LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25151-2015 proposto da:
ALIFIN SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato ENRICO VOLPETTI, rappresentata e difesa 2021 dall’avvocato GIUSEPPE IBELLO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1682/2015 della COMM.TRIB.REG.LAZIO SEZ.DIST.
di LATINA, depositata il 19/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA;
RITENUTO
che:
Alifin s.p.a. impugnava l’avviso di rettifica e di liquidazione emesso dalla Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Latina, con cui veniva accertata una maggiore imposta ipotecaria e catastale ed imposta complementare in relazione alla compravendita di un fabbricato industriale con appartamento del custode, tettoia ed area scoperta, sito nel comune di Argenta di cui all’atto pubblico ai rogiti del Notaio Corteggiani del 4.12.2009. Nell’atto di trasferimento le parti dichiaravano un valore venale di Euro 1.550.000 che veniva dall’ufficio rettificato con applicazione delle rendite catastali vigenti nel 2009 adottando il criterio della valutazione automatica D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 52, comma 4.
La CTP di Roma Sez. distaccata di Latina, con sentenza del 27 gennaio 2012, rigettava il ricorso ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio.
Dopo tale pronuncia la società chiedeva ed otteneva la rettifica delle rendite in considerazione delle mutate condizioni nelle quali gli immobili compravenduti si trovavano.
Proposto appello avverso detta pronuncia da parte della società contribuente, la CTR del Lazio, con sentenza in data 19 marzo 2015, rigettava il gravame ritenendo che l’Ufficio avesse correttamente operato la valutazione automatica di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, sulle rendite catastali riportate nell’atto notarile di compravendita. Quanto alle nuove rendite rettificate, riteneva che le stesse dovessero essere considerate dall’anno di imposta successivo a quello dell’annotazione delle modifiche negli atti catastali e che, pertanto, non avessero efficacia retroattiva fino al 2009, anno della compravendita. Osservava inoltre che la rettifica è successiva alla stipula della compravendita, risalendo al 15 Febbraio 2011, e che era stata disposta “in relazione alla fusione, ampliamento, diversa distribuzione degli spazi interni e ristrutturazioni”.
Avverso detta pronuncia la società contribuente proponeva ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Parte intimata si costituiva al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Entrambe le parti depositavano memorie (l’Agenzia delle Entrate avvalendosi del protocollo di regime transitorio).
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2- Errore in giudicando” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non aveva applicato il principio di cui alla norma citata, secondo cui l’annullamento o la modifica della rendita catastale per errori originari alla sua attribuzione, avendo natura ricognitiva e non costitutiva, retroagisce alla data della stipula dell’atto di trasferimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 – Errore in giudicando”, parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata aveva erroneamente applicato all’atto di compravendita una rendita non consona perché successivamente rettificata, né aveva considerato gli altri parametri estimativi di cui alle norme indicate.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione di legge per omesso esame fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’art. 132 c.p.c.”, parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non dà alcun conto della motivazione per la quale la nuova rendita era stata ritenuta applicabile per l’anno successivo, omette di motivare in ordine al mancato accoglimento della deduzione difensiva fondata sui valori OMI che condurrebbe ad un valore diverso da quello determinato dall’Ufficio ed omette di valutare criticamente la regola di cui all’art. 2697 c.c..
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione di legge per omesso esame fatto decisivo in relazione art. 360 c.p.c., n. 5 – Violazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c. – Violazione di legge in relazione all’art. 132 c.p.c.”, parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata omette di motivare in ordine alle ragioni per cui il calcolo offerto dalla società contribuente non fosse applicabile o conforme alla previsione normativa.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
A prescindere dal richiamo alla violazione di una norma relativa all’Ici e non già all’imposta di registro o ipocatastale, la censura svolta non tiene conto della ratio decidendi della sentenza impugnata ove si legge che la rettifica, successiva alla stipula della compravendita, venne richiesta, soltanto nel 2011, in relazione alla fusione, ampliamento, diversa distribuzione degli spazi interni e ristrutturazioni; dal che si evince che correttamente la retroattività della rendita è stata esclusa dalla CTR, in quanto le rendite rettificate non rimediavano ad errori pregressi bensì a modificazioni successive degli immobili (evenienza fattuale qui non censurabile).
Peraltro gli assunti errori originari non vengono in alcun modo indicati nel ricorso né gli stessi sono ricavabili dagli atti.
Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
Ed invero tra i criteri estimativi degli immobili indicati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 non vi è un ordine gerarchico, di talché l’ufficio ben poteva determinare il valore venale anche soltanto sulla base delle rendite; tanto più che nella specie si trattava di un criterio automatico previsto dalla legge.
Il terzo motivo è infondato.
Va in primis rilevato che la censura svolta, pur rubricata come omessa motivazione, in realtà lamenta un omesso esame circa la questione della retroattività della nuova rendita catastale con riguardo all’anno 2009.
A riguardo giova sottolineare che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione per omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5.
Ciò posto e ritenuto tale primo profilo di inammissibilità, va altresì rilevato che la sentenza impugnata ha in realtà esaminato l’applicabilità delle nuove rendite catastali risolvendolo sotto il profilo della loro non retroattività, di talché sotto tale aspetto la doglianza si rivela infondata.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
A prescindere dal rilievo che nuovamente parte ricorrente deduce come omessa motivazione l’omesso esame, va rilevato che la questione del ricalcolo della rendita catastale da parte della ricorrente non risulta essere stata dedotta nei precedenti gradi di giudizio, con conseguente inammissibilità della doglianza. Ed invero, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass. Sez.6-5, n. 32804/19).
In ogni caso, dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la CTR ha escluso la retroattività delle rendite per difetto di prova del fatto che le rettifiche fossero dipese da errori originari, piuttosto che da variazioni sopravvenute, e che inoltre l’amministrazione finanziaria aveva fatto ricorso al criterio automatico.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 5000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale effettuata da remoto, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021