LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 16953/2019 r.g. proposto da:
G.B., (cod. fisc. *****) e F.M. (cod. fisc.
*****), entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Giovanni Melchiorre, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Bellante (TE), alla via Molise n. 17;
– ricorrenti –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., (cod. fisc. *****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato Anna Maria Rosaria Ursino, con la quale elettivamente domicilia presso l’Area Legale Territoriale Centro di Poste Italiane s.p.a., in *****;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 30746/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 28/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 09/09/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia Giovanni Battista, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avv. Di Ieso, per delega dell’Avv. Ursino, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi l’avverso ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza dell’8 novembre 2016, il Tribunale di Teramo respinse l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a., nei confronti di G.B. e F.M., contro la sentenza con cui il Giudice di pace di Campli aveva accolto la domanda di questi ultimi volta ad ottenere l’importo ad essi ancora dovuto quale differenziale, quantificato in Euro 1.301,12, rispetto a quanto corrispostogli dalla società per interessi su tre buoni postali fruttiferi emessi il ***** ed il *****.
1.1. Ritenne quel tribunale che dovesse farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 13979 del 2007, attribuendosi, dunque, rilievo preminente a quanto letteralmente risultante dai buoni.
2. Il ricorso proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso tale decisione è stato accolto da questa Corte, che, con ordinanza n. 30746 del 2018, dopo aver dato atto che gli intimati G.B. e F.M. non avevano svolto difese nel giudizio di legittimità, ha opinato che il “principio, che valorizza il carattere della letteralità dei buoni postali fruttiferi, e che il Tribunale di Teramo ha creduto di dover applicare, non ha tuttavia assolutamente niente a che vedere con la vicenda, totalmente diversa, che era sottoposta al suo esame. Nel caso in discorso, difatti, non veniva affatto in considerazione (…) la discordanza tra quanto risultante dai buoni e quanto previsto in ordine alla determinazione degli interessi da decreti ministeriali adottati dall’allora Ministero delle Poste, bensì l’applicazione del D.L. 19 settembre 1986, n. 556, art. 1 convertito, con modificazioni, in L. 17 novembre 1986, n. 759”, che “ha assoggettato i buoni postali fruttiferi, che in precedenza ne erano esenti (in applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31), alla prevista ritenuta erariale (successivamente sostituita dalla relativa imposta sostitutiva): ed il legislatore ha stabilito che detta imposizione fiscale dovesse applicarsi in misura ridotta della metà soltanto in relazione ad obbligazioni e titoli emessi fino al 30 settembre 1987, e dunque dovesse applicarsi per intero per i buoni postali fruttiferi emessi a far data dal 1 ottobre 1987, quali quelli oggetto del contendere, emessi come si è detto in espositiva nell'*****”.
3. Questa ordinanza è stata impugnata con ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, affidato ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., dal G. e dalla F.. Ha resistito, con controricorso, Poste Italiane s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’odierno ricorso deve considerarsi tempestivo, risultando proposto entro i sei mesi dalla data di pubblicazione dell’ordinanza impugnata, né risultando l’avvenuta notifica di quest’ultima agli odierni ricorrenti ai fini del decorso del termine breve di cui all’art. 391-bis c.p.c., comma 1.
2. Allo scrutinio del formulato motivo, poi, giova premettere che costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza o dell’ordinanza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; l’errore di fatto revocatorio consiste, difatti, in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (cfr., tra le più recenti, Cass., SU, n. 5906 del 2020).
2.1. In altri termini, come ripetutamente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 4344 del 2020, in motivazione; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 27570 del 2018; Cass. n. 442 del 2018), l’istanza di revocazione di una decisione della Corte di cassazione, proponibile ex art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 395 c.p.c., n. 4, e consistente in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile, escluso (o accertato) in base agli atti ed ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla decisione, l’altra dagli atti e documenti processuali (cfr. Cass., SU. n. 10854 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 10249 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 31032 del 2019), sempreché la realtà desumibile dalla decisione stessa sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13915 del 2005; Cass. n. 2425 del 2006; Cass. n. 22171 del 2010; Cass., SU, n. 9882 del 2001; Cass., SU, n. 23856 del 2008; Cass., SU, n. 4413 del 2016; Cass. n. 16138 del 2019). Il vizio revocatorio, invece, non ricorre ove la statuizione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (cfr. Cass. n. 20635 del 2017, menzionata, in motivazione, anche dalla più recente Cass. n. 16138 del 2019. Si veda pure Cass., SU, n. 4367 del 2021, che ha escluso la percorribilità della revocazione ove non si tratti di errore percettivo sull’identificazione degli atti, ma di attività di interpretazione e valutazione degli stessi). Un siffatto errore, poi, deve: i) essere essenziale e decisivo (cfr. Cass. n. 11200 del 2018, in motivazione; Cass. n. 25871 del 2017; Cass. 24334 del 2014), nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la statuizione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che, senza l’errore, la pronuncia sarebbe stata diversa (cfr., tra le ultime, Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 14656 del 2017); rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la decisione impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
3. Tanto premesso, con l’unico, formulato motivo, i ricorrenti sostengono che l’ordinanza impugnata vada revocata per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, consistito nell’omesso rilievo dell’inesistenza o, quanto meno, della nullità della notifica del ricorso per cassazione introduttivo del procedimento n. 12078/2017 r.g.n. (all’esito del quale è stata resa l’ordinanza predetta), mai ricevuto dal loro difensore costituito nel giudizio di appello, Avv. Giovanni Melchiorre.
3.1. Essi affermano di avere avuto conoscenza del processo solo dopo la notifica dell’atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale di Teramo, giudice del rinvio, e deducono, assumendo di non essere in possesso di documentazione, che la decisione sia stata pronunciata sull’errato presupposto della effettività, oltre che della tempestività, della notifica del pregresso ricorso per cassazione. Chiedono, quindi, una volta accertata l’inesistenza della notifica del ricorso e revocata l’ordinanza, che sia dichiarato l’avvenuto passaggio in giudicato della ivi impugnata sentenza del Tribunale di Teramo dell’8 novembre 2016.
3.1.1. Di contro, Poste Italiane s.p.a. deduce che il ricorso venne ritualmente notificato presso lo studio del difensore dei ricorrenti, Avv. Giovanni Melchiorre, sito in *****, a mezzo del servizio postale “come da allegate ricevute UNEP – Corte di appello di Roma del 3/5/2017, cronologico 4983”; aggiunge che il ricorso venne notificato anche alle parti personalmente a mezzo posta, dall’Ufficiale giudiziario presso la Corte di appello di Roma, con plico raccomandato, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., spedito dall’Ufficio postale di *****.
4. La descritta doglianza imputa all’ordinanza impugnata di non essersi avveduta di un fatto incontestabilmente risultante dagli atti, vale a dire che il ricorso introduttivo del corrispondente giudizio non era stato notificato da Poste Italiane s.p.a. presso colui (Avv. Giovanni Melchiorre) che era stato difensore del G. e della F. nel precedente grado di appello, né personalmente a questi ultimi: fatto che non aveva costituito oggetto di contestazione. E’ dedotta, dunque, l’ipotesi della mancata notificazione del ricorso per cassazione (introduttivo del procedimento n. 12078/2017 n. r.g., concluso dall’ordinanza di questa Corte oggi impugnata) di cui il Collegio giudicante – senza statuire sulla validità di detta notifica e ritenendo validamente instaurato il rapporto processuale – non si è avveduto per errore percettivo.
4.1. Il motivo, dunque, è senz’altro ammissibile, dovendosi astrattamente ritenere configurabile l’errore revocatorio ogniqualvolta la pronuncia di inammissibilità o di ammissibilità del ricorso per cassazione sia conseguenza di una percezione erronea degli atti di causa.
4.2. Esso, poi, è fondato alla stregua delle argomentazioni tutte di cui appresso.
4.2.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione sussiste nei casi di totale mancanza materiale dell’atto, ovvero allorquando “venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente ed individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa” (cfr. Cass., SU, n. 14916 del 2016; Cass. n. 2174 del 2017; Cass. n. 3816 del 2018).
4.2.2. Costituisce, poi, orientamento consolidato, recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, quello secondo cui, in tema di notifica di un atto processuale tramite il servizio postale secondo le previsioni della L. n. 890 del 1982, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (cd. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima (cfr. Cass., SU, n. 10012 del 2021. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche, ex multis, Cass. n. 23921 del 2020; Cass. n. 17373 del 2020; Cass. n. 26287 del 2019; Cass. n. 16601 del 2019; Cass. n. 8082 del 2019; Cass. n. 5077 del 2019; Cass. n. 25552 del 2017).
4.2.3. Giova rimarcare, infine, che Cass. n. 17373 del 2020 ha precisato pure che “la mancanza di firma dell’agente postale sull’avviso di ricevimento del piego raccomandato rende inesistente, e non soltanto nulla, la notificazione, rappresentando la sottoscrizione l’unico elemento valido a riferire la paternità dell’atto all’agente notificante”, mentre, nella motivazione di Cass. n. 8082 del 2019, si legge, tra l’altro, che “l’avviso di ricevimento, parte integrante della relazione di notifica, ha natura di atto pubblico che – essendo munito della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. in ordine alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza – costituisce, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, il solo documento idoneo a provare (…) sia l’intervenuta consegna del plico con la relativa data, sia l’identità della persona alla quale è stata eseguita e che ha sottoscritto l’atto” e che “al fine di stabilire l’esistenza e la tempestività della notificazione di un atto giudiziario eseguita per mezzo del servizio postale, occorre far riferimento ai dati risultanti dalla ricevuta di ritorno”. Principio, quest’ultimo, espresso anche da Cass. n. 15374 del 2018, che, per l’ipotesi di notificazione tramite il servizio postale, individua nell’avviso di ricevimento il solo documento idoneo a fornire la prova dell’esecuzione della notificazione, della data in cui è avvenuta e della persona cui il plico è stato consegnato; da Cass. n. 25912 del 2017, secondo cui, qualora tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso, “la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta, non la mera nullità, ma la insussistenza della conoscibilità legale dell’atto cui tende la notificazione, nonché l’inammissibilità del ricorso medesimo, non potendosi accertare l’effettiva e valida costituzione del contraddittorio, in caso di mancata costituzione in giudizio della controparte”; da Cass. n. 25552 del 2017, alla cui stregua “la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta non la mera nullità bensì l’inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.) e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso medesimo”.
4.3. Fermo quanto precede, come già evidenziato nella sintesi del loro motivo, il G. e la F. affermano di non avere ricevuto, presso il loro difensore (Avv. Giovanni Melchiorre) o personalmente, alcuna notifica del ricorso per cassazione introduttivo del procedimento n. 12078/2017 n.r.g., concluso dall’ordinanza di questa Corte oggi impugnata.
4.3.1. Poste Italiane s.p.a. assume, invece, che quel ricorso venne ritualmente notificato presso lo studio del menzionato difensore, a mezzo del servizio postale “come da allegate ricevute UNEP – Corte di appello di Roma del 3/5/2017, cronologico 4983”; aggiunge che il ricorso venne notificato anche alle parti personalmente a mezzo posta, dall’Ufficiale giudiziario presso la Corte di appello di Roma, con plico raccomandato, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., spedito dall’Ufficio postale di *****.
4.3.1.1. Circa l’avvenuto inoltro di una raccomandata postale per la notifica del ricorso per cassazione, però, la controricorrente non affronta con la dovuta specificità la decisiva questione dell’avvenuta ricezione del plico da parte del destinatario, che rimane accennata, senza alcuna indicazione sulla data della stessa, nemmeno risultando prodotto (come evidenziato dai ricorrenti anche nella loro memoria ex art. 380-bis c.p.c.) il relativo avviso di ricevimento. Nemmeno risulta assistita da qualsivoglia specificità la sua affermazione secondo la quale il ricorso sarebbe stato notificato alle parti personalmente (nessun valore potendo assumere, invece, giusta quanto si è già ampiamento detto in precedenza, il Modello 28/Aut. del 9.5.2017, cui Poste Italiane s.p.a. intenderebbe ricollegare gli effetti del perfezionamento di quella notifica. Cfr. Cass. n. 25285 del 2014);
senza considerare che la produzione del documento comprovante l’avvenuta notifica avrebbe dovuto essere effettuata nel giudizio a quo, non in quello di revocazione.
4.3.2. L’ordinanza della quale si domanda la revocazione dà semplicemente atto, nell’intestazione, della mancata costituzione del G. e della F., ivi indicati come “intimati”, ed al punto 2 del paragrafo recante l’incipit “RILEVATO CHE”, afferma che “gli intimati non hanno spiegato difese”.
4.4. Dall’insieme dei dati sopra indicati emerge, allora, l’errore di fatto ascrivibile a questa Corte che, sull’erroneo presupposto dell’avvenuta notificazione del ricorso a G.B. ed a F.M., ha ritenuto instaurato il rapporto processuale e, quindi, non ha compiuto alcuna valutazione sulla regolarità del procedimento notificatorio che, invece, deve essere esclusa, perché non vi è prova dell’avvenuta consegna del piego raccomandato al destinatario indicato nell’atto.
4.4.1. E’ mancata, in particolare, la verifica riguardante uno degli elementi – nella specie quello afferente la fase di consegna dell’atto costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita (cfr. la già citata Cass., SU, n. 14916 del 2016).
4.5. L’errore che legittima la revocazione della sentenza deve emergere in modo evidente ed obiettivo dagli atti di causa interni al giudizio di legittimità e, quindi, l’accertamento va compiuto innanzitutto sul fascicolo d’ufficio del procedimento al quale si riferisce l’ordinanza oggetto di revocazione, nel quale, però, non si rinviene, con riguardo al momento della decisione di cui è chiesta la revocazione, l’avvenuta produzione dell’avviso di ricevimento, né un’eventuale ripresa del procedimento notificatorio dopo una prima notifica non andata a buon fine.
4.5.1. Nel giudizio di cassazione, ove l’intimato non si costituisca, è onere del ricorrente fornire la prova dell’esistenza della notifica mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, prescritto dall’art. 149 c.p.c., unico documento – come si è già precisato – idoneo a provare l’intervenuta consegna, la data di essa, l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita. L’omessa produzione dell’avviso determina, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’inammissibilità del ricorso, perché, mancando la prova del completamento della procedura notificatoria, si configura un’ipotesi di inesistenza della notifica, che ne impedisce la rinnovazione ex art. 291 c.p.c. (cfr., oltre alla già citata Cass. n. 25552 del 2017, la più recente Cass. n. 24355 del 2018, resa proprio in fattispecie di impugnazione per revocazione ex artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c.).
4.6. E’, poi, principio generale quello secondo cui se la motifica è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che lo stesso ha avuto comunque contezza del processo (cfr. Cass. n. 24355 del 2018, in motivazione; Cass. n. 1308 del 2018; Cass. n. 18243 del 2008).
4.6.1. Dall’applicazione di detti principi discende che nel giudizio di revocazione, ove si assuma che l’errore di fatto sia consistito nell’avere supposto l’esistenza dell’avviso di ricevimento, in realtà mai prodotto/formato, riguardante l’avvenuta notificazione a mezzo posta, l’onere di provare che quell’atto era stato depositato unitamente al ricorso, o comunque prima dell’udienza di discussione, grava sull’originario ricorrente (cfr. Cass. n. 24355 del 2018). In mancanza di una tale dimostrazione – come accaduto nella specie, in ragione di quanto si è detto in precedenza – si deve ritenere che l’atto non fosse stato depositato, nemmeno essendovi traccia di quel deposito nel fascicolo d’ufficio.
4.7. In conclusione, deve essere accolto il formulato motivo di ricorso e l’ordinanza impugnata va revocata in considerazione della decisività dell’errore commesso, che ha portato a ritenere ammissibile e fondato il ricorso per cassazione n. 12078/2017, che, invece, sulla base del principio di diritto richiamato nel punto che precede, doveva essere dichiarato inammissibile.
4.7.1. In tal senso, dunque, si deve qui statuire anche in sede rescissoria, con conseguente condanna di Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo. Nulla è invece dovuto in relazione al giudizio definito con l’ordinanza revocata, nel quale il G. e la F. non hanno svolto attività processuali, dovendosi solo dare atto che, stante il tenore della pronuncia adottata per quel giudizio, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte di Poste Italiane s.p.a., ivi ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
4.7.2. La fondatezza dell’odierno ricorso, invece, rende qui inapplicabile il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, revoca l’ordinanza n. 30746/2018 di questa Corte e, decidendo sul ricorso per cassazione n. 12078/2017, lo dichiara inammissibile.
Condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di revocazione, che si liquidano in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Nulla sulle spese del primo giudizio di legittimità, dandosi atto, esclusivamente in relazione a quest’ultimo, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di Poste Italiane s.p.a., ivi ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021