LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
P.G., T.E., T.V., T.M.M., rappr. e dif. dall’avv. Emanuele Passanisi, avvemanuelepassanisi.pec.ordineavvocaticatania.it, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Catania, via G. D’Annunzio n. 24, come da procura in calce all’atto;
– ricorrenti –
Contro
FALLIMENTO ***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (già Officine P.
s.p.a.), in persona dei curatori fall. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Marobbio mauro.marobbio.avvocatismcv.it ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Claudio Guzzo in Roma, Vicolo di Porta Furba n. 31, come da procura su foglio separato allegato;
– controricorrente –
per la cassazione del decreto Trib. Napoli 26.6.2019, n. 1160/2019, in R.G. n. 35717/2017;
viste la memoria del fallimento;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del giorno 28 settembre 2021 dal presidente relatore Dott. Ferro Massimo.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. P.G., T.E., T.V., T.M.M. impugnano il decreto Trib. Napoli 26.6.2019, n. 1160/2019, in R.G. n. 35717/2017, che ha accolto la revocazione dell’ammissione al passivo del proprio credito, quale prima disposta con riserva dal giudice delegato nel fallimento ***** s.r.l. in liquidazione;
2. il tribunale ha premesso che: a) il credito era stato insinuato quale corrispettivo per la locazione di un immobile, sulla base di un documento “sottoscritto dal de cuius e dal figlio P.B. “; b) dal testamento pubblicato emergeva che P.B. era erede testamentario, con confusione dei patrimoni, ma al contempo gli altri eredi avevano contestato, con denuncia penale e in altra causa civile, la autenticità del testamento, esibendo una perizia grafologica; c) durante l’impugnativa del testamento, P.B. aveva chiesto verificarsi la autenticità della sottoscrizione del testamento con la firma del documento (contratto di locazione del bene), seguendone però il disconoscimento, invocato dagli altri eredi, della sottoscrizione della seconda scrittura, cioè di quella dalle stesse parti esibita a sostegno del credito insinuato al passivo; d) la successiva domanda di revocazione, per dolo e promossa dal curatore, poggiava dunque su detto disconoscimento, tanto più perché avvenuto prima della citata ammissione con riserva, decisa per attendere un chiarimento sulla dubitata autenticità;
3. il tribunale ha così ritenuto che proprio l’aver assunto le stesse parti la falsità del documento, con denuncia comunque anteriore alla pronuncia sui crediti da parte del giudice delegato, fondava la domanda di revocazione;
4. il ricorso è su quattro motivi, cui si contrappone il curatore con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo, il ricorrente lamenta la nullità del procedimento, per violazione ad opera del provvedimento impugnato dell’art. 111 Cost. e della L. Fall., art. 99, u.c., per non avere il tribunale adempiuto all’obbligo di motivazione, non facendo la parte motiva neanche riferimento alla norma applicata;
2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 98, comma 4, sotto il profilo della presunta falsità della sottoscrizione della C. (il de cuius, parte del preteso contratto di locazione) poiché la predetta falsità non era mai stata accertata in giudizio, posto che la contestazione di cui in un primo tempo essa era stata investita nella lite testamentaria fra gli eredi era da ricondursi ad una deduzione di mera “inidoneità” del documento a costituire termine di comparazione con la firma del testamento impugnato;
3. con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione ancora della L. Fall., art. 98, comma 4, ma sotto il profilo del dolo, non sussistendo alcun elemento oggettivo che consenta di affermarne la sussistenza, tanto più che pende altro giudizio fra le parti (questa volta con la curatela, che l’ha riassunto) in tema di risoluzione per morosità proprio del contratto di locazione;
4. con il quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c), lamentando una quantificazione oltre misura delle spese, dato che nel giudizio non è stata espletata alcuna fase di trattazione;
5. il primo motivo è inammissibile, posto che il decreto del tribunale pur con assoluta stringatezza e minimi riferimenti alla vicenda storica – ha chiaramente disposto l’accoglimento di una “revocazione”, evidenziata dal curatore anche per “dolo” della parte creditrice (gli eredi C.) e ritenuta però fondata per la falsità del documento nel frattempo altrove emersa, così chiaramente mostrando di voler collegare la rimozione dell’avvenuta ammissione al passivo (e sia pur con riserva) al titolo su cui si sarebbe fondato il credito, cioè la scrittura privata contrattuale (firmata per la società fallita da P.B., già amministratore) indicante il corrispettivo determinato per la locazione; non può pertanto dirsi inesistente la motivazione, avendo il giudice enunciato il convincimento assunto e i fatti giustificativi del relativo quadro argomentativo, al di sopra del cd. minimo costituzionale (Cass. s.u. 8053/2014);
6. il secondo e terzo motivo, da trattare congiuntamente perché connessi, sono inammissibili, per plurimi profili; in primo luogo, essi non colgono la ratio decidendi della pronuncia la quale, riepilogando le difese della curatela nel giudizio di revocazione, ne riassume la prospettata condotta di dolo delle controparti, nel senso che esse avrebbero consapevolmente utilizzato un documento che sapevano falso, per averlo in altro giudizio appunto tacciato di non riconducibilità alla de cuius-locatrice immobiliare, ma poi in parte motiva il decreto revoca l’ammissione con riserva diffondendosi proprio su detta falsità, che è dunque la assorbente ratio decidendi; in secondo luogo, non appare ammissibile – perché in apparenza nuova – la prospettazione dedotta quanto alla degradata linea di contrasto all’autenticità del documento, che sarebbe stata improntata non alla falsità (quale corrispondente al disconoscimento della scrittura in altro giudizio, per come invece esperito dagli attuali ricorrenti ex art. 214 c.p.c.) bensì ad una meno impegnativa assunzione di non idoneità della scrittura stessa a costituire termine di comparazione; invero trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, 23675/2013);
7. va infine aggiunto che non appare idoneamente censurata la parte motiva del decreto allorché esso riconduce alle parti creditrici l’utilizzo consapevole di un documento nel frattempo dalle medesime disconosciuto nella firma in altro giudizio ed oggetto di perizia grafologica del perito della Procura della Repubblica che procedeva per falso, mentre ancora non era terminata la fase sommaria di accertamento del passivo avanti al giudice delegato ed anzi nonostante il differimento di trattazione disposto proprio al fine di acquisire chiarimenti sul punto;
il quarto motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza della censura che omette di riepilogare, per le fasi della vicenda processuale culminata nel decreto impugnato, il tenore delle rispettive difese e l’origine del contraddittorio per come decisivamente imperniato anche sull’andamento della originaria insinuazione al passivo rispetto alla condotta assunta dalle parti negli altri procedimenti coinvolti nella emersione della menzionata produzione documentale oggetto di contestazione (Cass. 18190/2015);
conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza e come meglio in dispositivo, nella sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento, liquidate in Euro 4.500 oltre ad Euro 100 per esborsi, nonché al rimborso forfettario nella misura del 15 % in favore del controricorrente e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021