LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20181/2016 proposto da:
Azienda U.S.L. Toscana Centro, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n. 61, presso lo studio dell’Avvocato Anna Mattioli, rappresentata e difesa dall’Avvocato Andrea Ghelli, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.P.C. s.r.l. – Compagni Progetti e Costruzioni, già s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Antonio Pollaiolo n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Ilaria Barbetta, rappresentata e difesa dall’Avvocato Nicola Giancaspro, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3950/2015 della Corte d’appello di Roma, depositata il 1/7/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/6/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. L’Azienda U.S.L. n. ***** di Pistoia affidava in appalto a C.P.C. Compagnia Progetti Costruzioni s.p.a. lavori di ristrutturazione di un fabbricato.
C.P.C. s.p.a., a seguito della consegna parziale dei lavori, sollevava contestazioni dolendosi del pregiudizio economico subito, in termini di impegno ridotto della propria organizzazione produttiva e per un periodo più lungo rispetto alle previsioni contrattuali, e derivato dalla mancata disponibilità di tutti gli edifici interessati dall’appalto nel termine concordato.
2. A seguito della proposizione di domanda di arbitrato da parte di C.P.C. s.p.a., il collegio arbitrale, con lodo depositato in data 14 aprile 2006, in parziale accoglimento delle domande proposte dall’appaltatrice – fra l’altro e per quanto qui di interesse condannava la stazione appaltante al pagamento di Euro 138.202,67, di cui Euro 129.520,83 a titolo di risarcimento danni di cui alla riserva n. 1 e Euro 8.681,84 per pagamento di prestazioni di cui alla riserva n. 2.
2. La Corte d’appello di Roma, a seguito dell’impugnazione presentata dall’Azienda U.S.L. n. ***** di Pistoia, respingeva la censura di nullità del lodo a causa della tardività della riserva espressa rispetto al danno provocato dalla consegna parziale e della genericità della stessa, ritenendo che la doglianza non intendesse contestare la violazione di una norma di legge, ma sollecitare la rivalutazione del merito della controversia compiuta a questo riguardo dal collegio arbitrale.
Stessa sorte doveva essere attribuita, per coincidenti motivi, alla doglianza riguardante l’erronea interpretazione data dal collegio arbitrale rispetto ai fatti continuativi, dovendosi escludere sul punto anche un’impossibilità di comprensione dell’iter logico della decisione arbitrale.
I giudici distrettuali inoltre, ritenuta inammissibile e comunque infondata la censura di improcedibilità del lodo a causa della discordanza fra l’importo che aveva formato oggetto di accordo bonario e quello richiesto in sede arbitrale, reputavano parimenti inammissibile la critica concernente l’avvenuta accettazione delle consegne frazionate.
Dovevano infine considerarsi nuove, e come tali inammissibili in sede di impugnazione, le doglianze relative all’omessa considerazione della mancata predisposizione di un programma relativo alle consegne parziali, all’inammissibilità della riserva n. 1 per l’assenza di una proposta di recesso da parte dell’appaltatrice e alla quantificazione delle voci indicate nella medesima riserva.
3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 1 luglio 2015, ha proposto ricorso l’Azienda U.S.L. Toscana Centro prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso C.P.C. s.p.a..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 e 829 c.p.c., quest’ultimo in relazione al D.M. n. 145 del 2000, art. 31 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 131 la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e discussi fra le parti: la Corte territoriale, nel dichiarare inammissibile il primo motivo di impugnazione del lodo, avrebbe fornito – in tesi – una motivazione perplessa e contraddittoria, in quanto, dopo aver qualificato la censura come volta a denunciare canoni di diritto, l’avrebbe dichiarata inammissibile in quanto richiedeva una valutazione dei fatti.
La Corte di merito, comunque, non avrebbe tenuto conto che si intendeva contrastare una determinata qualificazione giuridica delle circostanze, per come accertate dagli arbitri.
5. Il motivo non è fondato.
5.1 La Corte d’appello ha ritenuto che l’Azienda U.S.L. si fosse doluta, con il primo motivo, non già di una valutazione di norme di legge, “bensì della valutazione del Collegio sulla natura continuativa o istantanea dei fatti generatori del danno da consegne frazionate nonché sulla prova, offerta dall’impresa, della impossibilità di procedere alla quantificazione immediata del danno all’atto della formulazione della riserva”.
Rispetto a una simile statuizione nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c. può essere predicata, dato che la Corte di merito non ha tralasciato l’esame della critica proposta, ma l’ha presa in esame e l’ha respinta.
Non può neppure essere ravvisato un vizio di motivazione, in termini di motivazione perplessa e incomprensibile o di contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili.
I giudici distrettuali, infatti, prima hanno registrato, riassuntivamente (a pag. 4), il formale tenore della censura secondo la prospettazione offerta dal ricorrente, quindi ne hanno vagliato l’ammissibilità, ritenendo che la stessa, in realtà e a dispetto di quanto rappresentato, non deducesse un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, di una fattispecie astratta recata da una norma di legge.
Si tratta quindi di affermazioni nient’affatto inconciliabili, perplesse o irriducibilmente contrastanti, ma, più semplicemente, della presa d’atto di una prospettazione difensiva e dell’illustrazione di una differente interpretazione della questione ad opera del collegio giudicante.
5.2 L’interpretazione del motivo di impugnazione data dalla Corte d’appello trova conforto nel tenore della doglianza sollevata, al cui interno si era sostenuto che non fosse possibile posporre la formulazione della riserva alla cessazione del fatto pregiudizievole, dato che le circostanze da cui si facevano discendere i danni (costituite da tre consegne parziali) avevano carattere istantaneo (cfr. pag. 14 del ricorso); ed ancora si era sottolineato che nessuna prova era stata fornita dell’impossibilità di procedere all’immediata quantificazione del danno (pag. 15).
Simili censure non rientravano nel perimetro previsto dall’art. 829 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile ratione temporis), poiché consistevano non in una deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del lodo impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, ponendo un problema interpretativo della stessa, ma allegavano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione di merito del collegio arbitrale.
A questo proposito la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la denuncia di nullità del lodo arbitrale, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, per inosservanza delle regole di diritto in iudicando sia ammissibile solo se circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (Cass. 16559/2020); sicché la denuncia di nullità del lodo arbitrale, postulando, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, l’esplicita allegazione dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, non è proponibile tramite l’apparente deduzione della violazione di norme di legge che miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal collegio arbitrale, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di impugnazione nell’occasione per compiere un nuovo, non consentito, giudizio sul merito della controversia.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 e 829 c.p.c., quest’ultimo in relazione al D.M. n. 145 del 2000, art. 31 e ai principi in materia di riserve relative a fatti continuativi, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e discussi fra le parti: la Corte d’appello, nel dichiarare inammissibile anche il secondo motivo di impugnazione del lodo, avrebbe fornito una motivazione perplessa e contraddittoria, in quanto, dopo aver qualificato la censura come volta a denunciare regole di diritto, l’avrebbe dichiarata inammissibile in quanto richiedeva una valutazione dei fatti.
La Corte di merito, inoltre, avrebbe fornito una motivazione solo apparente rispetto alla censura di omessa motivazione e comunque non avrebbe tenuto conto che si contestava una determinata qualificazione giuridica delle circostanze, per come accertate dagli arbitri.
7. Il motivo risulta, nei limiti che si vanno ad illustrare, fondato. 7.1 Quanto alla contraddittorietà della motivazione fornita rispetto al secondo motivo di impugnazione e alla violazione di norme di diritto in ordine alla valutazione sulla natura continuativa o istantanea dei fatti generatori del danno è sufficiente fare rimando a quanto argomentato rispetto al primo mezzo, con la precisazione che l’allegazione in termini di natura episodica e non continuativa dei fatti generatori di danno e di possibilità di percepire immediatamente la potenzialità dannosa di simili circostanze deduceva un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e, come tale, rimaneva inammissibile in sede di impugnazione.
7.2 Rispetto invece alla possibilità di comprendere l’iter logico della decisione in punto di tempestività nella quantificazione dei danni i giudici distrettuali, una volta richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di contraddittorietà del lodo arbitrale e mancanza di motivazione, si sono limitati a sostenere che “deve assolutamente escludersi la dedotta impossibilità di comprensione dell’iter logico della decisione resa dagli arbitri in ordine alla tempestività della riserva”.
Ora, la motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione.
La motivazione perciò assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
Nel caso di specie, a fronte del rilievo dell’azienda impugnante che sottolineava come, al fine di ritenere tempestiva la quantificazione avvenuta solo il 15 ottobre 2002, fosse indispensabile dimostrare l’impossibilità per l’appaltatore di quantificare il pregiudizio subito all’atto di iscrizione della riserva nel registro di contabilità (avvenuta il 19 luglio 2002), nessuna circostanziata giustificazione è stata fornita dalla Corte territoriale onde spiegare perché la motivazione offerta dagli arbitri consentisse di comprendere le valutazioni compiute rispetto alla rilevanza e alla fondatezza della questione così posta, essendo stata esclusa, in maniera del tutto apodittica, l’impossibilità di comprensione dell’iter logico della decisione resa dagli arbitri.
Una simile anomalia argomentativa comporta una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza di una motivazione, nel suo contenuto minimo e indispensabile, capace di rendere percepibili le ragioni su cui la statuizione assunta si fonda.
Rimane perciò viziata, per difetto di motivazione, la valutazione compiuta dal collegio di merito a proposito dei vizi di motivazione del lodo arbitrale in punto di tempestività nella quantificazione dei danni.
8. Il terzo motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 e 829 c.p.c., quest’ultimo in relazione alla L. n. 109 del 1994, artt. 31-bis e 32 D.M. n. 145 del 2000, artt. 32 e 33 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 149 la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e omessa pronuncia e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e discussi fra le parti: la Corte d’appello, nel dichiarare inammissibile il quarto motivo di impugnazione del lodo, avrebbe fornito una motivazione perplessa e contraddittoria, in quanto, dopo aver sintetizzato la censura indicando le regole che si assumevano violate, aveva poi sostenuto che non era stato individuato il canone di diritto utilizzato, malgrado fosse stato spiegato che non era stato applicato il principio di diritto previsto dal D.M. n. 145 del 2000, art. 32, comma 4, e che nel giudizio arbitrale era stato dedotto solo il danno da sottoproduzione.
La Corte di merito, comunque, non avrebbe tenuto conto che la censura era stata proposta per denunciare una violazione di regole di diritto.
9. Il motivo è fondato.
I giudici distrettuali hanno ritenuto che la censura di improcedibilità del lodo a causa della discordanza fra l’importo che aveva formato oggetto di accordo bonario e quello richiesto in sede arbitrale fosse inammissibile, perché non spiegava il canone di diritto in concreto violato, e comunque risultasse smentita dall’accertamento, non oggetto di impugnazione, della proposizione nel giudizio arbitrale anche della domanda risarcitoria del danno da protrazione del termine di ultimazione dei lavori.
Questi argomenti risultano smentiti, quanto alla deduzione del canone di diritto violato, non solo dal contenuto dell’impugnazione, che indica espressamente come la procedibilità della domanda in sede arbitrale fosse condizionata dal contenuto della riserva espressa nel registro di contabilità ai sensi del D.M. n. 1974 del 2000, n. 145, art. 32, comma 4, ma anche dal contenuto della stessa sentenza, laddove essa, nel riepilogare i motivi di impugnazione, indica in relazione al quarto motivo l’avvenuta deduzione anche della violazione di tale norma.
Ne discende la contraddittorietà, sul punto, della motivazione offerta, che valorizza la mancata deduzione del canone di diritto violato pur avendo espressamente riportato il medesimo nelle pagine precedenti. La Corte distrettuale poi, nel ravvisare una mancanza di specifica impugnazione rispetto all’accertamento dell’avvenuta proposizione nel giudizio arbitrale di una domanda di risarcimento danni da protrazione del termine di ultimazione dei lavori, trascura di considerare che, al contrario, l’azienda sanitaria impugnante aveva dedotto che nel giudizio arbitrale era stato richiesto “soltanto il danno da sottoproduzione”, il quale quindi andava accertato nei limiti dedotti con la riserva apposta sul registro di contabilità.
La motivazione offerta non è perciò coerente con il contenuto delle difese dell’azienda sanitaria e, assumendo una mancanza di impugnazione che invece sussisteva, trascura di pronunciare – in violazione dell’art. 112 c.p.c. – sul contenuto del motivo dedotto, che lamentava un’incoerenza fra il contenuto della riserva iscritta, in termini di tipo di danno denunciato e relativa quantificazione, e la domanda proposta in sede arbitrale.
10. Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 e 829 c.p.c., quest’ultimo in relazione agli artt. 1326 e 1362 c.c. e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 30 la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e discussi fra le parti: la Corte d’appello, nel dichiarare inammissibile il quinto motivo di impugnazione del lodo, avrebbe fornito una motivazione perplessa e contraddittoria, in quanto, dopo aver qualificato la censura come volta a denunciare le regole sull’interpretazione del contratto, l’avrebbe dichiarata inammissibile in quanto richiedeva valutazioni di merito.
La Corte di merito, comunque, non avrebbe tenuto conto che, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, potevano dedursi violazioni delle regole sull’interpretazione dei contratti, come ritualmente avvenuto nel caso di specie.
11. Il mezzo non è fondato.
11.1 La Corte d’appello, rispetto al motivo con cui l’impugnante deduceva che il collegio avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di avvenuta accettazione delle consegne frazionate, ha ritenuto che l’azienda sanitaria intendesse, in maniera inammissibile, conseguire una nuova valutazione della condotta tenuta dall’impresa appaltatrice.
Rispetto alla prima parte della doglianza è sufficiente far rimando a quanto già in precedenza illustrato al punto 5.1, non potendosi predicare alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. (dato che la Corte di merito non ha tralasciato l’esame della censura proposta, ma l’ha presa in esame e l’ha respinta), né potendosi ravvisare un vizio di motivazione, in termini di motivazione perplessa e incomprensibile o di contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili (in quanto anche in questo caso i giudici distrettuali hanno prima registrato, riassuntivamente – a pag. 5 -, il formale tenore della censura secondo la prospettazione offerta dal ricorrente, quindi ne hanno vagliato l’ammissibilità, ritenendo che la stessa, in realtà e a dispetto di quanto rappresentato, intendesse sollecitare una nuova valutazione di merito).
11.2 E’ ben vero poi che l’accertamento dell’accordo delle parti, comportando un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, nell’ipotesi di arbitrato può essere censurato ad opera del giudice dell’impugnazione, nella fase rescindente, per nullità del lodo arbitrale ex art. 829 c.p.c. a causa della violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (Cass. 12550/2000).
Nel caso di specie, tuttavia, l’azienda sanitaria impugnante non aveva affatto dedotto la mancata applicazione della regola di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, ma intendeva superare la valutazione del comportamento tenuto dalle parti compiuto dal collegio arbitrale, attribuendogli valore di accettazione piuttosto che di mero silenzio.
Non ha errato quindi la Corte territoriale laddove ha ritenuto che il risultato interpretativo riportato nel lodo, appartenente all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, non potesse essere sindacato in quella sede, dove era possibile soltanto verificare il rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e non criticare la ricostruzione della volontà negoziale operata dagli arbitri.
12. Il quinto motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 345 e 829 c.p.c., quest’ultimo in relazione alla L. n. 109 del 1994, artt. 31-bis e 32 D.M. n. 145 del 2000, art. 25 D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 34, 130 e 133: la Corte distrettuale, nel dichiarare inammissibili il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di impugnazione in quanto non era stata provata la proposizione delle relative censure in sede arbitrale, non avrebbe tenuto conto che un simile requisito non era richiesto, trattandosi della violazione di regole di diritto, e comunque era stato assolto tramite la produzione del fascicolo arbitrale e l’indicazione, nelle note in replica, del punto preciso delle difese in sede arbitrale ove le questioni erano state sollevate.
13. Il motivo è inammissibile.
A fronte del rilievo della Corte di merito secondo cui le questioni poste con il sesto, il settimo e l’ottavo motivo erano inammissibili perché ponevano questioni nuove, che il lodo non aveva preso in esame e rispetto alle quali l’impugnante non aveva espressamente eccepito la puntuale deduzione in sede arbitrale, l’odierno ricorrente assume che in realtà le stesse erano già state poste all’esame del collegio arbitrale all’interno dell’atto di nomina degli arbitri e che, comunque, esse potevano essere dedotte a prescindere dalla loro previa proposizione al collegio arbitrale, dato che denunciavano la mancata corrispondenza di una fattispecie concreta, per come accertata dagli arbitri, rispetto a una fattispecie legale astratta.
In effetti secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di ammissibilità nel giudizio di impugnazione del lodo di questioni non proposte nel giudizio arbitrale, poiché è compito del giudice accertare sia la fattispecie legale costitutiva della domanda, sia la corrispondenza tra fatto storico accertato e fattispecie legale, non costituisce eccezione nuova denunciare l’errore di diritto in cui il collegio arbitrale sia incorso nel compiere tale operazione (Cass. 9530/2000).
Il che significa che è possibile porre in discussione la qualificazione giuridica del fatto storico accertato dal collegio arbitrale.
Nel caso di specie, tuttavia, il mezzo in esame non consente di stabilire se le contestazioni mosse con i motivi n. 6, 7 e 8 avessero simili caratteristiche o volessero, invece, porre in discussione anche gli accertamenti in fatto già compiuti dal collegio arbitrale.
Constatata così l’inammissibilità di questo profilo di censura, per carenza di autosufficienza, occorre poi rilevare che la Corte d’appello, a seguito dell’impugnazione del lodo arbitrale e nel corso della fase rescindente, deve limitarsi all’accertamento di eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronuncia bili soltanto per determinati errori in procedendo, nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 c.p.c. (Cass. 20880/2010). Pertanto, se le domande illustrate con i motivi di impugnazione erano state effettivamente proposte con l’atto di nomina degli arbitri senza essere tenute in considerazione dal collegio arbitrale, come l’odierna ricorrente sostiene, essa non poteva limitarsi a riproporle in sede di impugnazione, ma doveva denunciare la mancata pronuncia su questo oggetto del compromesso, perché solo all’esito della fase rescindente al giudice dell’impugnazione sarebbe stata attribuita, in sede rescissoria, la facoltà di riesame del merito di queste domande. La tralasciata provocazione, in sede di impugnazione, della fase rescissoria precludeva l’esame delle questioni non esaminate, con la conseguente inammissibilità della doglianza volta a denunciarne il mancato vaglio.
14. All’accoglimento del ricorso, nei limiti sopra descritti, consegue l’assorbimento della doglianza relativa alla liquidazione delle spese di lite.
15. La sentenza impugnata andrà dunque cassata nei limiti in precedenza indicati, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo e il quarto motivo, dichiara inammissibile il quinto motivo e assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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