Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26681 del 01/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17062-2019 proposto da:

BPER BANCA SPA, in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato GATTAMELATA STEFANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FOSSATI IVAN;

– ricorrente –

contro

FISCHER SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato D’ANGELO QUIRINO, rappresentata e difesa dall’avvocato DI BARTOLOMEO GIOVANNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 492/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA ALDO ANGELO.

FATTI DI CAUSA

1. – Nel settembre 2007, la s.p.a. Fischer in amministrazione straordinaria ha convenuto avanti al Tribunale di Pescara la società cooperativa BPER (come allora diversamente denominata), chiedendo la revoca di un pagamento ex art. 67 L. Fall. (nella versione anteriore alle modifiche apportate dalla novella del 2005).

2. – Con sentenza depositata nel gennaio 2013, il Tribunale ha accolto la domanda revocatoria, ai sensi dell’art. 67 L. Fall., comma 2.

3. – La società bancaria ha proposto appello avanti alla Corte di L’Aquila. Che lo ha respinto con sentenza depositata in data 14 marzo 2019.

4. – A fronte delle contestazioni formulate dall’appellante – per cui gli indizi individuati dal giudice del primo grado non erano idonei a integrare la prova presuntiva della scientia decoctionis della Banca accipiens -, la Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza impugnata aveva “correttamente esaminato ogni elemento in concreto utile” al riguardo.

4.1. – Nel concreto, i giudici hanno fatto prima di tutto riferimento alle segnalazioni di rischio presenti negli archivi della Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Per notare, in proposito, che la CTU aveva riscontrato che, al tempo in cui il pagamento si era verificato (14 ottobre 2002) e che, come tale, risultava “rilevante ai fini della prova della scientia decoctionis” -, la Banca disponeva di dati che potevano ben consentirle di conoscere che la “società si trovava in una situazione particolare di difficoltà”: tenuto in specie conto dei consistenti, corposi e nel tempo crescenti montanti degli sconfinamenti in essere.

Il punto della “conoscenza da parte dell’accipiens dei dati provenienti dalla Centrale Rischi” appare – così si è osservato – in sé “conclusivo”: “nessun vizio della pronuncia è pertanto ravvisabile nella parte in cui il giudice, aderendo alla CTU, ha valutato la gravità di quei dati, non trascurabili, né sottovalutabili soprattutto ove consideratane la preminente funzione informativa nei confronti di un creditore particolarmente qualificato, come BPER, in possesso di tutti gli strumenti idonei ad interpretarne la valenza”.

Non vale in contrario rilevare, d’altra parte, che dal bilancio di esercizio 2001 della Fischer “non sarebbe emerso alcunché di patologico”: al documento non poteva attribuirsi nessun rilevante significato, come osservato dal CTU, posto che l’attività imprenditoriale della Fischer era stata “avviata a meno di due mesi dalla chiusura dell’esercizio” stesso.

4.2. – Nel prosieguo, la pronuncia ha rilevato che la società Fischer faceva “parte del gruppo al cui vertice si trovava la Merker s.p.a.”, esprimendo la stessa compagine sociale ed essendo stata costituita, anzi, “proprio per supportare la Merker s.p.a. nella fase di produzione di semirimorchi”. Per aggiungere che i dati del bilancio 2001 della società capogruppo ne evidenziavano in modo chiaro lo stato di dissesto: come ben a conoscenza della Banca, “considerata la notevole consistenza economica dei rapporti di finanziamento, implicante uno scrupoloso e continuo monitoraggio della situazione del gruppo”.

In via ulteriore, la sentenza ha osservato che altri elementi ancora venivano a corroborare – con “non minore valenza indiziaria” – quanto desumibile dal bilancio di esercizio della Merker. La situazione di crisi del gruppo Merker è stata riportata sin dal primavera del 2002 sulle “testate nazionali e internazionali (pur volendo tralasciare le numerose e convergenti notizie su quotidiani locali)”, con “ampia possibilità di accesso da parte di BPER”. Anche le iscrizioni pregiudizievoli – quale in specie un’ipoteca giudiziale sui beni della s.p.a. Merker del settembre 2002 – indicano la sussistenza di “uno stato di insolvenza di dominio pubblico”, si è osservato ancora.

5. – Avverso questo provvedimento ricorre la Banca, svolgendo un motivo di cassazione.

La società in amministrazione straordinaria resiste con controricorso.

6. – Entrambe le società hanno anche depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. – Il ricorso assume la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 67L. Fall., comma 2: “nessuno degli elementi indiziari posti alla base della pronuncia” – si assume “presenta i requisiti indicati in questi articoli” di legge.

Posta questa affermazione di carattere generale, il ricorso discute dei “requisiti della gravità, precisione e concordanza” ex art. 2729 c.c. dapprima in relazione “alle risultanze della Centrale Rischi relative a Fischer in bonis”; di poi, con riferimento agli “indizi sull’insolvenza di Merker (controllante di Fischer)”.

8. – Con riferimento alle risultanze documentali della Centrale dei rischi bancaria, il ricorso rileva, in sequenza, i punti che si riportano.

A settembre del 2002, l’ammontare dei fidi accordati a Fischer era pari a Euro 59.251.000,00, così ripartiti: Euro 924.000,00 per rischi autoliquidanti; Euro 57.810.000,00 “per rischi a scadenza” (“es, operazione di leasing, factoring, pronti contro termini, aperture di credito”); Euro 516.000,00 “per rischi a revoca in c/c rappresentati da aperture di credito in c/c”. L’utilizzato era pari al 42,57% del fido accordato; dell’utilizzato, l’85% si riferiva a operazioni a lungo termine.

In questo contesto – si precisa – “emergono, sì, alcuni sconfinamenti”; che, tuttavia, “dovevano ritenersi limitati e giustificati”: “infatti, complessivamente l’entità di tali sconfinamenti era pari ad appena il 2,56% del totale degli affidamenti concessi”. “Inoltre, la Centrale rischi non ha portato la posizione “a sofferenza””; né da questa “risultano chiusure di linee di credito e/o riduzioni degli affidamenti”.

“Oltre a non essere gravi” – si prosegue – i dati riportati dalla Centrale rischi “non sono neppure precisi”: gli “sconfinamenti di (modici) valori… rappresentavano elemento di fiducia dell’intero sistema bancario nei confronti della Fischer”. E nemmeno sono “concordanti nel senso dell’insolvenza”.

Infatti, al bilancio di esercizio “non poteva attribuirsi un significato rilevante”, posto che l’attività della società era stata avviata “a meno di due mesi dalla chiusura dell’esercizio”: la perdita di bilancio era, perciò, “fisiologica e naturale”. “Non vi sono in atti notizie di stampa, antecedenti o contestuali al momento del pagamento, che riguardano Fischer”. Neppure esistevano al tempo del pagamento “procedure esecutive nei confronti di Fischer”, ma “solo 3 decreti ingiuntivi, nessuno provvisoriamente esecutivo, per un valore complessivo inferiore a Euro 300.000,00”, pari all’1,3% rispetto al monte debiti risultante dal bilancio al 31 dicembre 2001.

9. – Con riferimento all’insolvenza della s.p.a. Merker, come elementi rivelatore dell’insolvenza di Fischer, il ricorso sostiene, in primo luogo, che i dati del bilancio al 31 dicembre 2001 sono “artefatti dagli amministratori per trarre in inganno proprio e soprattutto le banche”. A sostegno dell’assunto viene trascritto un passo della Relazione del Commissario di Merker, che richiama il “comportamento tenuto dagli organi volitivi dell’impresa e i gravi errori e inadempienze da questi posti in essere”, tra cui il “ricorso a una generosa e impropria fatturazione (non legata a una effettiva cessione di beni) al solo fine di ottenere finanziamenti bancari per anticipi su fatture”.

Rileva, in secondo luogo, che la “relazione di parte a firma del Dott. Moscaritolo, consulente della Procedura e prodotta dalla Procedura in primo grado”, “contiene una valutazione marcatamente di parte e parziale”. All’epoca dei fatti, Merker “appariva una realtà industriale, multinazionale, conosciuta e blasonata”; i soci di Merker “apparivano finanziariamente solidi”; la società aveva un “piano industriale dettagliato e coerente”, “approvato e certificato da Arthur Andersen s.p.a. con analisi del 14 settembre 2000”; quest’ultima aveva anche “certificato senza riserve” il bilancio al 31 dicembre 2001.

Rileva, in terzo luogo, che nemmeno possono ritenersi “gravi, precise e concordanti le notizie di stampa sulla Merker”: “negli articoli antecedenti” la data del pagamento, nei pezzi citati dalla Corte aquilana “non si parla mai di “crisi finanziaria”, di “mancato pagamento degli stipendi”, di “scioperi””.

10. – Nella memoria depositata ex art. 380-bis c.p.c., il ricorrente ha precisato che “BPER non ha semplicemente chiesto, con il proprio ricorso, la revisione del materiale probatorio in punto di scientia decoctionis della Banca”: la “Corte di Cassazione può essere investita dell’errore in cui il giudice del merito sia incorso nel considerare grave una presunzione che non lo sia… La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza”.

A conforto dell’affermazione appena riportata, il ricorrente ha richiamato le pronunce di Cass., 26 giugno 2008, n. 17535 e di Cass. 5 maggio 2017, n. 10973.

11. – Il ricorso non può essere accolto.

12. – E’ bene puntualizzare, prima di ogni altra cosa, che nella specie concreta non entra comunque in discussione il tema della misura e limiti della sindacabilità, nel contesto del giudizio di legittimità, delle prove presuntive che vengano ritenute sussistenti dalle pronunce dei giudici del merito (per i termini dello stato attuale della giurisprudenza di questa Corte sul tema appena indicato si vedano, con peculiare riferimento alla materia della scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare, in particolare gli arresti di Cass., 12 novembre 2019, n. 9257; di Cass., 11 febbraio 2020, n. 3327; di Cass., 17 giugno 2020, n. 11696).

I contenuti svolti nel ricorso non si confrontano, infatti, con parti essenziali degli aspetti ritenuti invece rilevanti dalla Corte aquilana per la rilevazione, a mezzo di prova presuntiva, della scientia decoctionis in capo alla Banca destinataria del pagamento fatto oggetto di revoca (cfr., in specie, i prossimi nn. 13, 16 e 18).

Con la conseguenza che, in realtà, il ricorso, che è stato così proposto, viene nella sostanza a sollecitare una inammissibile rivisitazione degli elementi materiali presenti nella fattispecie concreta: rivisitazione che, tuttavia, risulti prescindere dai profili costitutivi messi in luce dai giudici del merito.

13.- Nella sentenza della Corte aquilana si pone come profilo caratteristico della fattispecie – e determinante nella formazione del giudizio in punto di scientia decoctionis – il riscontro della peculiare “qualità” del creditore: quale banca, appunto, che, in relazione allo specifico pagamento di cui alla revoca, sta esercitando la propria attività imprenditoriale del servizio del credito (il pagamento concernendo – così annota la pronuncia – il rimborso di un “finanziamento precedentemente concesso” alla Fischer).

Tale valutazione emerge – e con particolare nitore – sia nella parte motiva che viene dedicata all’esame delle risultanze della Centrale Rischi (ove il riscontro che, nella specie, si tratta di “creditore particolarmente qualificato, in possesso di tutti gli strumenti idonei a interpretare la valenza” di tale risultanze”), sia pure nella parte che risulta riferita all’insolvenza della Merker (là dove in cui la sentenza richiama l’esigenza di uno “scrupoloso e continuo monitoraggio della situazione del gruppo da parte dell’Istituto di credito”).

14. – Nonostante l’evidenza dei richiami compiuti dalla sentenza della Corte d’Appello, il ricorso ha trascurato completamente di prendere in considerazione l’aspetto della qualificazione soggettiva del creditore nel contesto della fattispecie concreta, non aggredendo questa pur decisivo profilo della relativa motivazione.

Per contro, l’importanza – (pure) in termini di gravità, precisione e concordanza dei dati materialmente riscontrati che la ridetta qualità viene rivestire in punto di prova presuntiva della scientia decoctionis della Banca accipiens non può in alcun modo essere accantonata o comunque sottovalutata.

15. – La qualità di operatore qualificato del creditore, quale impresa autorizzata all’esercizio del credito e’, in effetti, aspetto il cui necessario riscontro, in punto di accertamento della sussistenza della scientia decoctionis, si trova da tempi lontani evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte.

Al riguardo, si possono tra le altre compulsare le decisioni di Cass., n. 11696/2020, già citata; di Cass., 27 ottobre 2017, n. 25635; di Cass., 8 febbraio 2018, n. 3081; di Cass., 29 luglio 2014, n. 17208; di Cass., 4 febbraio 20018, n. 2557; di Cass., 2 novembre 2017, n. 26061. Ivi ricorre, in specie, la particolare sottolineatura che la “qualità di operatore economico qualificato della banca convenuta, pur non integrando da sola la prova dell’effettiva conoscenza dei sintomi dell’insolvenza, impone di considerare la professionalità e avvedutezza con cui normalmente gli istituti di credito esercitano la loro attività”.

16. – A indice di rafforzamento della rilevanza che, nella specie, viene ad assumere la professionalità e avvedutezza della BPER, quale impresa esercente il servizio del credito, la Corte aquilana ha poi evidenziato la “notevole consistenza economica dei rapporti di finanziamento” in essere all’epoca.

Non v’e’ dubbio invero che, sul piano dell’id quod plerumque accidit – che è quello proprio delle presunzioni hominis – il peso dei finanziamenti in essere costituisca nel concreto un forte incentivo per l’effettuazione di più solerti e approfonditi controlli dello stato patrimoniale ed economico del debitore: sia che si faccia riferimento all’operazione specificamente in essere con un dato creditore, sia che si faccia invece riferimento al livello complessivo dell’indebitamento in essere con il sistema bancario.

17. – Su questo punto – che pure si manifesta, si è appena visto, di forte rilievo – il ricorso si limita, per la verità, a richiamare il montante relativo ai finanziamenti nel complesso in essere, all’epoca, rispettivamente per la Fischer e per la Merker. Per la prima, vengono indicati più di 59 milioni di Euro per l'”accordato” e più di 25 milioni di Euro, per l'”utilizzato”; per la seconda, circa 125 milioni di Euro, per l'”accordato”, e circa 52 milioni, per l'”utilizzato”.

La sussistenza di simili somme (tanto in punto di “accordato”, quanto per l'”utilizzato”), tuttavia, non risulta inficiare in alcun modo la rilevanza assegnatale dalla Corte aquilana, ma, per vero, casomai l’enfatizza: anche a non volere tenere conto del fatto, in sé non contestato, che, per quanto riguarda quelli concessi alla Fischer, si tratta di finanziamenti fatti a una start. up, posto che tale impresa aveva iniziato, al tempo del pagamento della cui revoca si discute, la propria attività solo da un anno.

18. – Sempre nella prospettiva indicata (della professionalità e avvedutezza in concreto della BPER, quale impresa esercente in modo professionale il servizio del credito), la Corte aquilana ha poi rimarcato che, nella specie, i dati direttamente attinenti alla Fischer emergevano dalle risultanze della Centrale Rischi: da un “luogo” istituzionalmente deputato, cioè, alla acquisizione dei dati e al monitoraggio dei debitori delle banche, consegnando ai relativi creditori dati facilmente acquisibili e diversi, per qualità e quantità, da quelli usualmente disponibili ai creditori altri.

La sentenza ha pure ricordato, in proposito, la “preminente funzione informativa” che queste risultanze svolgono per l’interesse del sistema bancario, come anche la capacità professionale di leggerne i dati di cui le imprese, che fanno parte di questo sistema, dispongono e che via via implementano a seguito del costante utilizzo e consultazione delle risultanze medesima (sì da risultare – ricorda la sentenza – “in possesso di tutti gli strumenti idonei a interpretare la valenza” delle risultanze della Centrale).

19. – Del profilo così evidenziato dalla sentenza della Corte aquilana, il ricorso non ha in alcun modo tenuto conto.

E’ tuttavia massima di esperienza – come pure rimarcata, peraltro, dalla giurisprudenza di questa Corte – quella per cui un “banchiere, anche solo minimamente avveduto, è solito compulsare tale forma di informazione” (Cass., 13 ottobre 2005, n. 19894). Ne’ può dubitarsi che (se non altro) questa “consuetudine della consultazione” venga a comportare e sviluppare – sempre sulla linea prospettica dell’id quod plerumque accidit – una peculiare attitudine a leggere e interpretare i dati fattuali che la Centrale viene a fornire per l’interesse delle imprese che professionalmente esercitano il servizio del credito.

20. – Segue alla somma di rilievi sin qui compiuti che il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 13.600,00 (di cui Euro 100,00, per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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