale è l’IVA, ponendosi tuttavia in tale ultimo caso a carico della società contribuente l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr., in termini; Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 20267 del 2017);
che, nella specie, l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente ha avuto ad oggetto IRES, IVA ed IRAP 2010;
che, con riferimento all’IRES ed all’IRAP, si è trattato di accertamento induttivo, da qualificare come “accertamento a tavolino”, per non avere esso comportato l’accesso del personale accertatore presso la sede della società contribuente; invero l’Agenzia delle entrate si è limitata a contestare a quest’ultima gli esiti di accertamenti svolti nei confronti di altre due società (la s.r.l. “GSA” e la s.p.a. “RC ITALIA”), ritenute società cartiere, siccome priva di strutture organizzative, le quali avevano emesso nei confronti della società intimata fatture ritenute false; che, pertanto, con riferimento all’IRES ed all’IRAP, non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, mentre, con riferimento all’IVA, la società contribuente ha omesso di indicare, com’era suo onere, le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, non potendo queste ultime identificarsi con le argomentazioni in concreto svolte dalla società intimata in sua difesa;
che è altresì fondato il secondo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate;
che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8919 del 2020; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 18118 del 2016; Cass. n. 28683 del 2015; Cass. n. 6973 del 2015), le fatture costituiscono normalmente il titolo, in forza del quale il contribuente può detrarsi l’IVA e dedursi i costi in esse annotati; e spetta all’ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto; la relativa prova tuttavia può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presuntivi, atteso che la prova presuntiva non può collocarsi su di un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce pertanto una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 9108 del 2012); pertanto, l’ufficio, qualora ritenga che le fatture concernano operazioni oggettivamente inesistenti, siano cioè mere espressioni cartolari di operazioni commerciali mai poste in essere e contesti pertanto sia l’indebita detrazione dell’IVA, sia la deduzione dei relative costi, è tenuto a provare che le operazioni fatturate non siano mai state effettuate, potendo allegare, a tal fine, anche elementi meramente indiziari; ed a tal punto sarà onere del contribuente provare l’effettiva consistenza delle operazioni fatturate; tale ultima prova non può tuttavia consistere nella mera esibizione delle fatture, ovvero nella dimostrazione delle regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, trattandosi di elementi facilmente falsificabili e normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reali operazioni che tali non sono; con specifico riferimento all’IVA, inoltre, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta non discende dal solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata nelle fatture, richiedendosi altresì il requisito dell’inerenza dell’operazione all’impresa, inerenza da ritenersi mancante nel caso di IVA corrisposta per operazioni inesistenti, inidonee per loro natura a giustificare pagamenti a titolo di rivalsa, qualora siano ritenuti costi non inerenti all’attività d’impresa ed anzi potenziali espressioni di detrazioni verso finalità ulteriori e diverse, tali da recidere il citato ed indispensabile nesso di inerenza;
che, nella specie in esame, la CTR non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi di diritto, avendo essa fondato la propria decisione su circostanze meramente formali e cioè sulla regolarità formale delle scritture contabili prodotte dalla società intimata; avendo fatto unicamente riferimento alla documentazione prodotta (fatture di acquisto, titoli di pagamento, documenti di vendita a clienti, prospetto degli utili conseguiti dalla cessione dei beni acquistati dalle due società fornitrici ritenute essere società cartiere);
che la sentenza impugnata ha tuttavia omesso di motivare in ordine ad una circostanza essenziale e fondamentale, quale la totale falsità delle fatture emesse a monte dalle citate società s.r.l. “GSA” ed s.p.a. “RC ITALIA”, entrambe rivelatesi costruzioni fittizie, finalizzate alla commissione di illeciti fiscali; ed è sulla base di tali fatture che sono state poi emesse quelle nei confronti della società intimata;
che, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR Campania, sezione staccata di Salerno, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente grado di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021