Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26685 del 01/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9791-2020 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO GOTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 241 del 2020 della Corte di Appello di Roma depositata il 15/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO

CHE:

La Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’appello proposto da C.R., proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese, confermando la prima decisione che aveva respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme, già denegata dalla Commissione territoriale.

La richiedente ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo; il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

La cittadina straniera aveva riferito essersi indotta a lasciare la Cina a causa della professione della religione cattolica facente capo al culto della Chiesa cattolica domestica *****, abbracciata quando il figlio aveva avuto problemi di salute, di avere cominciato ad essere ricercata fin dal 2011 e di essere sfuggita ad alcuni tentativi di arresto, di non avere più visto né il figlio, né il marito, contrario alla sua scelta religiosa.

La Corte di appello ha ritenuto non credibile il racconto in ordine alle ragioni di fuga dalla Cina ponendo in luce gli aspetti dubbi del suo racconto ed ha evidenziato la incongrua circostanza che la richiedente, pur assumendo di essere ricercata, aveva potuto lasciare il proprio Paese normalmente, previo rilascio del passaporto con visto di espatrio.

Ha quindi ritenuto insussistenti in concreto, sulla scorta dell’Accordo provvisorio intercorso nel settembre 2018 tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese, il rischio di danno grave, ai fini della protezione sussidiaria. Infine, ha escluso la ricorrenza di personali condizioni di vulnerabilità e di integrazione sociale in Italia, tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e art. 14, lett. c), e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’omessa attività istruttoria.

La ricorrente critica la decisione impugnata, richiamando altre pronunce giurisdizionali dalle quali – a suo parere – era possibile evincere la situazione esistente in Cina e superare i dubbi manifestati circa le modalità di arrivo in Italia della richiedente, rimarca che per altri richiedenti la valutazione era stata positiva ed era stata loro riconosciuta la protezione richiesta.

2. Il motivo è inammissibile perché si limita a sostenere la veridicità del racconto e a contestare genericamente la decisione impugnata, senza indicare alcun fatto decisivo tempestivamente dedotto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che le plurime censure non rispondono nemmeno al modello legale del vizio motivazionale e si palesano del tutto generiche (Cass. n. 3340 del 05/02/2019); di contro la decisione risulta articolata e adeguatamente motivata attraverso la accurata disamina delle dichiarazioni della richiedente, che non sono state ritenute non credibili quanto alla adesione alla fede cattolica, quanto piuttosto alle ragioni dell’allontanamento dalla Cina ed alla fondatezza dei timori espressi, atteso che la stessa aveva lasciato il Paese con regolare passaporto e visto; viene dato altresì conto dei progressi intercorsi nei rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese, senza che su ciò sia stata svolta alcuna censura puntuale.

Inoltre, la doglianza risulta essere assolutamente generica anche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, priva di decisività perché non viene indicato quali siano le informazioni – tempestivamente allegate dalla richiedente dinanzi al giudice di merito – che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019), tali non potendo ritenersi i precedenti giurisprudenziali relativi ad altri richiedenti.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472