LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11018/2020 proposto da:
C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Verlato, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;
– intimato –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 5150/19, depositata il 19 novembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/5/2021 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. Con sentenza il numero 5150 depositata il 19 novembre 2019 nel processo iscritto al numero di registro 4303 del 2018 C.L. vedeva rigettato il proprio appello proposto contro l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 19 ottobre 2018 con la quale veniva rigettata l’opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona sezione di Vicenza che, a sua volta, non aveva riconosciuto al richiedente la protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 7 e 8, né la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs., art. 14, menzionato né, in via subordinata, la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.
2. Avverso tale sentenza il richiedente ha proposto ricorso per Cassazione per due motivi mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
3. Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 3 – viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla disponibilità e valutazione delle prove in sede processuale, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), in tema di criteri applicabili all’esame della domanda di protezione, per essere stata l’istruttoria della Corte d’appello carente ed incompleta. In particolare, il richiedente asilo osserva che una dovuta istruttoria avrebbe potuto condurre ad un favorevole esito tanto con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) o c), quanto con riferimento a quella di protezione umanitaria.
4. Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha assolto agli obblighi di cooperazione istruttoria circa le condizioni del Paese di origine (parte sud orientale del Senegal), richiamando quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) diverse autorevoli fonti internazionali di riferimento (Freedom House, Freedom in the World 2017 Se-negai 12 July 2017, COI Senegal 30 ottobre 2017, Limes, Minority Rights Group International Senegal November 2017 ecc..), a conferma dal fatto che il giudice d’appello ha preso in carico le allegazioni di violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e di situazione di instabilità sociopolitica del Paese, vagliandole e non condividendole. Tale statuizione è argomentata, con riferimenti circostanziati al racconto del richiedente, anche avuto riguardo alla richiesta di protezione umanitaria. Ne’ sussiste un pari obbligo di cooperazione con riferimento alle fattispecie di cui alle lett. a) e b) del decreto da ultimo citato allorquando, come nel caso di specie, la ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020) non consenta di apprezzare rischi individuali.
5. Orbene, gli accertamenti in fatto operati dalla Corte d’appello e sopra riassunti, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, adempimento esercitato già in primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata nel quadro dei poteri devolutivi del giudice di appello, non sono superati dalle deduzioni contenute nel motivo in esame ma, in sintesi, alle statuizioni in fatto adottate dal giudice di appello viene semplicemente contrapposta una generica ricostruzione secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente, deduzioni tuttavia non supportate da allegazioni in fatto circostanziate.
6. Con il secondo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – viene prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle richieste contenute nel ricorso di primo grado di concessione di un permesso per motivi umanitari; viene dedotta l’assenza o carenza di motivazione in punto di rigetto della domanda di protezione umanitaria nonché l’erronea valutazione e il difetto di motivazione sulla sopravvenuta integrazione del richiedente in Italia agli effetti del giudizio sulla sua vulnerabilità, con possibile violazione anche dell’art. 8 CEDU. Nel corpo del motivo viene inoltre prospettata la mancata valutazione della effettiva e lunga permanenza del richiedente, quali paesi di transito, in Mali e in Libia.
7. Il motivo è inammissibile. Esso è in larga parte generico, in quanto non individua ai fini della protezione umanitaria richiesta i fatti controversi e decisivi non valutati dal giudice d’appello, né con riferimento al transito in Mali e in Libia (in sé non decisivo, in difetto di specifiche allegazioni in sede di merito circa eventuali conseguenze traumatiche derivatene: cfr. Cass. n. 13565/20), né con riferimento in genere alla presenza di aspetti di vulnerabilità personale. Il motivo di ricorso non indica invero ulteriori ragioni di vulnerabilità personale, diverse da quelle giudicate non credibili, che siano state allegate in sede di merito. In tale contesto, rettamente la corte di merito ha ritenuto, conformandosi alla consolidata interpretazione giurisprudenziale di legittimità, che l’inserimento sociale in Italia -peraltro non precisato nel grado di intensità raggiunto- possa di per sé rendere doveroso il rilascio del permesso umanitario (cfr. Sez. 6-1, n. 420/2012, Rv. 621178-01; Sez. 6-1, n. 359/2013; Sez. 6-1, n. 15756/2013).
9. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di costituzione del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021