Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26613 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16499-2019 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. PORZIA D’ARBITRIO;

– ricorrente –

contro

BEXB SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 480/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

FATTI DI CAUSA

B.G. propose opposizione innanzi al Tribunale di Brescia avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di BEXB s.p.a. per l’importo di Euro 42.687,00. Il Tribunale adito rigettò l’opposizione. Avverso detta sentenza propose appello il B.. Con sentenza di data 18 marzo 2019 la Corte d’appello di Brescia rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che l’appellante non aveva contestato le fatture commerciali prodotte con l’estratto autentico delle scritture contabili, avendo dedotto solo la mancanza nel conteggio delle forniture che avrebbe effettuato in favore di Scandisud e New C.T.A. s.r.l., circostanza peraltro smentita dalla documentazione acquisita su istanza ai sensi dell’art. 210 c.p.c. dello stesso appellante, e senza che l’appellante avesse prodotto le fatture commerciali relative a tali forniture. Aggiunse, rispetto al motivo di appello relativo al superamento del limite di spesa, che, nell’ambito del circuito multilaterale di acquisti e vendite gestito da BEXB (mediante cui gli acquisti si compensavano con le vendite, con versamento in contanti a BEXB della parte di debito non compensata da forniture), non risultava nel contratto di adesione alcuna apposizione di un limite di spesa e che, anche ove assegnato nei limiti di Euro 7.500,00, il limite di spesa, in base all’art. 10.2, poteva sempre essere modificato o revocato ad insindacabile giudizio di BEXB in caso di cambiamento delle condizioni sottostanti all’adesione al circuito. Osservò ancora che la previsione o meno del limite di spesa non era in grado di inficiare la esistenza del debito, importo mai contestato dal B. salvo che per la mancata contabilizzazione in compensazione delle sue vendite, circostanza non provata come già detto.

Ha proposto ricorso per cassazione B.G. sulla base di due motivi. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., nonché delle condizioni contrattuali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’annotazione del debito di Euro 42.687,00 risulta da un documento corrispondente ad una stampa di contabilità interna e che l’importo supera il limite di spesa assegnato al cliente al momento dell’accettazione delle condizioni contrattuali ed ammontante ad Euro 12.396,00, in virtù del limite di operazioni di vendita pari ad Euro 4.896,00 e dell’affidamento commerciale disponibile pari ad Euro 7.500,00. Aggiunge che ove il limite di spesa fosse stato modificato da BEXB, l’importo avrebbe dovuto essere indicato nel documento di contabilità, quale lo stesso documento di cui sopra.

Il motivo è inammissibile. La ratio decidendi della sentenza impugnata è nel senso che, anche ove assegnato nei limiti di Euro 7.500,00, il limite di spesa, in base all’art. 10.2, poteva sempre essere modificato o revocato ad insindacabile giudizio di BEXB in caso di cambiamento delle condizioni sottostanti all’adesione al circuito. Tale ratio risulta impugnata con il rilievo che l’importo del limite di spesa, ove modificato da BEXB, avrebbe dovuto essere indicato nel documento di contabilità. Trattasi di impugnazione inidonea ad intaccare la suddetta ratio perché resta sul piano del giudizio di fatto (mancata indicazione dell’importo nel documento di contabilità), che è profilo non scrutinabile nel presente giudizio di legittimità.

E’ appena il caso di aggiungere che con la censura non si contesta il mancato rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale, ma direttamente la violazione delle clausole contrattuali quale inammissibile forma di denuncia di violazione di norme di diritto.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, premesso che il libro giornale di contabilità prodotto non indica mai le voci “incasso” e “pagamento”, che il B. ha sempre sostenuto che le fatture non fossero corrispondenti ad effettive prestazioni in virtù delle quali sorgessero dei crediti pecuniari e che il credito poteva sorgere solo dalle disposizioni contrattuali, le condizioni generali e la contabilità collegata. Aggiunge che non è stato mai fornito alcun elemento in grado di giustificare la pretesa creditoria.

Il motivo è inammissibile. A fronte del rilievo da parte del giudice di appello che l’appellante non avrebbe mai contestato l’importo del debito, ma solo la mancata contabilizzazione delle forniture dal medesimo appellante effettuate, il ricorrente afferma di avere sempre sostenuto che le fatture non fossero corrispondenti ad effettive prestazioni in virtù delle quali sorgessero dei crediti pecuniari. La censura può essere letta in due modi, entrambi inammissibili.

In un primo senso può essere intesa alla lettera, per cui il riferimento al “pecuniario” è da intendere come esistenza di un debito da saldare in contanti all’esito di compensazioni. Si tratterebbe di una mera confutazione di fatto della decisione di appello, di segno contrario quanto all’esistenza del debito, non suscettibile di valutazione in sede di legittimità. In un secondo senso può essere intesa come avvenuta contestazione del debito, non limitata alla deduzione di forniture da contabilizzare, ma quale contestazione del debito in senso proprio. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. il ricorrente non ha specificatamente indicato la sede processuale delle contestazioni che sarebbero state sollevate.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in mancanza di partecipazione al giudizio della parte intimata.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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