LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7546/2019 proposto da:
GENERALI ITALIA SPA, *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.D.L., e P.L., in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori M.D. E L., nonché G.K.A.;
– intimati –
nonché da:
MO.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 59, presso lo studio dell’avvocato LINDA MARIA DI RICO, rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTIANO DUVA;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
GENERALI ITALIA SPA, M.D.L., P.L. e G.K.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 66/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 14/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/05/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
RILEVATO
che:
a fronte delle gravissime lesioni riportate da M.D.L. a seguito dello scontro fra la vettura da lui condotta e quella di proprietà e guidata da Mo.Fr. (che aveva omesso di concedere la dovuta precedenza alla prima), l’Ina Assitalia assicuratrice del secondo – liquidò al M. l’intero massimale pari a 774.685,35 Euro;
con successivo atto di citazione, il M. e la moglie P.L., in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sui minori M.D. e L., nonché la P. anche quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore G.K.A., convennero in giudizio il Mo. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali dagli stessi subiti, detratti gli importi già percepiti dall’Ina Assitalia e dall’INAIL;
il Mo. contestò le domande e, previa autorizzazione, chiamò in causa la propria compagnia assicuratrice per esserne manlevato, deducendone la responsabilità contrattuale per mala gestio e la responsabilità precontrattuale per non aver fornito corrette informazioni sull’adeguatezza del massimale;
l’Ina Assitalia si costituì in giudizio, contestando le avverse pretese;
il Tribunale di Cremona, accertata l’esclusiva responsabilità del Mo. nella determinazione del sinistro, affermò che quanto già corrisposto a M.D.L. superava il risarcimento ad esso spettante e condannò il Mo. al risarcimento del danno in favore della P. (Euro 100.000,00), dei minori M.D. e L. (Euro 120.000,00 per ciascuno) e del minore G.K.A. (60.000,00 Euro);
pronunciando sul gravame proposto da Mo.Fr., la Corte di Appello di Brescia ha riformato parzialmente la decisione di primo grado, accertando un concorso colposo del 20% a carico del M., riducendo conseguentemente a 320.000,00 Euro (rispetto ai 400.000,00 Euro precedentemente liquidati) il risarcimento globale spettante agli altri componenti del nucleo familiare e ponendo il pagamento di tale somma a carico solidale del Mo. e della Generali Business Solutions s.c.p.a. (già Ina Assitalia), nei limiti del massimale di polizza quanto a quest’ultima;
ha osservato la Corte, sul punto, che “nessuna responsabilità può essere ascritta alla compagnia assicuratrice per il massimale previsto in polizza pari a 774.000,00 Euro. Tuttavia, considerato che nella sentenza gravata si dava atto che dall’importo complessivamente liquidato, in favore di M.D., a titolo di risarcimento del danno da questi patito, pari ad Euro 1.112.457,00, doveva essere detratto l’indennizzo corrispostogli dall’INAIL per ristorare il danno biologico, pari ad Euro 608.020,64, la somma di Euro 774.685,00 corrisposta al danneggiato da INA Assitalia, pari all’intero massimale di polizza, risulta eccessiva sicché il danneggiante-appellante e la sua compagnia assicuratrice, quest’ultima nei limiti del massimale di polizza, vanno condannati, in solido, a risarcire il danno liquidato in favore di P.L. e M.D. in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli M.D. e L. nonché in favore di P.L. in proprio e quale madre di G.K.A., sino al limite del massimale di polizza”;
ha proposto ricorso per cassazione la Generali Italia s.p.a., affidandosi a quattro motivi; ha resistito il Mo. con controricorso contenente ricorso incidentale basato su nove motivi (due dei quali indicati come “sesto”);
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..;
sia la ricorrente principale che il Mo. hanno depositato memoria.
Considerato quanto al ricorso principale, che:
il primo motivo denuncia error in procedendo e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.: rileva la ricorrente che la domanda del M. e della P. (in proprio e in nome e per conto dei figli minori) era stata proposta esclusivamente nei confronti del Mo. e non anche contro l’Ina Assitalia, rispetto alla quale era stato dato atto dell’avvenuta messa a disposizione dell’intero massimale di polizza e del rilascio di quietanza liberatoria, con riserva di azione nei confronti del solo Mo.; conclude pertanto che la Corte avrebbe potuto condannare al pagamento soltanto il Mo., nei confronti del quale – e non anche dell’assicuratrice – era stata proposta la domanda;
col secondo motivo (che deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto e la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.), la ricorrente lamenta che la Corte non ha evidentemente valutato l’atto di quietanza del 22.9.2010 con il quale il M. e la P. avevano dichiarato di non avere più nulla da pretendere dalla compagnia assicuratrice del Mo., anche quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori;
il terzo motivo lamenta – sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – che la Corte ha omesso di esaminare quanto dichiarato dagli attori nel loro atto introduttivo e dalla Generali nei propri scritti difensivi circa l’avvenuto pagamento dell’importo di Euro 774.685,35, pari all’intero massimale di polizza, in favore di tutti i danneggiati;
col quarto motivo, la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” e “nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 140”: ribadito che il massimale di polizza era stato versato in favore di tutti i danneggiati (e non solo del M.) e rilevato che, nel caso di massimale incapiente, tutti i danneggiati devono concorrere al riparto, la ricorrente assume che la Corte di Appello ha “errato nel non aver compiuto una operazione di redistribuzione delle somme dovute ai danneggiati proporzionalmente al massimale assicurato”;
il primo motivo è fondato, in quanto dall’esame degli atti processuali – cui la Corte ha potuto accedere in ragione della natura processuale del vizio dedotto – trovano piena conferma gli assunti della ricorrente sul fatto che l’atto di citazione introduttivo del giudizio ampiamente trascritto a pag. 11 del ricorso – formulava la domanda di condanna unicamente nei confronti del Mo., dando atto che l’Ina Assitalia aveva liquidato al M. l’intero massimale e che gli attori avevano rilasciato alla compagnia quietanza liberatoria, riservandosi di agire contro il solo Mo.;
in difetto di domanda (e, addirittura, a fronte di una rinuncia espressa a qualunque ulteriore pretesa nei confronti dell’assicuratrice), la Corte di Appello non avrebbe potuto emettere la statuizione di condanna solidale al pagamento di somme che gli attori avevano richiesto esclusivamente nei confronti del Mo.; in tal modo è stato violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, risultando pertanto integrato il denunciato error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c.;
la sentenza va conseguente cassata, senza necessità di rinvio, nella parte in cui ha pronunciato la condanna nei confronti della compagnia assicuratrice;
i restanti motivi (secondo, terzo e quarto) risultano assorbiti.
Considerato, quanto al ricorso incidentale, che:
il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2054 c.c., comma 2 e censura la sentenza impugnata perché, anziché ritenere sussistente un concorso paritario di responsabilità dei due conducenti coinvolti nel sinistro, “dall’assenza di prova, senza motivazione alcuna, la Corte fa discendere una allocazione di responsabilità 80/20”;
in relazione alla stessa questione della quantificazione del concorso colposo dei conducenti, il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per inesistenza o mera apparenza della motivazione, con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e dell’art. 111 Cost., comma 6, ritenendo “evidente come (…) la allocazione del grado di responsabilità difetti di motivazione, o la stessa sia solo apparente”; i due motivi – da esaminare congiuntamente – sono infondati, in quanto:
le censure sono svolte sull’assunto che la Corte abbia ritenuto che difettassero prove per individuare un concorso in misura diversa da quella paritaria presunta dall’art. 2054 c.c., comma 2;
in realtà, la Corte, premesso che era incontestato che il Mo. aveva omesso di dare la precedenza, ha rilevato che difettava la prova (“in difetto di tale prova”) che il M. avesse tenuto una velocità particolarmente moderata, resa necessaria dalle condizioni della strada e dalle precipitazioni in atto, e ha concluso stimando nell’80% la misura del concorso colposo del Mo. e nel 20% quella ascrivibile al M.;
a tale conclusione, la Corte è evidentemente pervenuta comparando il contributo causale delle rispettive condotte colpose (che sono state specificamente individuate e ritenute entrambe provate), sulla base di evidenze istruttorie reputate idonee a superare la presunzione di concorso paritario;
non sussiste pertanto la denunciata violazione della presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2 – destinata ad operare quando il giudice non disponga di elementi che consentano l’accertamento di una diversa misura del concorso – né ricorre un’ipotesi di inesistenza o mera apparenza della motivazione, giacché la Corte ha individuato e descritto le condotte colpose comparate ai fini dell’accertamento della misura della responsabilità dei conducenti, esprimendo chiaramente per mezzo delle diverse percentuali attribuite – una valutazione di prevalente incidenza della condotta del Mo.;
il terzo motivo (“omesso esame della CTU. Nullità della sentenza per apparenza della motivazione”), dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), censura la Corte di Appello per avere recepito acriticamente le risultanze della c.t.u., pervenendo ad una decisione che “palesa una autoreferenzialità tale da costituire (…) una apparenza di motivazione”;
il motivo è infondato, atteso che la circostanza che la Corte abbia recepito la relazione di c.t.u. (anche in ordine alle risposte date alle osservazioni svolte dal consulente dell’appellante) non costituisce elemento sintomatico di recepimento acritico; né sussiste apparenza della motivazione per il solo fatto che la Corte non abbia preso posizione su tuttì rilbvi mossi alla consulenza, una volta che dalla sentenza emerga – anche mediante l’adesione alle valutazioni del consulente d’ufficio – il percorso logico-giuridico sotteso alla decisione;
il quarto motivo denuncia, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, l'”omessa considerazione di un fatto storico, consistente nella mancata valutazione, da parte del CTU, delle deformazioni, nonostante l’utilizzo del principio di conservazione dell’energia per la determinazione della velocità post-urto”;
il motivo è inammissibile per difetto di una pur minima illustrazione idonea a esprimere il contenuto della censura (che si esaurisce nell’affermazione che “la quantità di energia dissipata nelle deformazioni doveva essere considerata”) e, comunque, perché concerne una questione tecnica che – si assume – avrebbe dovuto essere considerata dal c.t.u. anziché un fatto decisivo, principale o secondario, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
col quinto motivo (che deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo “consistente nella assenza dei seat belt injuries”), il ricorrente rileva che il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza influisce significativamente sulla eziologia del danno e che “uno degli indizi da cui inferire la omessa attivazione del presidio è la assenza di seat belt injuries”, lamentando che “sia il giudice di prime cure che la Corte di Appello non hanno esaminato tale decisiva circostanza”;
il motivo è inammissibile sia per novità della questione (che non risulta trattata dalla sentenza e rispetto alla quale il ricorrente non ha indicato se e quando l’abbia dedotta nei gradi di merito), sia perché – a monte – non individua neppure gli elementi da cui sarebbe emersa l’assenza di lesioni riconducibili all’uso della cintura di sicurezza;
il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e all’art. 111 Cost., la “nullità della sentenza per mancanza di motivazione in ordine alla domanda di accertamento e condanna per omessa informazione circa la pochezza del massimale”: il ricorrente rileva che aveva chiesto di essere tenuto indenne dalla propria assicurazione perché questa era venuta meno all’obbligo di informare il cliente della inadeguatezza del massimale a salvaguardare l’assicurato in caso di sinistro di particolare gravità, con ciò violando il principio generale di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c. e il dovere di tutelare, per quanto possibile, gli interessi altrui; tanto premesso, deduce l’incongruenza della motivazione resa dalla Corte, che aveva rilevato come l’aumento dei massimali di polizza previsto dal D.Lgs. n. 198 del 2007 (che aveva recepito una direttiva del Parlamento Europeo) avrebbe avuto corso dal giugno 2012 e che “comunque solo alla data dell’11 dicembre 2009 (in epoca successiva al sinistro) sarebbero divenuti obbligatori i massimali pari ad almeno la metà dei nuovi importi minimi”; evidenzia, infatti, che nessuna parola era stata spesa sulla problematica sollevata, “relativa alla violazione dei doveri di solidarietà e buona fede”;
il motivo è infondato, dato che la Corte ha chiaramente espresso le ragioni del rigetto della domanda, individuate nel fatto che – all’epoca del rinnovo della polizza (febbraio 2008) – non sussisteva alcun obbligo di elevarne il massimale, con ciò dando risposta alla censura svolta col terzo motivo dell’appello e considerando implicitamente irrilevanti i richiami compiuti dal Mo. agli obblighi di buona fede e solidarietà;
il settimo motivo (indicato anch’esso come sesto) denuncia la “violazione dell’art. 2 Cost., artt. 1175,1337 e 1375 c.c., nonché dei doveri di solidarietà sociale e del principio generale di buona fede, siccome dell’art. 1218 c.c.”: premesso che “l’obbligo di buona fede impone una esatta informazione circa i rischi e le condizioni dello stipulando contratto”, si assume che “la Compagnia avrebbe dovuto rendere edotto il Mo. 1) della pochezza del massimale rispetto a sinistri importanti; 2) del fatto che, presto, il massimale minimo si sarebbe moltiplicato; 3) della possibilità di chiedere una garanzia più alta”; si aggiunge che una siffatta obbligazione aveva natura contrattuale (derivando dall’esistenza di un rapporto assicurativo e dal “contatto sociale qualificato che fa scattare l’obbligo di cui all’art. 1337 c.c.”), sì che “incombeva alla Compagnia l’onere di dimostrare l’adempimento”;
il motivo – che, nella sostanza, censura la sentenza per non aver sussunto la fattispecie nell’alveo dei principi di buona fede e solidarietà, di cui ribadisce l’operatività – è inammissibile perché meramente assertivo e privo della necessaria illustrazione delle modalità secondo cui era avvenuto il rinnovo della polizza e delle ragioni per cui il Mo. non fosse in grado di valutare autonomamente l’adeguatezza del massimale (rappresentato da un valore monetario di immediata evidenza) o non fosse informato della possibilità di chiedere un aumento della copertura, sì da poter almeno astrattamente ipotizzare un obbligo di informazione/salvaguardia da parte dell’assicuratrice;
l’ottavo motivo (indicato come primo sul capo relativo alle spese di lite) deduce la “nullità della sentenza per assenza di motivazione” e censura la Corte di Appello per aver “omesso di prendere in considerazione” la richiesta di riforma del capo della sentenza di primo grado afferente alle spese di lite;
il nono motivo (indicato come secondo sul capo relativo alle spese di lite) censura la sentenza, in riferimento all’art. 92 c.p.c., comma 2, per non avere compensato integralmente le spese di entrambi i gradi di merito;
premesso che il giudice di secondo grado ha ritenuto che il parziale accoglimento dell’appello giustificasse la compensazione, nella misura del 20%, delle spese del primo e del secondo giudizio nel rapporto fra il Mo. e i coniugi M. – P., con condanna del predetto Mo. al pagamento del restante 80%, si osserva che:
l’ottavo motivo è infondato poiché la Corte di Appello ha motivato sul regolamento delle spese di primo grado, ancorché riformandolo solo in minima parte (con ciò rigettando implicitamente la più radicale richiesta del Mo.);
il nono motivo è inammissibile giacché non è sindacabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensare integralmente le spese di lite;
il ricorso incidentale dev’essere pertanto, nel complesso, rigettato.
Considerato, quanto alle spese di lite, che:
l’accoglimento del ricorso principale comporta, ex art. 336 c.p.c., comma 2, che debbano essere riliquidate le spese dei gradi di merito (che la sentenza impugnata aveva posto a carico della Generali);
atteso che la condanna della compagnia disposta dalla Corte di Appello è basata su ragioni non correlate alle domande e al gravame del Mo., sussistono gravi motivi per l’integrale compensazione delle spese del primo e del secondo grado, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009 (applicabile ratione temporis;
le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza del Mo., che ha resistito all’accoglimento del ricorso principale;
non deve disporsi alcuna condanna in favore della Generali a carico degli originari attori atteso che, come detto, gli stessi non avevano avanzato domande nei confronti della società assicuratrice e, rimanendo meri intimati in sede di legittimità, non hanno resistito all’accoglimento del ricorso principale;
sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri, e cassa la sentenza, senza rinvio, nella parte in cui ha pronunciato condanna risarcitoria a carico della Generali Business Solution s.p.a.;
rigetta il ricorso incidentale;
compensate le spese dei gradi di merito fra il Mo. e la Generali, condanna il primo a rifondere alla seconda le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge; nulla per spese fra la Generali e gli intimati M. e P., anche in qualità di rappresentanti dei figli minori;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il relativo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021