LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21811/2020 proposto da:
B.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Verlato, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art.
370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;
– resistente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 710/20, depositata il 24 febbraio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/5/2021 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. Con sentenza della Corte d’appello di Venezia numero 710 del 2020 pubblicata il 24 febbraio 2020 nel processo iscritto al numero di registro 599 del 2019 veniva rigettato l’appello di B.C. avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., del Tribunale di Venezia depositata in data 12 febbraio 2019 con la quale era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto che aveva negato la protezione internazionale nonché quella umanitaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e art. 5, comma 6 del Testo Unico immigrazione.
2. In particolare, il ricorrente rendeva noto di essere cittadino senegalese proveniente dalle regione del Casamance e riferiva di aver lasciato molto giovane il suo Paese per aiutare economicamente la propria famiglia dimorando 7 anni in Gambia, sino alla fuga dopo un breve rientro nel Paese di origine, fuga nel corso della quale in Libia subiva maltrattamenti da parte di polizia e trafficanti, che lo arrestavano e tenevano prigioniero prima che riuscisse a raggiungere l’Italia.
3. Contro tale decisione propone ricorso il richiedente per due motivi mentre il Ministero dell’Interno si è costituito con mera comparsa ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
4. Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di disponibilità e valutazione delle prove in sede processuale, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e art. 3 e il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), in tema di criteri applicabili all’esame della domanda di protezione, per essere stata l’istruttoria carente ed incompleta. In particolare il richiedente deduce che una dovuta istruttoria avrebbe potuto condurre ad un favorevole esito tanto con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) o c), quanto con riferimento a quelle di protezione umanitaria.
5. Con il secondo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – viene prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle richieste contenute nel ricorso di primo grado di concessione di un permesso per motivi umanitari. Viene inoltre dedotta l’assenza o carenza di motivazione in punto di rigetto della domanda di protezione umanitaria nonché l’erronea valutazione e il difetto di motivazione sulla sopravvenuta integrazione del richiedente in Italia agli effetti del giudizio sulla vulnerabilità del cittadino straniero in violazione anche dell’art. 8 CEDU e art. 19, comma 1 e comma 1.1. del TU Immigrazione. Nel corpo del motivo viene anche prospettata la mancata valutazione del principio di non refoulement, e del transito in Mali, Burkina Faso, Niger e Libia ove il richiedente allega di essere stato anche arrestato e maltrattato da polizia e trafficanti.
6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, incentrati sulla protezione sussidiaria ed umanitaria e sugli obblighi di cooperazione istruttoria indipendentemente dalla ritenuta non credibilità del racconto, sotto i due angoli della violazione di legge e del vizio motivazionale, e sono inammissibili.
7. Va premesso che la Corte d’appello ha accertato al punto 2 della propria motivazione che in grado di appello si è discusso solo della protezione umanitaria, cadute le precedenti richieste di protezione internazionale, inclusa la sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) o c), e, benché il richiedente le riproponga in sede di ricorso per Cassazione, non dà evidenza di averle in precedenza poste a base del proprio appello, derivandone l’inammissibilità dei motivi di ricorso quanto alla protezione sussidiaria.
8. Tanto premesso, con riferimento alla protezione umanitaria le do-glianze sono generiche. Il Collegio reitera che, ai fini del giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed a quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, pertinenti al caso e aggiornate al momento dell’adozione della decisione (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 22528 del 16/10/2020).
9. Orbene il ricorrente riferisce in termini molto generici di aver lasciato il proprio Paese di origine (Senegal, zona del Casamance) già ad 11 anni, abbandonando il nucleo familiare, e di aver quindi vissuto in Gambia presso un amico per 7 anni lavorando nella ristorazione, rientrando in Senegal solo per il funerale del padre, emigrando definitivamente dal Paese di origine nel settembre 2015.
10. La Corte osserva che, ai fini della dimostrazione della violazione dei doveri di collaborazione istruttoria, non è sufficiente la mera prospettazione in termini generici di una situazione complessiva del Paese d’origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice del merito, bensì occorre che la censura circostanzi in modo specifico quali siano gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito ha deciso sulla base di informazioni non attuali. A tal riguardo, i mezzi di impugnazione devono contenere puntuali richiami, anche testuali, alle fonti alternative proposte, al fine di consentire alla Cassazione l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559 – 01; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 7105 del 12/03/2021, Rv. 660795 – 01). Il giudice del merito ha accertato in fatto che il richiedente non ha adempiuto a tale onere e il ricorrente non allega e offre di provare fatti decisivi contrari a tale statuizione.
11. Quanto alla vulnerabilità personale, anche con riferimento ai paesi di passaggio intermedio, il richiedente la protezione umanitaria riferisce in modo generico di fatti avvenuti negli Stati di passaggio percorsi per giungere in Italia, i quali hanno compreso il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia. E’ vero che egli offre qualche riferimento cronologico e spaziale, indicando come in quest’ultimo Paese è stato arrestato e trattenuto in prigionia nella città di Zauia, subendo maltrattamenti, ma il giudice d’appello ha preso in carico l’allegazione, vagliandola, e, compiendo un accertamento in fatto preciso, ha motivato nel senso che il richiedente non esibisce tracce materiali di tortura sul corpo né documentazione medica e, in assenza di elementi rilevanti, il giudice del merito ha motivatamente escluso di dover disporre una consulenza tecnica.
12. Infine, il ricorrente non allega nemmeno la compromissione delle proprie condizioni psico-fisiche in conseguenza del transito e della detenzione in Libia, in rapporto all’età al tempo dei fatti e alla permanenza pluriennale al di fuori dal nucleo familiare.
Pertanto, la decisione di merito che ha negato la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno è adeguatamente argomentata e non è stata utilmente censurata con i mezzi di impugnazione proposti.
13. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 370 - Controricorso | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 702 bis - (Omissis) | Codice Procedura Civile