LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 1066/2016 proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella persona Ministro pro tempore, e Agenzia del Demanio, nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrenti –
contro
V.P., e L.G.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di POTENZA, n. 416/2014, depositata in data 1 dicembre 2014, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Potenza ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Potenza n. 10161/2006 del 4 maggio 2006, che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia del demanio per l’occupazione abusiva di un appezzamento di terreno appartenente allo Stato, sito a *****, iscritto in catasto al foglio *****.
2. La Corte di appello ha affermato che il diritto al risarcimento del dannno poteva essere riconosciuto al proprietario del suolo nel solo caso in cui questi fosse altresì legittimato a chiedere la rimozione dell’opera e che, ex art. 936 c.c., comma 3, tale pregiudizio non era ipotizzabile nel caso in cui il proprietario avesse optato per la ritenzione; che, in ogni caso, il Ministero delle Finanze, solo in data 1 agosto 1972, aveva agito in giudizio e la causa era rimasta pendente in Tribunale per circa trent’anni e così anche in appello; che l’Amministrazione, dunque, non aveva subito alcun danno per la mancata utilizzazione dell’immobile.
3. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi di censura.
4. V.P. e L.G. non hanno svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 936 c.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato la Corte di appello nel sussumere la fattispecie in esame al risarcimento del danno da accessione, mentre la domanda proposta era di risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 936 c.c. e l’erroneo rigetto della domanda risarcitoria proposta e l’erronea qualificazione; la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1337 e 2043 c.c. e l’erroneità e l’ingiustizia della decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo stato chiesto al giudice di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione dell’immobile, che non riguardava la sola accessione, ma anche l’occupazione del terreno e delle costruzioni da parte del convenuto e il danno per il mancato godimento del bene di cui lo Stato era proprietario; che l’immobile era ed tuttora occupato dal convenuto e dai suoi aventi causa per cui questi erano tenuti a corrispondere alla P.A. il danno conseguente all’occupazione di detto fabbricato.
3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la Corte di appello tenuto conto delle ampie considerazioni svolte con riguardo al titolo risarcitorio fondante la pretesa in ragione dell’occupazione dell’immobile e dell’edificio riconosciuti di proprietà dello Stato e, comunque, non avendo governato bene il materiale istruttorio prodotto in giudizio.
3.1 I tre motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
3.2 Si legge, nella sentenza impugnata, che l’Amministrazione delle Finanze aveva chiesto la condanna del convenuto al rilascio del compendio immobiliare, nonché il risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione, detratto l’importo dell’indennizzo di cui all’art. 936 c.c., con conseguente corresponsione della minore somma tra lo speso e il migliorato per l’accessione.
Ancora, rileva che l’abusivo occupatore (il convenuto V.P.) aveva già versato all’Ente provinciale per il Turismo di Matera, che poi lo aveva rimesso allo Stato, un indennizzo di occupazione riferito, tuttavia, al solo terreno e non anche all’abitazione che vi era stata costruita sopra.
In primo grado era stata accolta la domanda principale dell’Amministrazione di condanna al rilascio del compendio immobiliare ed era stata determinata la somma dovuta a titolo di indennizzo ex art. 936 c.c., mentre era stata rigettata la domanda risarcitoria del Ministero e, sul punto, il Ministero aveva proposto appello.
3.3 Sul punto, la Corte territoriale, dopo avere premesso che il gravame concerneva soltanto la domanda risarcitoria dello Stato, poiché le statuizioni di rilascio dell’immobile e di condanna dell’Amministrazione al pagamento dell’indennizzo non erano state impugnate, ha osservato che, poiché è il terzo ad avere diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico derivato dalla costruzione al proprietario del fondo, tale vantaggio è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria. Secondo la Corte di Potenza, nel caso dell’espressa scelta di ritenzione e dell’omessa richiesta di rimozione nel termine previsto dalla legge, si ravvisava un implicito riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte del proprietario del suolo, anch’esso incompatibile con una pretesa risarcitoria.
3.4 La fattispecie all’esame di questa Corte è quella di un terzo non proprietario che ha realizzato la costruzione a sue spese e con suoi materiali sul fondo dell’Amministrazione, la quale, riconosciuta l’utilità dell’opera, non ne ha chiesto la rimozione ed è stata condannata al pagamento, a favore del terzo, dell’indennizzo di cui all’art. 936 c.c..
Si tratta di stabilire se l’Amministrazione proprietaria del fondo abbia titolo a pretendere il risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione del terreno e all’accessione.
A tale quesito, correttamente la Corte d’appello ha dato risposta negativa, avendo aderito al principio di diritto, già espresso da questa Corte con la sentenza 18 luglio 2002, n. 10441 e, poi, ribadito con la sentenza 9 febbraio 2017, n. 3523, secondo cui, in tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, il diritto al risarcimento del danno è dall’art. 936 c.c., comma 3, espressamente riconosciuto in favore del proprietario del suolo nel solo caso in cui il medesimo sia altresì legittimato a chiedere la rimozione dell’opera; quando invece al proprietario non è o non è più consentito proporre quest’ultima domanda, è il terzo ad avere viceversa diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico da detta costruzione od opera derivato al proprietario del fondo, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria.
In altri termini, soltanto nel caso in cui sia legittimato a chiedere la rimozione dell’opera, il proprietario ha garantito, altresì, il risarcimento del danno, consistente nel ristoro del pregiudizio arrecatogli con l’occupazione temporanea del fondo, nonché del danno materiale causato al fondo stesso (escavazioni, fondazioni, perdita di colture); mentre, tanto nel caso dell’espressa scelta di ritenzione quanto in quello dell’omessa richiesta di rimozione nel congruo termine normativamente previsto, è ravvisabile un implicito riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte del proprietario del suolo, incompatibile con un pretesa risarcitoria, senza che si possa distinguere tra danni derivanti dall’accessione e danni dovuti all’occupazione temporanea del fondo.
4. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso è rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
Non vi è neppure luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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