Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26577 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6433/2016 proposto da:

Azienda Sanitaria Locale Napoli ***** Centro, già Azienda Sanitaria Locale Napoli *****, in persona del Commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Francesco Saverio Nitti n. 11, presso lo studio dell’avvocato Gagliardi Stefano, rappresentata e difesa dall’avvocato Nardone Antonio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Diagnostico Secondigliano S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Largo Arrigo VII n. 4, presso lo studio dell’avvocato Borraccino Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato Iodice Generoso M. T., giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4810/2008 il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione proposta dall’ASL Napoli ***** avverso il decreto ingiuntivo n. 1299/2006 con cui le veniva ingiunto il pagamento di Euro 174.987,17 in favore dell’Istituto Diagnostico Secondigliano s.r.l. a titolo di rimborso di prestazioni erogate in regime di provvisorio accreditamento da *****.

2. Con sentenza n. 468/2015 depositata il 28-1-2015, la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dall’ASL Napoli ***** (di seguito per brevità ASL) avverso la citata sentenza del Tribunale di Napoli. La Corte d’appello, dopo aver ricostruito l’evoluzione della normativa disciplinante lo svolgimento dell’attività sanitaria da parte dei privati, ha ritenuto che la struttura privata avesse dimostrato di non aver superato la propria capacità operativa massima (C.O.M.) annuale e che fosse insussistente un limite di C.O.M. mensile, non previsto dal sistema, secondo il quale la C.O.M. era calcolata su base annua e solo il pagamento avveniva mensilmente, previo invio delle distinte riepilogative. La Corte di merito ha inoltre precisato che il sistema delle regressioni tariffarie attiene al superamento del limite del tetto di spesa, la prova dell’avvenuto superamento del tetto di cd. Macro Area avrebbe dovuto essere fornita dall’ASL per il principio di vicinanza della prova e detta prova non era stata fornita, né i ritardi nella definizione delle verifiche da parte del tavolo tecnico avrebbero potuto andare in danno dei creditori dell’ASL.

3. Avverso questa sentenza l’ASL Napoli ***** propone ricorso affidato a due motivi, resistito con controricorso dall’Istituto Diagnostico Secondigliano s.r.l..

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di appello dalla stessa proposto. Lamenta che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto superata la questione dell’onere probatorio in tema di superamento della C.O.M., per avere i giudici d’appello affermato” da un lato, che il centro resistente aveva fornito ampia prova di non aver superato la propria C.O.M. annuale e, dall’altro, che non sussisteva in capo alle strutture provvisoriamente accreditate alcun onere di verifica della C.O.M. su base mensile.

2. Con il secondo motivo denuncia l’insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato gli ulteriori motivi di appello. Deduce, nel denunciare anche la violazione dell’art. 2697 c.c., che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto, da un lato, che la prova dell’avvenuto superamento del tetto di cd. Macro Area, in ragione del principio di “vicinanza della prova”, dovesse essere fornita dall’ASL e, dall’altro, che i ritardi nella definizione delle verifiche da parte del tavolo tecnico non potesse andare in danno dei creditori dell’ASL.

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

3.1. In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018).

Premesso che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come novellato nel 2012 – la sentenza impugnata è stata pubblicata il 28 gennaio 2015 -, le censure sono inammissibili nella parte in cui denunciano il vizio di insufficienza, “erroneità” e contraddittorietà della motivazione, in applicazione dei principi suesposti.

3.2. Le doglianze sono infondate nella parte in cui denunciano la violazione dell’art. 2697 c.c., assumendo la ricorrente, con articolate argomentazioni, che fosse onere della struttura privata fornire la prova del mancato superamento della capacità operativa massima e del tetto di spesa, in quanto elementi costitutivi del credito azionato (così anche nella memoria illustrativa, incentrata principalmente sui principi di riparto probatorio).

Il superamento della capacità operativa massima (per brevità C.O.M.) è fatto impeditivo della remunerazione delle prestazioni erogate dalla struttura privata, della cui prova è onerato il debitore (cfr. Cass. n. 30283/2019; n. 19360/2017; n. 16380/2019). Questa Corte ha chiarito, con le citate pronunce, che la struttura sanitaria che pretende il pagamento del corrispettivo deve dare prova che le prestazioni siano state effettivamente erogate e rientrino nella tipologia di quelle accreditate ed autorizzate, mentre spetta alla A.S.L. la prova del fatto estintivo, tra cui rientra. il superamento della C.O.M.. Infatti, nell’economia dell’onus probandi, siccome delineato dal paradigma dell’art. 2697 c.c., il fatto negativo va apprezzato considerando che “ciò che assume rilievo è la sua efficacia di impedire il dispiegarsi di un fatto costitutivo”, di talché l’onere di provarlo compete a chi resiste alla pretesa fatta valere in giudizio (Cass. n. 16380/2019, Cass. n. 30283/2019 e Cass. n. 3403/2018). Non grava, pertanto, sulla struttura sanitaria privata l’onere di provare di aver rispettato la C.O.M., il cui mancato superamento non si configura come fatto costitutivo della pretesa creditoria, contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente.

3.2. E’ stato altresì precisato da questa Corte, in tema parallelo a quello di cui trattasi, che il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo la cui prova deve essere posta a carico della parte creditrice (struttura sanitaria accreditata), mentre rileva come fatto impeditivo il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova, ex art. 2697 c.c., a carico della parte debitrice (così da ultimo, tra le tante Cass. 13884/2020).

3.3. Nel caso di specie, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, sicché non ricorre il vizio di violazione di legge denunciato, dovendosi solo correggere la motivazione della sentenza impugnata, senza che sia necessaria alcuna ulteriore indagine di fatto, ex art. 384 c.p.c. nella parte in cui fa riferimento, ai fini del riparto probatorio, al principio della “vicinanza della prova” invece che alla qualificazione dell’avvenuto superamento del tetto di spesa come fatto impeditivo della pretesa creditoria azionata dalla struttura privata.

Inoltre, premesso che la Corte d’appello ha accertato il mancato superamento del limite della C.O.M. su base annuale da parte della struttura privata e detto accertamento non è specificamente ed efficamente censurato, la doglianza relativa al mancato superamento del limite della C.O.M. su base mensile (sostenendo anzi ora l’ASL che la base sia giornaliera – pag. 18 ricorso – ma di tale deduzione non v’e’ menzione nella sentenza impugnata) è parimenti infondata per quanto si è detto sul riparto degli oneri probatori.

Non conducenti sono, infine, le deduzioni della ricorrente sulle decisioni del tavolo tecnico, abilitato ad intervenire, in base a quanto espone la stessa ASL, se è superato il limite del tetto di spesa, nonché quelle sulle regressioni tariffarie, che pure presuppongono il superamento del suddetto limite, la cui dimostrazione, nella specie, per quanto accertato nei giudizi di merito, non è stata fornita dalla ASL, a ciò onerata.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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