Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26360 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5192/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

Intesa San Paolo S.p.A., in persona dei legali rapp.ti p.t., elett.te domiciliati in Roma al viale Giuseppe Mazzini n. 11, presso lo studio degli avv.ti Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, da cui sono rapp.ti e difesi come da mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8117/51/14 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il 24/9/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1 luglio 2021 dalla Dott.ssa d’Oriano Milena.

RITENUTO

CHE:

1. con sentenza n. 8117/51/14, depositata il 24 settembre 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 352/22/12 della CTP di Napoli, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui era stato richiesto il pagamento in misura proporzionale, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata, dell’imposta di registro dovuta in relazione ad una sentenza che, in accoglimento di una revocatoria fallimentare, aveva condannato Intesa Sanpaolo S.p.A. alla restituzione al fallimento ***** s.r.l. delle somme relative ai pagamenti effettuati da predetta società nell’anno precedente l’ammissione al concordato preventivo, imposta già versata in misura fissa ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. e), della prima parte della Tariffa allegata;

3. il giudice di appello, a conferma della sentenza della CTP di Napoli di accoglimento del ricorso, aveva rigettato il gravame rilevando che, in assenza di ulteriori elementi di prova e doglianze specifiche rispetto alla decisione di prime cure, andasse ribadito che la sentenza sottoposta a tassazione non aveva determinato in capo alla società fallita un arricchimento indicativo di aumentata capacità contributiva, risolvendosi in una mera dichiarazione di inopponibilità dei pagamenti effettuati rispetto alla massa dei creditori, ai solo fini esecutivi e conservativi della procedura concorsuale;

4. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 17 febbraio 2015, affidato ad un unico motivo; la società contribuente resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:

1. con il motivo di ricorso, l’Agenzia censura la sentenza impugnata, denunciando una violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b) ed e), della prima parte della Tariffa allegata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove aveva ritenuto che la sentenza di revocatoria fallimentare, che imponeva ad un istituto di credito di versare somme di denaro al fallimento, fosse stata correttamente assoggettata all’imposta di registro in misura fissa di cui alla lett. e) dell’art. 8 citato, e non a quella proporzionale ai sensi della lett. b), avendo invece la stessa natura di condanna, con l’effetto di determinare un trasferimento di ricchezza e quindi un arricchimento della massa dei creditori del fallimento.

OSSERVA CHE:

1. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso; contrariamente a quanto ritenuto dalla società controricorrente, la sentenza gravata non risulta fondata su una ratio decidendi di inammissibilità in rito non censurata, bensì su di una statuizione nel merito che, all’esito della valutazione di una complessità di elementi, ha ritenuto l’infondatezza dei motivi di appello, sia dal punto di vista della carenza probatoria che in conseguenza dei principi giuridici ritenuti applicabili.

2. Il ricorso è poi meritevole di accoglimento.

2.1. L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto la richiesta di pagamento dell’imposta di registro determinata in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata, rispetto ad una sentenza che, in sede di revocatoria fa limentare, aveva dichiarato l’inefficacia dei pagamenti effettuati dalla società fallita nell’anno antecedente l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, e condannato l’Istituto di credito alla restituzione delle somme relative, oltre accessori.

2.2. Il citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.

Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” mentre, per quel che rileva ai fini del giudizio, la lett. e), assoggetta ad imposta fissa quelli ” che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”.

Sulla base di tali disposizioni va dunque confermato che ” I provvedimenti dell’Autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento o alla restituzione di somme di denaro sono assoggettati, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), della parte prima della tariffa allegata, a tassazione proporzionale, salvo che abbiano ad oggetto anche l’annullamento o la declaratoria di nullità dell’atto nel qual caso l’imposta deve essere determinata in misura fissa ai sensi del citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, lett. e).” (Vedi Cass. n. 32968 del 2018).

3. La sentenza di cui si controverte ha dichiarato, in accoglimento di una revocatoria fallimentare, l’inefficacia di un pagamento di somme condannando il destinatario alla loro restituzione.

Secondo quanto già più volte ritenuto da questa Corte “In tema di imposta di registro, la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare di un pagamento eseguito dal fallito è soggetta all’aliquota proporzionale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata (prevista per i provvedimenti giudiziari recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura) – e non al pagamento della misura fissa prevista dalla successiva lett. e) del medesimo articolo (prevista per i provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto) – perché tale sentenza possiede contenuti ed effetti diversi dalle sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto, tenuto conto che non opera alcuna caducazione dell’atto impugnato, il quale resta infatti in vita,, anche se privo di efficacia nei confronti del fallimento e della procedura esecutiva, e che le conseguenti restituzioni non comportano il ripristino della situazione anteriore, ma un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, consentendo il recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza sottratti” (vedi Cass. n. 16814 del 2017; conformi Cass. n. 24954 del 2013; n. 17584 del 2012 e n. 4537 del 2009).

Tali pronunce hanno ad oggetto ipotesi analoghe a quella in esame, in cui la revocatoria fallimentare interviene rispetto al pagamento di somme o cessioni di crediti, la cui revocazione ha l’effetto di determinare un immediato incremento di ricchezza del fallimento, e che quindi correttamente sono state ritenute soggette ad imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata, e non della lett. e).

3.1 Rispetto a tale consolidato orientamento, l’Istituto di credito controricorrente non ha fornito elementi o argomenti giuridici idonei ad inficiarne la validità, restando indubitabile che la sentenza di revocatoria fallimentare, che impone al cessionario di un credito di versare la somma corrispondente al credito ceduto in conseguenza dell’inefficacia relativa del negozio di cessione, esula, ai fini specifici dell’imposta, dall’archetipo della statuizione di inefficacia nei confronti dei creditori dell’atto pregiudizievole, contenendo essa stessa il titolo esecutivo di condanna quanto al capo concernente le restituzioni.

La sentenza di revocatoria fallimentare, quindi, anche se oggetto di impugnazione, costituisce titolo esecutivo, anticipatamente rispetto al suo passaggio in giudicato, per il capo di condanna alle restituzioni verso la massa dei creditori, cui sia tenuta la controparte, nonostante la natura di accertamento costitutivo in cui tale azione si sostanzia (Vedi Cass. n. 24954 del 2013, con richiami in motivazione a Cass. n. 16737 del 2011).

4. Ne’ giova in senso contrario quanto ritenuto da Cass. n. 31277 del 2018 che, nella diversa ipotesi di sentenza di accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita immobiliare, ha ritenuto quel provvedimento soggetto a tassazione in misura fissa, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. e), e non in misura proporzionale, ai sensi dello stesso D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. a); tale sentenza infatti non spiega alcun effetto traslativo della proprietà del bene o di retrocessione dello stesso a favore della massa, né determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, ma si limita a rendere l’atto negoziale inopponibile ai creditori ai fini dell’esecuzione concorsuale, conferendo altresì al curatore il potere di apprensione del bene non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa.

Tale principio, infatti, non può essere esteso al di là del caso specifico in cui venga assoggettato a revocatoria l’atto di trasferimento di un bene considerato nella sua fisicità (nel caso di specie un immobile), ed in cui il trasferimento di ricchezza si avrà solo allorché, realizzata la vendita coattiva del cespite, ne verrà acquisito il controvalore economico (risultando poi questo atto ulteriore sottoposto alle imposte di cui alla lett. a).

5. Al di fuori della suddetta ipotesi, invece, laddove l’atto pregiudiziale riguardi un negozio di cessione di somme o crediti, ed il suo oggetto (il denaro) transiti nel patrimonio del cessionario con il correlato effetto di confusione, in esito all’accoglimento della revocatoria fallimentare del negozio assume rilevanza non già il bene-denaro restituito, bensì il pagamento di somme o cessioni di crediti, rispetto al quale il capo della pronuncia che rileva è comunque (anche nel senso di cui all’art. 8 della tariffa) di condanna, ed ha l’effetto di determinare un immediato incremento di ricchezza del fallimento, che quindi correttamente va assoggettato all’imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata, e non della lett. e).

6. Per le suesposte considerazioni, rilevato che la CTR non ha fatto corretta applicazione di tali principi, il ricorso va accolto; segue la cassazione della sentenza impugnata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c. con il rigetto del ricorso introduttivo.

6.1 In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che le questioni giuridiche oggetto di causa hanno trovato soluzione alla luce di valutazioni giurisprudenziali complesse, va disposta la compensazione delle spese processuali del giudizio di merito, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente;

condanna la controricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 5.600,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito; compensa le spese del giudizio di merito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 1 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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