Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26339 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3465/2019 proposto da:

A.F., elettivamente ammesso al gratuito patrocinio, domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 91, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE D’OTTAVIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, A.A., A.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 772/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 05/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/05/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

Z.V. convenne in giudizio A.F. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per la frattura del femore destro, conseguente alla caduta dell’attrice nei locali dell’esercizio commerciale di proprietà del convenuto, che era stata provocata dalla presenza di detersivo liquido sul pavimento;

l’ A. chiamò in causa la propria assicuratrice Fondiaria Sai, per esserne garantito, chiedendo di essere estromesso dal giudizio e che la terza chiamata venisse condannata al pagamento in favore dell’attrice;

la Fondiaria Sai rimase contumace;

intervenuto il decesso della Z., la sua domanda venne coltivata dagli eredi A.A. e P., che si riportarono alle domande svolte dalla dante causa e proposero, altresì, domanda di risarcimento dei danni morali subiti iure proprio;

il Tribunale di Palmi accolse parzialmente le domande, affermando la responsabilità di A.F. e condannando la Fondiaria Sai al risarcimento dei danni in favore degli eredi della Z., quantificati in 100.061,00 Euro, oltre accessori; in particolare, ritenne che l’ A. dovesse rispondere ai sensi dell’art. 2051 c.c. e rilevò la nullità della clausola di esclusione dell’operatività della polizza assicurativa nel caso in cui i danneggiati fossero parenti o affini dell’assicurato, in quanto non specificamente approvata per iscritto ex art. 1341 c.c.;

pronunciando sull’appello principale della Fondiaria Sai e su quelli incidentali proposti sia da A.A. e P. che da A.F., la Corte di Appello di Reggio Calabria ha accolto il gravame della Fondiaria Sai, escludendone la condanna, mentre ha rigettato gli incidentali; ha anche condannato A.F. a rifondere alla Fondiaria Sai le spese del primo e del secondo grado di giudizio;

in particolare e per quanto ancora interessa, ha affermato che:

era infondata l’eccezione – sollevata da A.F. -concernente il difetto di capacità e rappresentanza processuale di N.G. (che aveva conferito la procura alle liti in calce all’atto di appello, in qualità di procuratore speciale della Fondiaria Sai); ciò in quanto l’assicuratrice aveva prodotto in giudizio la copia della procura notarile rilasciata, in favore del N., dal legale rappresentante della Fondiaria e -successivamente, a seguito delle contestazioni sollevate dalle altre parti- aveva provveduto ad “esibire la procura notarile che consentiva di verificare la conformità della fotocopia prodotta all’originale”, in assenza di obiezioni delle controparti;

“nessuna preclusione può essere fatta valere nel presente giudizio in ordine all’apprezzamento dell’esatta portata giuridica della clausola di limitazione della garanzia di polizza attivata dall’assicurato – di cui all’art. 55 delle condizioni generali di contratto”;

“nel caso di specie, si è indubbiamente di fronte ad una clausola che non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, ma che attiene, viceversa all’oggetto del contratto e riguarda i contenuti e i limiti della garanzia assicurativa”;

“il Tribunale ha quindi erroneamente ritenuto vessatoria la clausola in questione, disapplicandola e ritenendo operativa la polizza assicurativa invocata, mentre (…) avrebbe dovuto escludere l’efficacia della copertura contrattuale”;

“né può assumere rilievo, nel caso di specie, il dato della convivenza o meno del genitore” poiché tale requisito rileva soltanto con riferimento ai parenti ed affini – diversi dal coniuge, dai genitori e dai figli – aventi un rapporto meno stretto con l’assicurato; peraltro, dall’atto di citazione della Z. e dall’atto di chiamata in causa di A.F. era emerso che quest’ultimo aveva “la stessa residenza della madre (ovvero via *****)”;

ha proposto ricorso per cassazione A.F., affidandosi a quattro motivi; gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la “violazione dell’art. 360, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., per travisamento della prova e conseguente carenza totale di motivazione, in ordine alla eccepita carenza di ius postulandi”;

premesso che la Corte di Appello aveva invitato l’appellante principale a produrre copia autentica della procura speciale notarile e che, nel verbale di udienza del 24.11.2011, si dava atto che il procuratore della Fondiaria aveva esibito la procura notarile e depositato copia, il ricorrente deduce che:

già con la comparsa conclusionale e con la memoria di replica, aveva rilevato che non era stata prodotta la copia fotografica dell’originale della procura, ma la copia fotografica di altra copia rilasciata dal notaio;

dal verbale di udienza non emergeva alcuna presa d’atto del Collegio o una dichiarazione dei difensori dalla quale si potesse desumere che, successivamente alla esibizione della procura notarile, l’ufficio giudiziario abbia compiuto una qualche verifica volta ad accettare che il documento esibito fosse l’originale della copia prodotta;

la circostanza che la copia prodotta non riproducesse le firme autografe del legale rappresentante della società e del notaio, ma le indicazioni dattiloscritte “f.to: M.F.” e “f.to Dott. G.M. Notaio” consentiva di ritenere che la stessa non costituisse una copia dell’originale della procura notarile;

tanto rilevato, il ricorrente lamenta che “la corte territoriale (…) ha riportato ed utilizzato una informazione probatoria diversa ed inconciliabile con quella verbalizzata ed acquisita in atti, (…), essendo incontestabile che il documento prodotto in fotocopia all’udienza del 24.11.2011 non può essere la fotocopia dell’originale, per la evidente mancanza delle firme autografe”; evidenzia che “la informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita in maniera travisata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito”; conclude che “il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contradetta da uno specifico atto processuale, di talché, espungendo la informazione travisata dal ragionamento del giudice di appello, la decisione criticata, ricadendo il travisamento su un punto decisivo, risulta priva di motivazione”;

il motivo è manifestamente infondato:

giustamente l’eccezione svolta nella comparsa conclusionale di appello e di cui alla pag. 13, punto 1.6., del ricorso non è stata considerata dalla corte territoriale o, si potrebbe dire, è stata disattesa implicitamente, giacché, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 1, ogni pretesa inosservanza dell’invito alla produzione rivolto con l’ordinanza fuori udienza del 3 marzo 2011, avrebbe dovuto essere eccepita nella stessa udienza del 24 novembre 2011, in cui, per quanto si dice nel verbale, riprodotto sul punto, la procura notarile venne esibita;

il ricorrente, invece, non dice se in quell’udienza svolse contestazioni, ma riferisce solo di una contestazione svolta nella comparsa conclusionale che, essendo tardiva, non doveva essere esaminata dalla Corte;

d’altro canto, va rilevato che la sentenza impugnata dice che il ricorrente si limitò a “contestare la tempestività dell’esibizione dell’originale e della produzione della copia”. La deduzione in conclusionale dell’essere stata prodotta non già la “copia fotografica dell’originale della procura, ma la copia fotografica di altra copia, che sarebbe stata rilasciata dal Notaio G.” è palesemente diversa da quello che la sentenza dice essere stato contestato in udienza; sicché anche sulla base del raffronto fra la sentenza e il contenuto del motivo risulta palese la tardività dell’eccezione di cui alla conclusionale;

inoltre, nel ricorso si prende posizione sull’affermazione della corte territoriale che “l’appellante ottemperava all’incombente provvedendo ad esibire la procura notarile che consentiva di verificare la conformità della fotocopia prodotta all’originale”; affermazione che, sottendendo un’esibizione della procura in originale e non di una copia, avrebbe dovuto essere criticata con il mezzo della revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, se non corrispondente al vero;

invero, a pag. 15 del ricorso, in chiusura del punto 1.10., si allude all’esistenza nella verbalizzazione dell’espressione “esibisce procura notarile” e nel successivo punto 1.13. si discorre del “se il documento esibito fosse stato l’originale della procura notarile rilasciata al N.”; nel punto 1.14. la narrazione di un vizio di natura revocatoria risulta ancora più palese; sicché risulta del tutto pretestuosa l’invocazione di Cass. n. 12362 del 2006, peraltro svolta in modo confuso.

il secondo motivo denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c.” sul rilievo che la sentenza impugnata è stata adottata sul presupposto di fatto – non dimostrato – “che tra A.F. e Z. intercorresse un rapporto di parentela diretto e/o di convivenza, che la Fondiaria non ha provato e non ha chiesto di provare nel giudizio di appello”; assume, infatti, che “era onere della Fondiaria provare il fatto impeditivo della sua obbligazione, e cioè il vincolo di parentela e/o convivenza tra la sinistrata e l’assicurato”; aggiunge che il primo giudice aveva affermato apoditticamente che A.F. era il figlio della Z. e che, al riguardo, l’odierno ricorrente aveva svolto appello incidentale condizionato, denunciando il vizio di extrapetizione;

conclude che oggetto della censura è “la totale mancanza di motivazione sul presupposto di fatto della esistenza della parentela diretta e/o convivenza, tra l’assicurato e la danneggiata, che era un punto controverso della controversia”;

il motivo è privo di fondamento:

al termine della prolissa esposizione, si finisce per lamentare punto 2.5., pag. 23 – il fatto che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata adottata sulla base di un presupposto non dimostrato, quello della parentela diretta e/o di convivenza tra l’infortunata ed il ricorrente, assumendosi che la loro esistenza era stata dedotta tardivamente con l’appello e che nella sua motivazione la corte territoriale non avrebbe confutato quanto eccepito nella comparsa di costituzione di appello;

senonché, in tal modo non si denuncia in modo idoneo, come si dovrebbe a stare all’intestazione del motivo, una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, perché per sostenere la pretesa apparenza o inesistenza di motivazione si fa riferimento ad elementi allunde, appunto la comparsa di costituzione in appello, mentre il vizio de quo deve emergere dalla stessa sentenza impugnata;

col terzo motivo, viene dedotta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1341,1362 e 1370 c.c., nonché art. 2729 c.c.”, in relazione all’interpretazione data dalla sentenza impugnata all’art. 55 delle condizioni generali di polizza, secondo cui “non sono considerati “terzi” ai fini dell’assicurazione R.C.T.: a) il coniuge, i genitori, i figli dell’Assicurato, nonché qualsiasi altra persona, parente od affine, con lui stabilmente convivente”;

assume il ricorrente che “la clausola di copertura del rischio assicurativo, contenuta nella polizza, sia pure combinata con la clausola 55 delle condizioni generali, e’, in ogni caso, equivoca, nella parte in cui esclude dalla copertura assicurativa i parenti, conviventi o meno con l’assicurato. La interpretazione della clausola resa, sul punto, dalla Corte territoriale non è l’unica possibile, ma lascia ampio spazio anche alla diversa interpretazione dell’assicurato, secondo cui, appunto, il rapporto di parentela diretto deve essere caratterizzato dalla convivenza”; rileva che, “in buona sostanza, sia la clausola limitativa della copertura assicurativa da ritenersi riferita a soggetti legati da parentela diretta all’assicurato, sia l’ipotesi in cui detto legame debba coesistere con la convivenza, secondo la corte di merito riferibile solo ai non parenti, non risultano espresse in maniera chiara ed evidente nella polizza e nelle condizioni generali”; conclude che deve pertanto trovare applicazione il criterio ermeneutico di cui all’art. 1370 c.c., prevenendosi ad un’interpretazione sfavorevole all’assicuratore che aveva predisposto la clausola dubbia; aggiunge che, “per le stesse ragioni deve dichiararsi illegittima ed erronea la motivazione che esclude la natura vessatoria della clausola 55 delle condizioni generali”, giacché tale clausola “opera in senso limitativo della responsabilità dell’assicuratore, investendo direttamente (ed escludendo parzialmente) il rischio garantito, e non determinando una mera specificazione di esso”;

sotto altro profilo, il ricorrente deduce “la erroneità dell’accertamento operato dalla corte territoriale in ordine alla asserita convivenza tra l’assicurato e la danneggiata, afflitta dal vizio di violazione dell’art. 2729 c.c.”; e ciò in quanto l’indizio considerato non sarebbe univoco, grave e preciso;

il motivo è inammissibile poiché, quanto alla denuncia di violazione delle norme sull’esegesi, non contiene alcuna enunciazione del come e del perché sarebbero state violate le previsioni degli artt. 1362 e 1370 c.c., particolarmente quanto alla pretesa ambiguità, ma si risolve solo in una, peraltro poco convincente, esegesi alternativa e, soprattutto, si astiene da una specifica critica alle precise argomentazioni svolte dalla corte reggina sul significato della congiunzione “nonché”; inoltre le deduzioni concernenti la questione della convivenza, oltre ad essere prive di conformità al modo di deduzione della violazione dell’art. 2729 c.c. (per come indicato, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018), risultano, una volta consolidatasi l’esegesi della clausola che prescinde dal rilievo della convivenza, prive di decisività e, dunque, restano assorbita, concernendo motivazione meramente aggiuntiva e non decisiva ed autonoma; il quarto motivo – che denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. – censura la sentenza impugnata per avere condannato l’odierno ricorrente a rifondere alla Fondiaria Sai le spese del giudizio di primo grado in cui la stessa era rimasta contumace;

il motivo è fondato, atteso che:

dalla sentenza impugnata emerge che la Fondiaria è rimasta contumace in primo grado e si è costituita soltanto nel giudizio di appello, proponendo il gravame principale;

la Corte di Appello ha – tuttavia – condannato A.F. a rifondere alla Fondiaria Sai anche le spese del giudizio di primo grado, liquidandole in Euro 3.325,00, oltre accessori;

non essendo dovuto il rimborso delle spese di lite in favore del contumace (non avendo questi sopportato spese che debbano essergli rimborsate), la sentenza va cassata sul punto, senza rinvio (cfr. Cass. n. 16786/2018), ferme restando le altre statuizioni;

considerato l’esito del giudizio e tenuto conto della assoluta prevalenza della soccombenza del ricorrente, non deve farsi luogo a pronuncia alle spese in suo favore, ma esse possono compensarsi.

PQM

La Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il quarto e cassa, senza rinvio, la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato l’ A. al pagamento delle spese di primo grado in favore della Fondiaria Sai s.p.a.;

compensa le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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