LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12573-2020 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO, 12, presso lo studio dell’avvocato MARCO GRISPO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE di ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7628/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso la decisione della Corte d’appello di Roma in data 9.12.2019, la quale ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza di primo grado, a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che il Ministero intimato non svolge difese;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
– che i motivi deducono:
1) violazione e falsa applicazione della Conv. Ginevra, art. 1, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5 e 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, lamentando che la decisione impugnata abbia ritenuto il richiedente non credibile, con una motivazione apparente, mentre egli aveva indicato dovizia di particolari e di riferimenti;
2) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 32, nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, lamentando che la decisione impugnata sia fondata su motivazione apparente, che non ha tenuto conto delle condizioni socio-politiche del Pakistan, e limitandosi alle risultanze dei rapporti emergenti dal sito di Amnesty International; invece, la regione del Punjab non è sicura per i civili, nonostante i recenti miglioramenti registrati, secondo citazioni al riguardo operate nel ricorso; né ha tenuto conto del cattivo funzionamento ivi del sistema giudiziario e della corruzione diffusa; invece, ove fossero state valutate attraverso la griglia interpretativa imposta dall’art. 3, comma 5, cit., avrebbero consentito di accedere ad un maggiore approfondimento della situazione narrata, in quanto il Pakistan continua ad essere afflitto da attacchi terroristici e da violenza indiscriminata, ancora permanente nel Punjab;
3) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre ad omesso esame di fatti decisivi, perché con motivazione apparente la corte non ha operato una valutazione individuale della situazione del richiedente, che svolge mansioni di facchino ed è alla ricerca di una vita migliore;
– che il ricorso è inammissibile;
– che il giudice del merito ha ritenuto come i fatti narrati dal richiedente, cittadino della Pakistan, oltre a palesarne la completa inattendibilità ed inveridicità (attese le incongruenze, ivi riportate, afferenti fatti centrali e non di dettaglio, già ravvisate dalla commissione territoriale) non integrino i presupposti del diritto al rifugio e della protezione sussidiaria, né esistendo nel paese una situazione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sulla base dei rapporti di Amnesty International, che il giudice dichiara di avere acquisito d’ufficio mediante la consultazione della documentazione sul relativo sito informatico: affermazione che il motivo non può confutare, dovendo anzi presumersi che, mediante tale fonte, siano stati consultati i documenti più recenti ed aggiornati ivi pubblicati; infine, ha escluso la sussistenza di qualsiasi situazione persino allegata di particolare vulnerabilità, esaminandone la situazione, come dedotta, sia per la sua non credibilità, sia per avere solo un rapporto a tempo parziale di facchino;
– che, ciò posto, i motivi sono inammissibili, in quanto le censure non illustrano la violazione delle norme di diritto indicate nella intestazione, risolvendosi in una manifestazione di mero dissenso rispetto alla valutazione della quaestio facti argomentata dal giudice del merito;
– che, dunque, le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti ai giudici del merito in relazione a una situazione alla quale egli sarebbe sottoposto nel suo paese di origine; ed egli sostiene che il giudice del merito avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la narrazione e non avrebbe operato i necessari accertamenti in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria: tuttavia, tali motivi i) non sono riconducibili ad una censura di violazione di legge, dal momento che, in verità e nella sostanza, non mettono in alcun modo in discussione il significato e la portata applicativa delle disposizioni richiamate in rubrica, ma si limitano a censurare la concreta applicazione che di esse il giudice di merito ha fatto, sulla base del materiale istruttorio giudicato rilevante, per i fini del rigetto della domanda proposta; ii) circa la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non espongono una censura in grado di confutare la motivazione, pur stringata, ma esistente del giudice del merito;
– che il giudice del merito, soprattutto, non ha ritenuto il racconto verosimile: e, al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sfogo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, fra le molte): il giudice del merito ha esaminato le dichiarazioni del richiedente, con proprio accertamento insindacabile in fatto, ed ha motivato le ragioni per cui esse sono solo in parte attendibili ed affidabili;
– che, inoltre, a fronte dei generici rilievi del richiedente, la corte del merito ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicché la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, né a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (e plurimis, Cass. n. 21881 del 30 agosto 2019; n. 15794 del 12 giugno 2019);
– che, quanto alla protezione umanitaria, questa Corte ha già precisato come essa “tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente”, evidenziando che non sussiste “né un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, né quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situa ioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., 7 febbraio 2019, n. 3681, tra le tante);
– che il ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità effettiva, in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno;
– che, dunque, il ricorrente a null’altro mira che a riprodurre il giudizio sul fatto, come è del resto palesato dalla stessa riproduzione di documenti nel corpo del ricorso;
– che, in definitiva, sotto il velo della denuncia di violazione di legge e di vizio motivazionale, il ricorrente ha in realtà inteso rimettere inammissibilmente in discussione l’accertamento di merito svolto dal Tribunale;
– che non occorre provvedere sulle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021