LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3035-2020 proposto da:
D.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati DEMETRIO LA CAVA, FRANCESCO ROMEO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino-Novara, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 9069/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 09/12/2019 R.G.N. 28298/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.
RILEVATO
CHE:
D.A. cittadino del *****, chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale:
a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;
avverso tale provvedimento proponeva, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 35 e 35 bis, ricorso dinanzi al Tribunale di Torino, che ne disponeva il rigetto;
a fondamento della decisioné assunta, il Collegio di merito evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto, fra l’altro, che aveva lasciato il proprio paese per controversie di natura privata e rimarcando, quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’insussistenza di alcuna condizione di vulnerabilità che ne giustificasse il rilascio; in particolare, non era stata documentata l’esistenza di patologie che richiedessero cure sanitarie e trattamenti medici, né risultava comprovatolo svolgimento di un positivo percorso di inserimento socioeconomico in Italia tale da far ritenere, in una valutazione comparativa con il livello di integrazione nel Paese di provenienza che lo stesso, ove rimpatriato, si troverebbe in situazione di particolare vulnerabilità stante l’incolmabile sproporzione fra i due contesti di vita.
il provvedimento del Tribunale è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su unico motivo;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea.
CONSIDERATO
CHE:
1. con unico motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione DEL D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3;
si critica la statuizione di rigetto della domanda volta a conseguire il permesso di soggiorno per motivi umanitari, muovendo dal principio che la situazione dello straniero che invochi il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi fra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;
ci si duole che il Collegio di merito abbia omesso di considerare l’audizione avvenuta dinanzi al medesimo tribunale, così tralasciando di vagliare un elemento di prova che avrebbe potuto influire sul thema decidendum;
si prospetta la necessità di valutare le conseguenze del rimpatrio. del richiedente, dopo un lungo periodo vissuto in Italia – dal quale era sorta la legittima aspettativa di una permanenza definitiva sul territorio nazionale – sul rilievo che in tale ipotesi, egli “si troverebbe a rivivere le medesime situazioni di estrema difficoltà materiali, economiche e sociali” ostative al mantenimento di una vita dignitosa come quella condotta nel Paese di accoglienza;
3. il ricorso, è inammissibile per le ragioni di seguito esposte;
in via di premessa occorre rammentare che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018, qui applicabile ratione temporis), costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (vedi ex plurimis Cass. 15/5/2019 n. 13096);
la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve, poi, essere ancorata ad uno scrutinio individuale della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiché, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (vedi Cass. 3/4/2019 n. 9304);
il relativo giudizio deve quindi fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 23/2/2018 n. 4455);
a siffatti principi si è conformato il Collegio del merito, il quale ha rimarcato che dal ricorrente non era stata allegata alcuna effettiva situazione di vulnerabilità che potesse consentire di formulare in relazione all’eventuale rimpatrio, una prognosi di privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale;
e detta statuizione non risulta validamente inficiata dalla ricordata censura, che si palesa del tutto generica nella sua formulazione;
essa è completamente priva della sommaria esposizione del fatto come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 che risulta, dunque, inosservato;
al riguardo, questa Corte ha affermato i seguenti principi, ormai consolidati, secondo cui: “Il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione.” (Cass. SU 11308/2014);
“nel ricorso per cassazione è essenziale il requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, da effettuarsi necessariamente in modo sintetico, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte. (cfr. Cass. 10072/2018; Cass. 7025/2020);
nel caso in esame, il motivo proposto è riferito ad una vicenda sostanziale e processuale che rimane non chiarita sia rispetto al racconto del richiedente che è stato oggetto di valutazione del Tribunale, sia in relazione alle censure prospettate nel grado di merito: ciò non consente a questa Corte di apprezzare gli errori che sono stati denunciati;
in definitiva, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;
si dà infine atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto giacché le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10 (vedi ex aliis, Cass. 8/2/2017 n. 3305).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021