Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26534 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31113/2018 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. ROSARIO ENZO CIRILLO;

– ricorrente –

contro

D.B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 169, presso lo studio dell’avvocato MONICA BUCARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO AVVENENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 491/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

D.B.M. convenne innanzi al Tribunale di La Spezia C.N., nella qualità di titolare della ditta individuale Ristorante Pizzeria La Mela di C.N., chiedendo l’accertamento dell’inadempimento del convenuto alla clausola risolutiva espressa contenuta in appendice al contratto di locazione in relazione alla mancata prestazione di fideiussione, salvo per il primo anno del rapporto contrattuale. Il convenuto propose domanda riconvenzionale di condanna al pagamento degli esborsi sopportati per lavori di manutenzione straordinaria presso il locale. Il Tribunale adito accolse la domanda attorea, dichiarando risolto il contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c. e rigettò la domanda riconvenzionale. Avverso detta sentenza propose appello il C..

Con sentenza di data 29 marzo 2018 la Corte d’appello di Genova accolse parzialmente l’appello condannando il D.B. al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 1.800,00 oltre interessi in relazione alla domanda riconvenzionale. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che la tolleranza del creditore non era sufficiente ad integrare rinunzia alla clausola ove manifestata successivamente all’atto di tolleranza l’intenzione di avvalersi della clausola medesima, che la locazione doveva ritenersi risolta di diritto per mancata prestazione della fideiussione perché, a fronte della lettera del 25 settembre 2014 nella quale era evidente l’intenzione del locatore di avvalersi della clausola e quindi di pretendere la garanzia fideiussoria, il C. non aveva consegnato la fideiussione a garanzia del canone annuale di locazione né dopo la ricezione della detta missiva, né dopo il ricorso introduttivo del giudizio in cui il locatore aveva lamentato l’inadempimento all’obbligazione assunta con l’appendice contrattuale.

Ha proposto ricorso per cassazione C.N., nella qualità di titolare della ditta individuale Ristorante Pizzeria La Mela di C.N.. La parte intimata ha proposto controricorso. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 1456 c.c., art. 112 c.p.c., nonché omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che la lettera del 25 settembre 2014 non è stata ricevuta dal C. perché non inviata al domicilio eletto nel contratto coincidente con la sede della ditta (l’immobile locato), ma all’indirizzo di residenza del titolare, da cui l’inefficacia della missiva e l’impossibilità per il locatore di avvalersi della clausola risolutiva espressa, e che una volta che non sia stata invocata la detta clausola la successiva dichiarazione di avvalersene, anche se contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, non ha rilevanza (Cass. n. 26508 del 2009). Aggiunge che non solo la volontà espressa soltanto nell’atto introduttivo del giudizio è irrilevante, ma è anche contraddetta dalla volontà di proseguire il rapporto, essendo quest’ultimo continuato dopo il pagamento dei canoni scaduti all’esito dello sfratto intimato nel luglio 2014.

Il motivo è inammissibile. La censura si basa su un presupposto di fatto, la mancata ricezione della lettera del 25 settembre 2014 perché inviata non al domicilio eletto nel contratto, non accertato dal giudice di merito. Lo scrutinio del motivo comporta pertanto un’indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimità. Ne’ risulta proposta rituale denuncia di vizio motivazionale con riferimento alla circostanza in discorso perché, a parte il riferimento in rubrica al paradigma del vizio di cui all’art. 360, n. 5, non più vigente, con riferimento al fatto in questione non risulta assolto l’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione della sede di ingresso nel processo di merito della circostanza e del relativo documento.

Ad ogni buon conto va rammentato, con riferimento al merito della censura, che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte l’elezione di domicilio fatta dalla parte in sede di stipula del contratto (nella specie: locazione) deve ritenersi a carattere non esclusivo, in difetto di chiara ed espressa volontà contraria e, come tale, non ostativa a che l’atto unilaterale recettizio inerente al rapporto contrattuale venga trasmesso al diverso indirizzo della parte medesima, ai sensi dell’art. 1335 c.c. (Cass. n. 4083 del 1978, n. 8399 del 1996, n. 904 del 2001, n. 14011 del 2005, n. 25731 del 2015).

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1418 c.c., art. 1421 c.c., comma 1, L. n. 311 del 2004, art. 346, nonché omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che i patti aggiunti al contratto di locazione sono al pari del contratto soggetti all’obbligo di registrazione ai fini della loro validità e che pertanto nulla è la clausola aggiuntiva in quanto non registrata, mentre a nulla vale quanto affermato dal giudice di primo grado, e cioè che l’appendice integrativa non costituirebbe novazione del contratto.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che il patto aggiunto non contiene alcuna previsione di rinnovo automatico per cui il rinnovo tacito del contratto di locazione non può dirsi operante anche per l’obbligazione fideiussoria.

Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto affetti dal medesimo vizio, sono inammissibili. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente non ha specificatamente indicato se le censure richiamate nei motivi di esame abbiano costituito motivo di appello. Trattasi di esigenza ancora più avvertita ove si ponga attenzione al fatto che nei motivi di appello indicati nella sentenza impugnata non vi è traccia delle censure in questione (e peraltro è lo stesso ricorrente ad indirizzare la censura di cui al secondo motivo non alla sentenza impugnata, ma a quella di primo grado).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi e gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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