LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BELLINI Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25053-2019 proposto da:
E.K.I., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO CAVICCHIOLI ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in BIELLA, VIA REPUBBLICA 43;
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è
domiciliato;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 13498/2019 del TRIBUNALE di ROMA, pubblicato in data 12/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.
FATTI DI CAUSA
E.K.I. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, di quella umanitaria.
Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato nel villaggio di Umuorie presso la città di Ikwuano, nello Stato di Abia (sud della Nigeria); di appartenere al gruppo etnico igbo; di essere testimone di Geova; di lavorare come imbianchino; che si sentiva di appartenere al movimento IPOB fin dalla nascita, come ogni persona nata nel Biafra e che, qualche volta, aveva assistito il coordinatore del movimento della sezione Obor di Ikwuano; che il 10.5.2017, mentre si stava recando con altri militanti a una manifestazione pro-Biafra ad Aba, erano stati fermati dalle forze militari nigeriane che li avevano intimiditi e umiliati; che la Polizia aveva arrestato alcuni militanti IPOB e perciò egli si era rifugiato da un amico, anche lui membro del partito, perché aveva saputo dalla sorella che la Polizia lo aveva cercato; che il 12.9.2017, nel corso di una riunione a casa del leader dell’IPOB, a cui egli aveva partecipato, i militari avevano ucciso alcuni appartenenti al movimento e arrestato altri, mentre il ricorrente era riuscito a scappare; che il 15.9.2017 era fuggito con un suo compagno dell’IPOB in Libia, dove era stato imprigionato e picchiato da bande locali che chiedevano un riscatto; che era riuscito a fuggire dalla prigionia con l’aiuto di una persona, si era imbarcato per l’Italia, temendo, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dai militari nigeriani.
Con Decreto n. 13498 del 2019, depositato in data 12.4.2019, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso.
Avverso il decreto propone ricorso per cassazione E.K.I. sulla base di cinque motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, il ricorrente chiede di “sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3, comma 1; dell’art. 24, commi 1 e 2; dell’art. 111, commi 1, 2 e 5; dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 e ss. e relative deroghe, nelle controversie in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Anche a prescindere dalla assenza di argomentazione in ordine alla rilavanza di entrambe le questioni nel giudizio a quo, va rilevato che l’eccezione è già stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (con giudizio che questo collegio fa proprio), giacché la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v., ex plurimis, Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).
Può, dunque, richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007). La non irragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).
1.1. – E, sempre in via preliminare, il ricorrente richiede altresì “di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1, così come convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso Decreto Legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale. Vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Altrettanto manifestamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poiché la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v. nn. 17717/18 e 28119/18).
2. – Con il primo motivo, il ricorente deduce l'”Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3" atteso il mancato esame dell’appartenenza del ricorrente alla minoranza cristiana, circostanza dedotta in ricorso quale ragione fondante la domanda di protezione internazionale e il mancato esperimento di attività istruttoria d’ufficio pur in presenza di allegazioni da parte del richiedente.
2.1. – Il motivo è inammissibile.
2.2. – Non si riscontra alcun omesso esame riguardante un qualsiasi profilo attinente alla fede religiosa professata dal ricorrente; e perché le censure mirano del tutto genericamente a una nuova valutazione del racconto del richiedente asilo e, quindi, al merito della decisione, finalità non consentita nel presente giudizio di legittimità ed inoltre, non censurano la decisiva ratio di non credibilità della narrazione dell’odierno richiedente asilo (cfr. Cass. n. 8205 del 2020).
3. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, là dove il Tribunale ha omesso di esperire l’attività istruttoria per acquisire le informazioni necessarie in relazione alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, avendo fatto riferimento in via generica alla Nigeria e non alla regione del Biafra di provenienza del ricorrente.
3.1. – Il motivo non è fondato.
3.2. – Deve premettersi che questa Corte ha affermato il principio secondo il quale “in tema protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente, si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura” mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea” (cfr. Cass. 11096 del 2019; Cass. n. 25545 del 2020) Ed è stato altresì ribadito che “Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità” (cfr. Cass. 28990 del 2018 ed, in assoluta continuità, anche con riferimento al dovere officioso di integrazione istruttoria Cass. 13897 del 2019; Cass. 9230 del 2020; Cass. 9231 del 2020).
3.3. – D’altronde, questa Corte ha statuito che “In tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento” al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. (Cass. n. 29056 del 2019).
Nel caso in esame (quanto alla ipotesi di correre un pericolo di vita o incolumità fisica a causa della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale) nella motivazione del decreto impugnato, che risale alla metà del 2019, vengono richiamate le Country Origin Informations desunte dal rapporto Amnesty International del 2017/2018; dallo Human Rights Watch del 2018 e dall’aggiornamento EASO del giugno 2017 (non risultando in senso contrario espliciti riferimenti a più specifiche e/o recenti fonti indicate dal richiedente).
3.4. – Vero, allora, che il dovere di cooperazione istruttoria, rappresenta una peculiarità processuale del giudizio di protezione internazionale che il giudice di merito deve adempiere d’ufficio, fondando la propria decisione su fonti informative attendibili (e cioè riconducibili a quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), idonee allo scopo informativo rispetto alla vicenda narrata ed aggiornate alla data della decisione, in ragione della rapida mutevolezza delle condizioni sociopolitiche, economiche, climatiche e sanitarie dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Vero e’, del pari, che ove il giudice di merito non si attenga a tale principio in relazione all’aggiornamento delle fonti utilizzate, è sufficiente che la censura che il ricorrente prospetta in sede di legittimità evidenzi la non attualità delle fonti, in quanto la data di esse costituisce un elemento oggettivo che non necessita di ulteriori specificazioni critiche, “pur essendo necessario che venga allegata una condizione attuale del paese di origine diversa e più grave di quella rappresentata dalle informazioni (erroneamente) utilizzate” (il ricorrente, pertanto, non ha alcun onere di indicare specificamente, riportandone il contenuto, fonti alternative a quelle utilizzate, non essendo tenuto a supplire ad una carenza istruttoria che costituisce oggetto di uno specifico obbligo ex lege del giudice di merito).
4. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 8 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, nella prte in cui il Tribunale motivava il decreto impugnato in relazione al contenuto dei rapporti internazionali allegati d’ufficio senza previo contraddittorio con le parti e senza riportarne il contenuto effettivo. Se il ricorrente fosse stato posto nelle condizioni di contraddire rispetto alle fonti di prova indicate nel decreto avrebbe potuto rilevare che i rapporti internazionali non avevano riguardo alla regione del Biafra, ma in modo generico alla Nigeria e che gli stessi non erano attuali risalendo al giugno 2017.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
4.2. – Del tutto generico si appalesa, infatti, l’assunto di parte ricorrente circa la compromissione del proprio diritto al contraddittorio, giacché il Tribunale ha semplicemente e doverosamente provveduto alla verifica officiosa della situazione del paese di origine del richiedente, in base alla di lui allegazione, uniformandosi, così, all’orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 24433 del 2020;).
5. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021