Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26485 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25059/2020 proposto da:

A.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Giorgio Lazar, in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 10/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 bis depositato il 5/10/2019 A.A., cittadino del *****, ha adito il Tribunale di Milano-Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, nato a ***** in *****, ha dichiarato di aver fatto ingresso in Italia dalla Libia il 30/8/2016; di essere di religione ***** ed etnia *****; che il suo nucleo familiare era composto dal padre con moglie e cinque figli, mentre la propria madre (di religione ***** e che non era mai stata sposata dal padre) era deceduta nel *****; che il padre lo maltrattava e lo vessava anche dinanzi ai suoi fratellastri per la sua fede *****; che il ***** il padre lo aveva aggredito e picchiato perché lui era andato in chiesa; di essersi difeso spingendo il padre e poi di essere stato picchiato, legato e rinchiuso dai fratellastri; che in una lite successiva con uno dei fratellastri, che lo aveva sciolto dai lacci per dargli da mangiare, lui e il fratellastro si erano feriti a vicenda con il coltello; di essere fuggito dallo zio materno; dopo aver appreso della morte del fratellastro ferito, di essere emigrato in Libia con lo zio; che anche lo zio, coinvolto in traffici illeciti, era morto; di essere quindi partito per l’Italia.

L’Amministrazione non si è costituita.

Con decreto del 10/7/2020 comunicato a mezzo p.e.c. il 21/8/2020 il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione A.A. con atto notificato il 23/9/2020 con il supporto di un unico motivo, rivolto a denunciare violazione di norme di diritto ed omesso esame circa fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Con successiva nota del 2/10/2020 il ricorrente ha chiesto la rimessione in termini per il caso in cui la notificazione fosse ritenuta tardiva per la mancata traduzione in lingua nota o veicolare del provvedimento impugnato.

L’Amministrazione dell’Interno ha depositato memoria dell’11/12/2020 al fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’istanza di rimessione in termini, peraltro proposta in modo alquanto perplesso dallo stesso ricorrente (“se in denegata ipotesi si ritenesse la notifica del ricorso avvenuta oltre il termine di legge”) appare infondata.

1.1. Il provvedimento impugnato è stato comunicato il 21/8/2020 e la notifica del ricorso è avvenuta il 23/9/2020, di mercoledì, e quindi oltre il termine di trenta giorni, previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13, quinto periodo, tenuto conto della inoperatività della sospensione feriale dei termini processuali dal 23 al 31/8/2020, sancita dal comma 14 dello stesso art. 35 bis sopra citato.

1.2. A giustificazione della richiesta, formulata genericamente, in implicito e presumibile riferimento all’art. 153 c.p.c., comma 2, il ricorrente adduce solamente che il decreto impugnato non era stato tradotto in lingua conosciuta dal ricorrente, e neppure in una delle “lingue veicolari” e non conteneva neppure “il rituale riferimento alla modalità e al termine di una eventuale impugnazione”.

2. In primo luogo, dagli atti e cioè della prescritta certificazione D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 bis, comma 13, emerge che il richiedente asilo ha rilasciato all’avv. Giorgio Lazar la procura in data 7/9/2020 e quindi ampiamente nel termine ed inoltre che il ricorso è stato predisposto e sottoscritto dal difensore il 19/9/2020, e quindi ancora nel termine, mentre la richiesta di notificazione è stata avanzata all’UNEP Milano solo il 22/9/2020 e quindi già tardivamente.

Il superamento del termine è quindi scaturito dall’omessa diligenza e tempestività nella confezione e notificazione del ricorso.

3. In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 23760 del 24/09/2019, Rv. 655336 – 01; Sez. 2, n. 21450 del 06/10/2020, Rv. 659371 – 01, poi conformi Sez. 14264/2021: Sez. 6-1, 121173/2021; Sez. 2, 26609/2021) in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano.

4. Nessuna norma, infine, impone di dar avviso alla parte processuale, assistita necessariamente da difensore abilitato, dei tempi e modi di impugnazione di un provvedimento giurisdizionale, come sembrerebbe voler sostenere il ricorrente sulla falsariga dei provvedimenti amministrativi, destinati e diretti a un cittadino non assistito da un difensore tecnico, professionista abilitato.

5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, senza condanna alle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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