LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13766/2015 R.G. proposto da:
C.M., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Tucci, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Stefano Bassi, in Roma via Crescenzio 82;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto-Mestre, n. 1863/14, depositata il 19 novembre 2014, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Novik Adet Toni.
RILEVATO
CHE:
– C.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1863/14 della Commissione tributaria regionale del Veneto-Mestre, depositata il 19 novembre 2014, che, in riforma di quella di primo grado, aveva accolto l’appello dell’agenzia delle entrate: con il ricorso originario la contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005 ai fini Iva, Irap e Irpef, con cui era stata accertata l’indebita deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette; l’omessa dichiarazione dei ricavi connessi all’emissione di fatture per operazioni inesistenti; l’indebita detrazione Iva; maggiore Iva per l’omessa contabilizzazione di ricavi;
– l’accertamento era scaturito da una verifica fiscale della Guardia di Finanza che aveva redatto il PVC, successivamente integrato con una ulteriore verifica da cui erano emersi ricavi non dichiarati per ulteriori operazioni inesistenti e l’omesso versamento di Iva dovuta su fatture per operazioni attive inesistenti non contabilizzate;
– si legge nella sentenza impugnata che il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso della contribuente motivando quasi esclusivamente sull’eccezione preliminare dell’agenzia, che aveva respinto, fondata sull’erronea notifica del ricorso all’agenzia delle entrate di Treviso, anziché a quella competente di Vicenza, “tralasciando di considerare quasi del tutto il merito della controversia”;
– osservava la CTR che, affermando semplicemente di essere estranea ai rilievi sollevati nel PVC della Guardia di Finanza, la contribuente non aveva fornito al giudice “alcun solido elemento per valutare la fondatezza o meno di quanto asserito”;
– pertanto, tenuto conto che i rilievi a base dell’accertamento avevano carattere oggettivo e riguardavano condotte articolatesi in un arco di tempo apprezzabile, ben avrebbe potuto la contribuente, usando la minima diligenza ed accortezza, intervenire per precludere per il futuro l’abuso da parte dei terzi della sua posizione personale fiscale; sotto questo aspetto, concludeva, che il ricorso introduttivo era carente in misura insanabile;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– l’agenzia resiste con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
– con il primo motivo, la contribuente eccepisce la: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto per violazione dell’art. 342 c.p.c.. Nullità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate”, sul rilievo che l’appello avesse riguardato soltanto motivi attinenti alla inammissibilità del ricorso in primo grado della contribuente, omettendo specifici motivi di impugnazione contro la parte della motivazione riguardante il merito;
– il Collegio osserva preliminarmente che per il giudizio tributario la norma che regola la forma dell’appello è il D.Lg. n. 546 del 1992, art. 53, e non già l’art. 342 c.p.c.;
– la censura è comunque inammissibile;
– la specificità dei motivi di appello è osservata anche se l’appellante censura la sentenza proponendo questioni di rito che ritenga preliminari ed assorbenti rispetto al merito della causa;
– d’altra parte, questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’appellante che impugni la sentenza con la quale il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda, avendola ritenuta assorbita da un’altra decisione di carattere logicamente preliminare, non ha l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sulla questione assorbita, ma soltanto di riproporre la relativa domanda nel rispetto dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. 974/2006; Cass. 29954/2011; Cass. 17749/2017). Nel caso in esame, nella sentenza impugnata si legge che il giudice di primo grado “aveva tralasciato di considerare quasi del tutto il merito della controversia”, mentre a pagina 6 del controricorso l’ufficio riporta che nel proprio atto di appello aveva osservato “ad ogni buon conto, nel richiamare le motivazioni dell’avviso di accertamento, già indicate in fatto, se ne ribadisce anche nell’odierna sede la fondatezza e la legittimità”, così esplicitando anche le difese di merito, di cui non è necessaria la trascrizione dovendosi intendere implicitamente richiamate;
– con il secondo motivo, la contribuente eccepisce la: “Violazione e falsa applicazione di norma di diritto per violazione dell’art. 112 c.p.c. Nullità della sentenza impugnata”, sul rilievo che la CTR avrebbe pronunciato su domande di merito non proposte dall’appellante;
– la censura è inammissibile;
– il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio;
– discende che ove il giudice tributario escluda i vizi formali dedotti dalla parte, riconosciuta la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio, ha il dovere di decidere sul merito ed accertare l’imposta dovuta;
– con il terzo motivo, la contribuente eccepisce la: “Violazione e falsa applicazione di norma di legge per violazione del D.P.R. 22 dicembre 1086 (recte, 1986), n. 917, art. 1, (Testo unico II.DD,) e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4 (T.U. IVA) in relazione all’art. 53 Cost””, sul rilievo che la CTR non avrebbe considerato che per la CTP e la Guardia di Finanza i redditi e i ricavi accertati erano di pertinenza di tale P.D., autore di un furto di identità; sul punto, si sarebbe formato il giudicato;
– la censura è manifestamente infondata;
– la CTR, richiamando l’avviso di accertamento, ha preso in esame le condotte della contribuente e ha ritenuto che esse, puntuali e non episodiche, facessero parte di un articolato disegno che la medesima avrebbe potuto evitare con minima diligenza ed accortezza;
– in tal modo, ha ritenuto la corresponsabilità della contribuente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti dal momento che, affermando semplicemente la propria estraneità ai rilievi sollevati dall’ufficio, non aveva fornito alcun elemento per valutare la fondatezza o meno di quanto asserito;
– la CTR ha fatto corretta applicazione della costante interpretazione giurisprudenziale di questa Corte sul regime probatorio che contraddistingue le operazioni oggettivamente inesistenti, per cui, costituendo la fattura in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate;
– il ricorso va quindi respinto;
– applicazione del disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore dell’agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro un 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021