LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6202/2016 proposto da:
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, nella persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici domicilia ope legis, in via dei Portoghesi, n. 12, Roma;
– ricorrente –
contro
Consorzio Agrario dell’Emilia Soc. Coop., (già Consorzio Agrario Provinciale di Reggio Emilia s.c.r.l.), nella persona del legale rappresentante pro tempore, assistito e rappresentato dall’Avv. Franco Mazza, unitamente e disgiuntamente, all’Avv. Sergio Leonardi, giusta procura speciale in calce al controricorso, con domicilio eletto a Roma, presso lo studio dell’Avv. Sergio Leonardi, a Roma, in Viale Regina Margherita, n. 22;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di ROMA n. 6882/2015, pubblicata il 14 dicembre 2015, notificata il 20 gennaio 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dal Ministero delle Politiche Agricole avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3777 del 19 febbraio 2010, che aveva condannato il Ministero al pagamento della somma di Euro 150.513,83, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, per il credito vantato dalla società cooperativa in forza di 18 titoli cambiari emessi per il pagamento di forniture di merci per uso agrario per avallo dei soci della stessa cooperativa B.L. e C.A.G..
2. La Corte territoriale ha dapprima affermato la legittimazione del Consorzio Agrario Provinciale, quale prenditore delle cambiali agrarie emesse dalla cooperativa avallate dai soci, ad agire nei confronti dello Stato per l’adempimento di garanzia e, poi, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14345 del 2002, ha precisato che la novella del 2009 non aveva inciso sull’assetto normativo del 2004, così da imporre una revisione dei principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, con la conseguenza che l’accollo da parte dello Stato non era condizionato a un giudizio di meritevolezza del socio garante da formulare discrezionalmente da parte dell’Amministrazione e che il diritto del creditore al pagamento da parte dello Stato sorgeva ope legis indipendentemente dalla conclusione del procedimento amministrativo disciplinato dalla normativa secondaria di attuazione e che, in ogni caso, l’attività procedimentale attivata dai soci si era conclusa con l’inserimento delle garanzie prestate nell’elenco n. 1, pubblicato in G.U. del 2 gennaio 1996.
3. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi di censura.
4. Il Consorzio Agrario dell’Emilia Soc. Coop. (già Consorzio Agrario Provinciale di Reggio Emilia s.c.r.l.) ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il Ministero ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1 bis come modificato dalla L. n. 237 del 1993, della L. n. 338 del 2000, art. 126 dei D.M. 2 febbraio 1994, D.M. 1 ottobre 1995 e D.M. 18 dicembre 1995, perché la Corte territoriale si era allineata acriticamente ad un orientamento, confermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, favorevole a ritenere automatico l’accollo ex lege da parte dello Stato delle garanzie concesse da soci di cooperative agricole a favore delle cooperative stesse divenute insolventi, orientamento che era errato per le seguenti ragioni: l’accollo non era automatico, ma richiedeva un atto di intermediazione dell’amministrazione da adottarsi dopo complessa istruttoria, avente valore di accertamento costitutivo; la tesi dell’accollo automatico, distinto dal pagamento, non trovava una base testuale nella L. n. 388 del 2000, art. 126 che distingueva tra intervento (da identificarsi con l’accollo) e il pagamento; che la lettura sistematica di tale norma deponeva per una liberazione successiva al pagamento di cui al medesimo art. 126, comma 2 come confermato dalla terminologia utilizzata dal legislatore nella normativa secondaria di attuazione ove pure si utilizzava il termine intervento, tuttavia come sinonimo di accollo e contemporaneo pagamento e non come momento distinto da questo; che l’accollo non era automatico anche in ragione della riapertura dei termini per la presentazione delle domande presentate dai soci previsto dal D.L. n. 248 del 2007, art. 26; che lo Stato, dopo avere provveduto al pagamento, aveva comunque il diritto di ripetere le somme nei confronti di chi non aveva i requisiti per essere sollevato dalla garanzia, anche se non si poteva esimere dall’intervento in favore della Banca; che la lettura proposta, che escludeva l’automaticità dell’accollo, era aderente ad una interpretazione comunitariamente orientata delle norme; che l’interpretazione offerta dal Ministero evitava l’operatività di un meccanismo premiale, con ilo quale si potevano salvare con l’accollo statale tanto tanto i soci incolpevolmente travolti con i propri patrimoni personali dall’insolvenza della cooperativa di cui facevano parte, quanto i soci, all’opposto, coinvolti in tale insolvenza; che, in conclusione, l’atto di assunzione dell’accollo andava individuato nell’atto stesso di liquidazione e pagamento.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 In proposito, questa Corte ha affermato i seguenti principi:
– l’assunzione delle obbligazioni di garanzia, e, correlativamente, la facoltà dei creditori di reclamare l’adempimento da parte dello Stato si verificano ope legis, nel concorso dei requisiti fissati dalla norma (con riferimento alla data degli impegni fideiussori, alle qualità dei garanti, alla qualità ed alle situazioni delle debitrici garantite), e, dunque, si determinano sulla scorta di un apprezzamento dell’opportunità dell’intervento pubblico direttamente effettuato dalla norma medesima, senza la previsione di alcun atto di tipo concessorio, con cui la pubblica amministrazione, oltre al controllo circa la sussistenza di quei requisiti, sia chiamata a valutazioni di carattere discrezionale (Cass., Sez. U., 28 luglio 2004, n. 14346);
– l’assunzione a carico del bilancio dello Stato delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore delle stesse, ai sensi del D.L. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1 bis determina una successione per factum principis nel rapporto di garanzia, per effetto della quale lo Stato diviene, per finalità sociali, costituzionalmente garantite (art. 45 Cost.), l’unico soggetto obbligato al pagamento dei debiti, con conseguente liberazione degli originari garanti, che perciò perdono tale qualità, come espressamente disposto dalla L. n. 388 del 2000, art. 126, comma 3, (Cass., 20 febbraio 2014, n. 4062); – l’assunzione, da parte dello Stato, delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, di cui sia stata previamente accertata l’insolvenza, prevista dal D.L. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1 bis (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 327 del 1993), ha avuto per effetto la liberazione dei garanti nei confronti dei terzi creditori, a nulla rilevando che tale effetto liberatorio fosse espressamente previsto soltanto nei decreti attuativi della suddetta legge (D.M. 2 febbraio 1994 e D.M. 2 gennaio 1995), giacché esso era comunque desumibile, in via di interpretazione, dalla finalità della legge (Cass., 20 aprile 2017, n. 9959; Cass., 20 febbraio 2020, n. 4333);
– ai fini dell’accollo è irrilevante l’adesione del creditore, poiché l’accollo a carico dello Stato delle garanzie prestate dai soci a favore di cooperative agricole determina, per ciò solo, e senza che sia necessaria l’adesione del creditore, in deroga al disposto dell’art. 1273 c.c., la liberazione di questi ultimi (Cass., 26 ottobre 2015, n. 21713);
– ad accollo avvenuto, l’accollante può agire in regresso nei confronti di soggetti liberati senza averne diritto, cioè i fideiussori non soci della cooperativa, i fideiussori soci che con dolo abbiano causato l’insolvenza o che abbiano precedenti penali: l’esito negativo dei controlli amministrativi riapre sì la partita, ma solo tra lo Stato e il garante immeritevole del beneficio, nei cui confronti il primo può ripete quanto corrisposto a seguito dell’intervento (Cass., 17 luglio 2014, n. 16407);
– la P.A. non gode di margini di discrezionalità in ordine al subentro ex lege nel rapporto di garanzia: profili di discrezionalità amministrativa non sono desumibili dal limite di stanziamento in bilancio e dalla connessa possibilità d’inadeguatezza del relativo ammontare rispetto alla complessiva entità delle garanzie ammesse al beneficio, tenendosi conto che tale eventualità, in assenza di espresse disposizioni che pongano condizioni al beneficio medesimo, ovvero affidino all’autorità amministrativa il compito di operare graduatorie o scelte (previa fissazione dei criteri), rimane sul piano dell’impedimento all’esazione dei crediti verso lo Stato, senza incidere sull’insorgenza e persistenza di essi (Cass., Sez. U., 28 luglio 2004, n. 14346, citata);
– per effetto della liberazione, il creditore del socio garante non è più legittimato ad agire nei confronti di quest’ultimo, il quale ha perduto la qualità di debitore (Cass., 20 aprile 2017, n. 9959, citata).
– l’estinzione delle garanzie fideiussorie a seguito dell’assunzione da parte dello Stato delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, ai sensi della L. n. 237 del 1993, art. 1 costituisce un vero e proprio diritto, che non può essere sottoposto a limitazioni (Cass., Sez. U., 28 luglio 2004, n. 14346. richiamata; Cass., 11 ottobre 2018, n. 25163);
– i decreti attuativi non possono limitare o circoscrivere il diritto dei fideiussori e non assume rilevanza di per sé, laddove sussistano i presupposti previsti dalla norma, il mancato inserimento degli aventi diritto nell’apposito elenco redatto dall’Amministrazione (Cass., 20 febbraio 2020, n. 4333, citata; Cass., 20 aprile 2017, n. 9959);
– va distinta la posizione della banca creditrice da quella degli accollati e, quanto a questi ultimi, lo Stato ha un’azione di regresso nei confronti dei soggetti liberati senza averne avuto il diritto e, ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso, l’Amministrazione ricorrente potrà, previo accertamento negativo del diritto al beneficio goduto, chiedere la restituzione delle somme erogate ai non aventi diritto (Cass., 11 ottobre 2018, n. 25163, citata).
1.3 Tanto premesso, si può concludere che l’assunzione del debito è avvenuta all’atto dell’inserimento dei fideiussori nell’elenco allegato ai D.M. 2 ottobre 1995 e D.M. 18 dicembre 1995, perché è in quel momento e non in quello che chiude la seconda fase istruttoria, che è sorto il diritto soggettivo alla liberazione dei debitori originari, senza il consenso del creditore – in questo caso il Consorzio Agrario – con subingresso dello Stato nel rapporto di garanzia, a prescindere dall’accertamento in ordine alla ricorrenza dei requisiti soggettivi (Ndr: testo originale non comprensibile) cagionato lo stato di insolvenza, non avere procedimenti penali in corso) ed oggettivi (determinazione delle somme accollate, verifica della sufficienza dello stanziamento).
1.4 Pertanto, sono prive di pregio le deduzioni del Ministero ricorrente quanto alla necessità di subordinare ad un accertamento di carattere costitutivo, rinviato all’esito di una seconda fase istruttoria (successiva a quella conclusasi con l’inserimento dei richiedenti nell’elenco ministeriale richiamato), il pagamento delle somme accollate; alla necessità fondata sulla differenza tra teorica ammissibilità al beneficio (coincidente con l’inserimento nell’elenco) e ammissione all’accollo (coincidente con l’esito positivo della seconda fase istruttoria), nonché sul fatto che l’elenco non indica l’ammontare dei crediti e gli elementi essenziali dei crediti accollati e quanto alle conseguenze in ordine alla differenza tra assunzione dell’obbligo altrui ed atto di liquidazione e pagamento.
1.5 A tale ultimo riguardo, questa Corte ha affermato che “e’ sufficiente ricordare che l’assunzione della garanzia fideiussoria da parte dello Stato integra gli estremi dell’accollo ex lege del debito degli accollati e non quelli dell’adempimento del terzo, il quale, a differenza del primo, richiede che il soggetto diverso dal debitore effettui concretamente il pagamento di quanto dovuto dal debitore o esegua la diversa prestazione dedotta in obbligazione. Solo l’adempimento offerto dal terzo è richiesto che sia specifico e conforme all’obbligazione del debitore, non potendo esso risolversi in una generica disponibilità ad adempiere e ad adempiere una non precisata prestazione, richiedendosi un atto materiale di esecuzione della prestazione e non l’assunzione di un mero obbligo concernente la futura esecuzione della prestazione (Cass., 9 novembre 2011, n. 23354)” (Cass., 11 ottobre 2018, n. 25163, richiamata).
1.6 L’accollo, invece, non ha i caratteri di una fattispecie complessa comprendente, ai fini del suo perfezionamento, oltre all’assunzione dell’altrui obbligazione anche la fase esecutiva, cioè la diretta esecuzione della prestazione in favore del creditore; e’, dunque, ravvisabile una scissione tra il momento in cui l’obbligazione altrui viene assunta e quella in cui viene eseguita; tale scissione non esclude neppure la possibilità che al momento dell’assunzione dell’obbligo altrui esso non sia determinato, atteso che la giurisprudenza ammette che l’accollo possa avere persino ad oggetto un debito futuro (Cass., 21 aprile 2016, n. 8090; Cass., 23 settembre 1994, n. 7831), con la conseguenza che la determinatezza del debito accollato non costituisce una condizione ostativa alla sua assunzione.
1.7 Deve, quindi, ribadirsi che l’atto di intermediazione cui allude ripetutamente il Ministero ricorrente sia strumentale alla fase esecutiva dell’accollo e non a quella costitutiva, con la conseguenza che l’accollo si perfeziona al momento dell’inserimento dei richiedenti nell’elenco ministeriale.
2. Con il secondo motivo il Ministero ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 237 del 1993, art. 1, comma 1 bis, in combinato disposto con il D.M. 2 febbraio 1994, art. 1, comma 2, e della L. n. 14 del 2009, art. 22, comma 2 bis (L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 126, comma 3 bis; del D.M. 2 ottobre 1995, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il Ministero, anche se la questione era stata assorbita, avendo il giudice di appello ritenuto che l’accollo si era prodotto ex lege, ha censurato la tesi sul presunto inadempimento colposo dello stesso Ministero prospettata dal Consorzio, in via subordinata, in primo grado e riprodotta in appello.
2.1 La censura è inammissibile, sia perché concerne la “tesi” sul presunto inadempimento del Ministero (che non aveva proceduto al pagamento, nonostante gli adempimenti per l’accollo sarebbero stati conclusi da tempo) che era stata proposta dal Consorzio in via subordinata in primo grado e riprodotta in appello, sia perché prospettata “ove su di essa codesta Corte intendesse pronunciarsi senza rimettere la questione al giudice di rinvio”.
3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e il Ministero ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dal Consorzio controricorrente e liquidate come in dispositivo.
Va, inoltre, disattesa la richiesta formulata dal Consorzio controricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, perché non ne sussistono i presupposti.
Ed invero, la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, infatti, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale e la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass., 15 febbraio 2021, n. 3830).
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis non può aver luogo nei confronti della Amministrazione dello Stato, istituzionalmente esonerata, per la valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento, in favore del Consorzio controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021