LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6032/2014 R.G. proposto da:
B.G., rappresentata e difesa dagli avv. Dimitri Colombi e Luciano Garatti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via della Giuliana, 63;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, n. 164/66/13, depositata il 18 settembre 2013;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 maggio 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– B.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, depositata il 18 settembre 2013, che, respingendo il suo appello principale e accogliendo quello incidentale dell’Ufficio, ha respinto i suoi ricorsi, riuniti in primo grado, avverso tre avvisi di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese dalla Iper Coop. soc. coop a r.l. per gli anni 2004 e 2005 e un atto di contestazione per violazioni commesse dalla società per gli anni 2005 e 2006, a lei notificati quale amministratore di fatto di tale società;
– il giudice di appello ha osservato, da un lato, che la qualità di amministratore di fatto della società cooperativa si desumeva dalla circostanza che la ricorrente era delegata ad operare senza limitazioni sul conto intestato alla società, alla stregua degli amministratori delegati, e, dall’altro, che la medesima, diversamente da quanto dalla stessa eccepito, aveva potuto esplicare pienamente la propria attività difensiva nel corso del procedimento amministrativo;
– ha, altresì, evidenziato che era fondato il gravame incidentale dell’Ufficio vertente sulla inammissibilità del ricorso originario avverso l’atto di contestazione per decorrenza del relativo termine, in ragione del fatto che l’istanza di accertamento con adesione avanzata dalla contribuente non aveva effetto sospensivo di tale termine;
– il ricorso è affidato a due motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO
CHE:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., e artt. 2697 e 2700 c.c., per aver la sentenza impugnata ritenuto sussistente la sua qualità di amministratore di fatto della società cooperativa in virtù dell’esistenza di una delega ad operare sul conto della società di cui non era stata data prova;
– sottolinea, in proposito, che tale circostanza era stata desunta dall’accertamento compiuto nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, ma che ad un siffatto accertamento non poteva riconoscersi, come, invece, operato dalla Commissione regionale, valore di prova superabile solo con la proposizione di querela di falso;
– con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2639,2727 e 2729 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto dimostrata la sua qualità di amministratore di fatto della cooperativa unicamente sulla base dell’accertamento di una delega ad operare sul conto della società;
– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili per difetto di interesse ad agire del ricorrente;
– come noto, l’interesse ad agire – quale condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. – richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire (cfr. Cass. 4 maggio 2012, n. 6749; Cass. 27 gennaio 2011, n. 2051; Cass. 28 giugno 2010, n. 15355);
– nel caso in esame, gli atti impositivi sono stati emanati nei confronti della società per l’adempimento di obbligazioni tributarie a lei relative e sono stati notificati alla odierna ricorrente solo nella supposta qualità di amministratore di fatto della stessa;
– pertanto, la ricorrente non ha alcun interesse in ordine alla legittimità degli atti impositivi, in quanto aventi, ad oggetto l’accertamento di situazioni giuridiche soggettive cui la stessa è estranea;
– un tale interesse non può individuarsi dall’esposizione dell’amministratore a responsabilità o sanzioni per violazioni imputabili alla società amministrata;
– come noto, infatti, la responsabilità dell’amministratore (anche di fatto) di una estinta società di capitali per le imposte sui redditi non versate dall’ente – disciplinata dal D.P.R. 29 settembre 1972, n. 603, art. 36, – configura una obbligazione ex lege nei confronti dell’amministrazione finanziaria, avente natura civilistica (riconducibile alle previsioni comuni degli artt. 1176 e 1218 c.c.) e titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale (cfr. Cass., Sez. Un., 4 maggio 1989, n. 2079; recentemente, Cass., ord., 31 marzo 2021, n. 8886; Cass., ord., 20 luglio 2020, n. 15377; Cass., ord., 25 giugno 2019, n. 17020);
– si tratta, dunque, di una ipotesi di responsabilità per fatto proprio che trova la sua fonte immediata nella violazione di obblighi inerenti alla carica rivestita e che va accertata dall’Ufficio, in presenza dei presupposti ivi previsti, con specifico atto avverso il quale l’amministratore potrà svolgere le sue Offese, ivi inclusa quella relativa all’insussistenza della supposta qualità, avuto riguardo alla inconfigurabilità di un’efficacia riflessa dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto impositivo emesso nei confronti della società per la diversità dei rapporti giuridici interessati dai due giudizi (cfr., con riferimento alle condizioni in presenza delle quali solamente il giudicato può spiegare un’efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale, Cass. 23 aprile 2020, n. 8101);
– sotto altro profilo, la questione, sollevata dalla parte, relativa all’insussistenza della ritenuta qualità di amministratore di fatto può, in ipotesi, assumere rilevanza, nell’ambito del procedimento preordinato ad un siffatto accertamento, solo ai fini della verifica della regolarità della notifica degli atti impositivi nei confronti della società, tema, quest’ultimo, che è estraneo al presente giudizio;
– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021
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