Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26648 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24815/2019 R.G. proposto da:

M.N.M.P., rappresentato e difeso dall’avv. Michele Carotta, con domicilio in Vicenza, Contrà S. Stefano n. 15;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1684/2019, depositata in data 24.4.2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

FATTI DI CAUSA

M.N.M.P., proveniente da Yaounde (Camerun) – ove svolgeva l’attività di estetista” ha chiesto la protezione internazionale, esponendo di aver abbandonato il paese, temendo per la propria incolumità, avendo assistito all’omicidio di un fornitore ed avendo riconosciuto uno degli assassini; che, datosi alla fuga, aveva appreso di esser ricercato dalla polizia.

La domanda è stata respinta dal tribunale di Venezia con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., confermata in appello.

Secondo il giudice distrettuale, l’impugnazione non si confrontava con la decisione di primo grado in punto di illogicità e contraddittorietà della narrazione, avendo il ricorrente reso un’esposizione completamente assertiva, priva di riscontro alcuno sul piano fattuale, proponendo argomenti ripetitivi, e nemmeno rafforzativi, delle proprie asserzioni, generici ed inconferenti rispetto ai puntuali rilievi del tribunale.

Non era stata formulata – inoltre – una reale critica alla ratio decidendi adottata dal tribunale quanto alla non credibilità della narrazione, né l’interessato aveva ottemperato ad alcuno degli adempimenti previsti dall’art. 3, comma 5, decreto qualifiche, o allegato i motivi per i quali, in caso di rientro, sarebbe stato esposto a pericolo anche a distanza di anni dai fatti allegati, non avendo poi chiarito se avesse richiesto la protezione delle autorità locali ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c).

Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), la pronuncia ha osservato che, da informazioni tratte da fonti qualificate, era esclusa la sussistenza dei relativi presupposti legittimanti e che le informazioni citate dal richiedente erano tratte da un sito dedicato ai turisti occidentali, del tutto prive di valore probatorio.

Inoltre, riguardo alla protezione umanitaria, ha ritenuto indimostrato che il ricorrente avesse conseguito un’effettiva integrazione nel tessuto sociale e culturale nel paese ospitante o che fosse configurabile un’effettiva compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., in caso di rimpatrio nel paese di origine.

Per la cassazione della sentenza M.N.M.P. ricorre sulla base di quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, asserendo che il ricorrente aveva compiuto ogni sforzo per documentare la domanda, producendo atti e foto, che entrambi i giudici di merito non avrebbero preso in considerazione, omettendo di svolgere un ruolo di cooperazione istruttoria.

L’obbligo del ricorrente di compiere ogni ragionevole sforzo per documentare la domanda andava scrutinato in relazione alle condizioni personali del richiedente asilo e al contesto culturale e sociale di partenza.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il giudizio di credibilità del ricorrente sarebbe stato formulato in violazione dei criteri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, dando rilievo a talune imprecisioni su aspetti del tutto secondari (riguardo all’uccisione di un parente ad opera di ***** e alle ragioni per le quali il ricorrente era ricercato dalla polizia), senza tener conto delle condizioni personali del dichiarante e delle difficoltà linguistiche e di traduzione.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La Corte di appello ha condiviso anche nel merito la valutazione di inattendibilità del richiedente asilo, rilevando che non era stato osservato nessuno degli oneri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. pag. 6).

Detto apprezzamento si palesa, nello specifico, come il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, svolta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ponendo in rilievo anche l’incoerenza e la scarsa plausibilità delle vicende rappresentate in giudizio e le numerose lacune ed imprecisioni delle dichiarazioni, giustificando la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria con riferimento alle ipotesi sub D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b).

In tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve avere innanzi tutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 (art. 3, comma 5), non occorre procedere ad alcun approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018; Cass. 4892/2019).

Il dovere di cooperazione istruttoria” e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, gravante sul giudice, è in ogni caso – circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poiché è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio, egli non può essere chiamato – né, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte negato la protezione internazionale, senza considerare il rischio che il ricorrente subisca un danno grave in caso di rimpatrio, avendo ricostruito le situazione del paese di origine in modo difforme da quanto risultante dal report di Amnesty International del 2017/2018, e avendo reputato inattendibile il racconto del richiedente asilo sulla base di elementi non univoci, né precisi o concordanti.

Il motivo è infondato.

Per quanto specificamente concerne la protezione umanitaria, la Corte di merito ha valutato la complessiva situazione di vulnerabilità del ricorrente, evidenziando che non qualsiasi situazione soggettiva può aver rilievo ai fini della misura richiesta (pag. 10), così escludendo la stessa riconducibilità della vicenda personale dell’interessato ai presupposti di legge, evidenziando inoltre come dalle COI citate in sentenza, non emergesse una situazione di grave compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza (cfr. pagg. 12 e 13).

La pronuncia ha motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 14, lett. c) decreto qualifiche, anche in base all’inattendibilità del racconto del richiedente asilo (pag. 11). Tale apprezzamento, investendo profili di merito, è da ritenersi incensurabile anche riguardo all’esame delle condizioni di sicurezza interna del Senegal, cui il ricorrente ha inteso contrapporre informazioni di segno contrario che tuttavia appaiono meno aggiornate rispetto a quelle utilizzate dal giudice distrettuale.

Per configurare la violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può – però – procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione denunciata (Cass. 14307/2020).

La disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella riformulazione, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con L. n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

E’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 8053/2014).

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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