Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26543 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3835/2018 proposto da:

EDIL SUD SRL, in persona del suo rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO SEMINARA, con domicilio presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AUGUSTA, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIO ROSSITTO, con domicilio in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

EDIL SUD SRL, in persona del suo rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO SEMINARA, con domicilio presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1247/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 05/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

RITENUTO

che:

EDIL SUD SRL ricorre per la cassazione della sentenza n. 1247/2017 della Corte d’Appello di Catania, resa pubblica il 5 luglio 2017, formulando un solo motivo.

Resiste e propone ricorso incidentale il Comune di Augusta, basato su un motivo, cui resiste con controricorso EDIL SUD SRL.

La ricorrente deduce:

i) di aver realizzato e locato un edificio, destinato ad essere utilizzato come sede locale del Tribunale, al Comune di Augusta;

ii) di aver ottenuto nei confronti del Comune un decreto ingiuntivo per Euro 298.125,15 per mancato pagamento dei canoni di locazione: decreto ingiuntivo confermato, con sentenza n. 1245/2017 della Corte d’Appello di Catania, passata in giudicato, la quale riformava la decisione del Tribunale di Catania, che aveva accolto l’opposizione del Comune di Augusta, iii) di aver ricevuto, in data 17 ottobre 2012, una nota del Comune di Augusta che dichiarava risolto il contratto, stante la soppressione, con D.Lgs. n. 155 del 2012, della sezione distaccata di Augusta;

iv) di aver rifiutato la restituzione dell’immobile, in ragione dei danni all’immobile, imputabili a omessa vigilanza, custodia e manutenzione ordinaria da parte del conduttore;

v)di aver chiesto al Presidente del Tribunale di Augusta di far verificare attraverso accertamento tecnico preventivo lo stato dell’immobile;

vi) di aver ricevuto un rifiuto da parte del Comune di Augusta alla richiesta di risarcimento dei danni, siccome accertati dal CTU;

vii) di aver ottenuto un decreto ingiuntivo per complessivi Euro 867.133,00 per gli importi dovuti dal Comune per il biennio 2011/2012;

vii) di aver ottenuto una sentenza favorevole, la n. 1103/2014 del Tribunale di Catania, che respingeva l’opposizione al decreto ingiuntivo presentata dal Comune di Augusta;

viii) di aver presentato appello avverso la suddetta decisione per non avere la stessa, nonostante il rigetto dell’opposizione, riconosciuto integralmente il credito richiesto;

ix) di avere ottenuto una pronuncia, la n. 1247/2017, oggetto dell’odierno ricorso, parzialmente favorevole, eccetto che per la statuizione con cui la Corte d’Appello riteneva non giustificato il rifiuto opposto alla riconsegna dell’immobile, basato sulle condizioni del medesimo, aggredito dall’acqua per incuria del conduttore, e sulla ricorrenza di danni che il CTU, in sede di accertamento tecnico preventivo, aveva quantificato in Euro 123.400,00. In particolare, la sentenza impugnata riteneva che, essendo pacificamente cessato il rapporto locativo, le giustificazioni addotte, riguardando il profilo risarcitorio, non erano tali da impedire la consegna del bene.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., n. 1 e non sono state depositate conclusioni scritte da parte del PM. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata con la memoria depositata in vista dell’odierna Camera di consiglio, dal Comune di Augusta, per sopravvenuta carenza di interesse, determinata dalla proposta transattiva, formulata, con nota prot. n. 22841 del 26 marzo 2021, dall’Ufficio Post Dissesto del Comune di Augusta, incaricato della liquidazione dei crediti di terzi già riconosciuti dall’Organo Straordinario di Liquidazione. Nel dettaglio, era stata proposta, in via transattiva e non negoziabile, il pagamento – in tre soluzioni – del credito vantato dalla ricorrente pari a Euro 710.586,25 (di cui Euro 669.897,56 a titolo di canoni e i restanti Euro 40.688,69 a titolo di interessi). Tale proposta si era perfezionata il 21 aprile 2021 con l’accettazione da parte della Società ricorrente, la quale contestualmente si era impegnata a rinunciare “ad interessi e rivalutazione del credito ed a tutte le azioni giudiziali o extragiudiziali ed esecutive eventualmente intraprese”.

Il Comune di Augusta chiede che alla dichiarazione sottoscritta da Edil Sud, prodotta ex art. 372 c.p.c., si riconosca “indubbio valore e significato preclusivo dell’attuale ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo del venir meno dell’interesse della parte ricorrente a ottenere una pronuncia che incida sulla questione sottoposta al vaglio della Corte, per essere intervenuto un fatto lato sensu conciliativo diretto a consacrare una definizione generale della pretesa fatta valere in giudizio”.

La società Edilsud, a sua volta, con specifica memoria, sostiene che la proposta transattiva avanzata dal Comune riguardava il solo credito per canoni locatizi certo liquido ed esigibile, siccome derivante da sentenza, e già ammesso allo stato passivo dall’Organismo di Liquidazione, con esclusione del credito per indennità di occupazione, oggetto dell’odierno ricorso per Cassazione.

In applicazione della giurisprudenza di questa Corte, pur essendo ammissibile la produzione nel corso del giudizio di legittimità di documenti diretti ad evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento, rientrando tale produzione nell’ambito di applicazione dell’art. 372 c.p.c., comma 2, riguardante la facoltà di deposito dei documenti attinenti all’ammissibilità del ricorso (Cass. 23/06/2009, n. 14657), non può dichiararsi la cessazione della materia del contendere ove non vi sia accordo tra le parti circa il venir meno delle ragioni di contrasto. I fatti sopravvenuti devono essere ammessi da tutte le parti che, avendo diretta incidenza sulla situazione sostanziale prospettata, facciano venire meno la necessità della pronuncia del giudice.

Nondimeno, la dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse alla definizione del ricorso, resa dal difensore munito di mandato speciale, non può comportare la cessazione della materia del contendere che presuppone che le parti si diano atto reciprocamente del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso (Cass. 12/11/2020, n. 25625).

In conclusione, non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Il Collegio ritiene che la mancata dichiarazione della cessazione della materia del contendere determini la permanenza dell’interesse al ricorso incidentale da parte del Comune di Augusta, che, pertanto, non viene considerato rinunciato.

Ricorso principale di EDIL SUD.

1. Con l’unico motivo di ricorso la società EDIL SUD deduce la violazione dell’art. 1591 c.c., rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi della ricorrente è che, stante la previsione di cui all’art. 1591 c.c. secondo cui il conduttore in mora è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno, il locatore era legittimato a rifiutare la restituzione del bene sino al risarcimento del danno ed a pretendere nell’attesa il pagamento del corrispettivo dovuto.

Ricorso incidentale del Comune di Augusta.

2. Il Comune di Augusta lamenta la violazione dell’art. 1360 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza escluso che l’avveramento della condizione risolutiva apposta al contratto retroagisca al momento della stipulazione del contratto, rendendo inesigibile il pagamento dei canoni di locazione, ai sensi dell’art. 1360 c.c..

Oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte d’Appello riteneva che la risoluzione non potesse estendersi alla prestazioni già eseguite, in applicazione dell’art. 1458 c.c., e precisava che per prestazioni già eseguite da non restituirsi debbono intendersi “solo quelle che abbiano un autonomo e completo valore satisfattivo per le ragioni del creditore, nel senso che non si estende l’inefficacia retroattiva della risoluzione solo a quelle prestazioni in cui il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore, in una situazione di corrispettività a coppie”.

Il Comune deduce che l’art. 1360 c.c., non si riferisce affatto alle prestazioni già eseguite e da non restituire, bensì alla disciplina degli effetti dell’avveramento della condizione sulle prestazioni già eseguite; quindi, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente invocato l’art. 1458 c.c., per risolvere la quaestio iuris, la quale non implicava una richiesta restitutoria, bensì l’accertamento degli effetti che si producono al verificarsi della condizione risolutiva.

3. Per ragioni logiche va esaminato preliminarmente il ricorso incidentale, giacché il suo eventuale accoglimento renderebbe irrilevante il ricorso formulato in via principale.

Il motivo è infondato.

Il Comune di Augusta, con suo scarno apparato argomentativo, sembra voler porre la questione controversa in questi termini: la Corte d’Appello ha errato nel ritenere applicabile l’art. 1458 c.c., perché non era in gioco una richiesta restitutoria, che avrebbe lasciato in piedi il rapporto nato con il contratto, ma la ricorrenza di un evento avente effetto dissolutorio del rapporto nato con il contratto medesimo: evento che avrebbe dovuto regolarsi non già invocando la disciplina della risoluzione, bensì quella dell’indebito.

La censura non coglie nel segno. La Corte d’Appello ha, infatti, fatto corretta applicazione dell’art. 1360 c.c., il quale, secondo la communis opinio, deroga al principio della retroattività reale della condizione nei confronti delle prestazioni già eseguite nascenti da contratti ad esecuzione continuata o periodica (comma 3). Tale previsione è ritenuta una specificazione di un principio generale delle obbligazioni di durata, insieme con la risoluzione per inadempimento (art. 1458, comma 1) o per eccessiva onerosità (art. 1467, comma 1) e l’esercizio del recesso convenzionale (art. 1373, comma 2), cioè di quei vincoli nei quali la temporalità dell’esecuzione assume una prevista rilevanza causale che conforma la struttura ed il contento del rapporto, sottoponendoli ad una retroattività limitata non eccedente il segmento del rapporto esattamente adempiuto.

La differenza tra la retroattività di cui all’art. 1458 c.c. e quella di cui all’art. 1360 c.c., introdotta dal codice del 1942, riguarda la posizione dei terzi, essendo la retroattività conseguente alla risoluzione del contratto di natura obbligatoria, a differenza della retroattività della condizione che assume valenza reale, cioè produce effetti nei confronti non solo delle parti del contratto, ma anche nei confronti dei terzi, essendo in grado di travolgere ex tunc i diritti nel frattempo acquisiti da questi ultimi. Tale differenza, nondimeno, non assume rilievo – né essa è stata in alcun modo colta dal mezzo impugnatorio – nel caso di specie, ove discussa è solo la retroattività inter partes della condizione risolutiva.

Ne consegue che la Corte d’Appello, invocando l’art. 1458 c.c., comma 2, ha ritenuto di richiamare il principio di carattere generale – quello dei limiti alla retroattività nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, cui ha evidentemente ricondotto il contratto per cui è causa, senza censura alcuna da parte del Comune ricorrente, ravvisando nella prescrizione la codificazione dello stesso, declinato poi in altre disposizioni, tra cui l’art. 1360 c.c..

In ordine alla questione ulteriore introdotta dal Comune di Augusta, ciò l’applicazione della disciplina dell’indebito, va osservato in termini generali che la disciplina dell’indebito, sempre che la prestazione possa essere restituita, si applica, una volta risolto il contratto. Nel silenzio del legislatore, il quale ha disciplinato gli effetti della risoluzione solo con riferimento alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, richiamando espressamente la disciplina dell’indebito, la giurisprudenza di legittimità ritiene tale richiamo di valenza generale, cioè utilizzabile per disciplinare gli effetti risolutivi a prescindere dal titolo della risoluzione. In altri termini, risolto il contratto le prestazioni eseguite e non sottratte alla retroattività devono essere restituite perché private del loro titolo.

Tanto premesso, è del tutto fuori luogo l’invocazione della disciplina dell’indebito, stante che essa è comunque relativa alle prestazioni anteriormente eseguite e non fatte salve dalla retroattività limitata applicabile ai contratti di durata.

Peraltro, non può non rilevarsi che la questione non risulta affatto coltivata nel motivo di ricorso, il quale non solo non si fa carico di argomentarne in alcun modo il rilievo nella vicenda per cui è causa, ma neppure pone in evidenza in che termini la sentenza impugnata avrebbe errato nel risolvere la questione controversa.

Il ricorso incidentale e’, quindi, infondato.

4. Si può dunque passare all’esame del ricorso principale.

Come si è detto la quaestio iuris è la legittimità del rifiuto di ricevere la riconsegna della cosa locata basato sulla conseguente pretesa del pagamento del canone di locazione fino alla riconsegna del bene.

In primo luogo va osservato, che la premessa dell’obbligo di cui all’art. 1591 c.c., in capo al conduttore è che vi sia un suo comportamento antigiuridico consistente nell’inadempimento dell’obbligo di riconsegna del bene locato ai sensi dell’art. 1590 c.c..

L’obbligazione di cui all’art. 1590 c.c., non è solo quella di restituire il bene oggetto del contratto, ma altresì quella di restituirlo nel medesimo stato in cui era stato ricevuto, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso dello stesso in conformità del contratto.

Sicché deve ritenersi che l’obbligazione restitutoria non risulti adempiuta qualora il locatore non ne riacquisti la piena disponibilità – perché ad esempio il bene risulti occupato da beni mobili del conduttore – quando il conduttore abbia arrecato gravi danni all’immobile locato o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l’esecuzione delle opere di ripristino l’esborso di somme di notevole entità, in base all’economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti.

In questi casi, la giurisprudenza ritiene che il locatore possa legittimamente rifiutare di ricevere in restituzione la cosa locata, perché non sono cessati gli effetti sostanziali del rapporto di locazione (Cass. 4/04/2017, n. 8675) e il locatore versando in mora, agli effetti dell’art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand’anche abbia smesso di servirsi dell’immobile per l’uso convenuto (Cass. 24/05/2013, n. 12977), a meno che non si accerti la ricorrenza di un comportamento colposo del locatore, ai sensi dell’art. 1227 c.c., che avrebbe potuto senza l’esplicazione di un’attività gravosa e straordinaria provvedere a rimuovere i danni e/o le difformità dell’immobile locato (Cass. 26/11/2002, n. 16685).

La stessa giurisprudenza, pur riconoscendo in astratto la legittimità del diritto di rifiuto di ricevere la consegna della res locata, sottolinea che l’applicazione del suddetto principio non può ritenersi incondizionata ed automatica, potendosi verificare, altrimenti, la paradossale conseguenza che, in caso di oggettiva difficoltà economica del conduttore a provvedere alle necessarie opere, egli possa essere tenuto a pagare il canone indefinitamente, sol che il locatore continui a rifiutare la restituzione.

Sicché il rifiuto di ricevere la riconsegna è giustificato solo a fronte di gravi danni causati all’immobile o di innovazioni non consentite che richiedano opere di ripristino comportanti esborsi di notevoli entità, avuta presente l’economia del contratto e tenuto conto delle condizioni delle parti (Cass. n. 12997/2013, cit.), rimarcandosi che deve ricorrere l’esigenza di rimuovere deficienze che alterano la consistenza e la struttura della cosa e, quindi il compimento, di un’attività straordinaria e gravosa (cfr. Cass. n. 16685/2002, cit.); mentre, in ogni altro caso, l’obbligo di non aggravare il pregiudizio subito (ex art. 1227 c.c.) impone al creditore di non rifiutare la riconsegna, fermo restando il suo diritto al risarcimento del danno.

Ora, proprio al fine di sostenere la ricorrenza di una causa giustificativa del rifiuto, la locatrice avrebbe dovuto rappresentare a questa Corte la tipologia di danni riscontrati nell’immobile, al fine di accertare se essi fossero incidenti sulla struttura del bene e richiedessero interventi gravosi e straordinari. La ricorrente in merito si limita a fare riferimento alla stima del CTU in sede di ATP che, pur esitando in una somma rilevante, non offre elementi decisivi per escludere che tutto fosse da risolvere in sede risarcitoria (come affermato dalla Corte di Appello); anzi, dallo stesso ricorso emerge (cfr. pag. 3) la ricorrenza di danni a immobili viciniori che sembra corroborare l’assunto del controricorrente (pagg. 3 e 5), secondo cui i danni di cui si tratta sarebbero quelli ad un immobile confinante (e quindi non riguarderebbero, o riguarderebbero solo in parte, l’immobile locato).

Il motivo, pertanto, difetta di autosufficienza nella parte in cui non fornisce elementi a supporto della deduzione della legittimità del rifiuto della locatrice alla riconsegna (che costituisce un’eccezione rispetto alla regola, imposta dall’art. 1227 c.c., che prevede che il locatore riceva la restituzione, salvo attivarsi per il risarcimento).

5. In definitiva, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale va rigettato.

6. Data la reciproca soccombenza le spese del presente giudizio vanno compensate.

7. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per porre a carico del ricorrente principale e di quello incidentale, l’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale.

Compensa le spese di lite tra il ricorrente principale e quello incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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