Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26699 del 01/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3018/2020 proposto da:

U.C.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELENA TORDELA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 9496/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 11/12/2019 R.G.N. 11211/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. con decreto n. 9496/2019 il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso proposto da U.O.C., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria proposta dall’interessato;

2. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal Paese di origine con il timore di essere ucciso da uno zio che lo aveva accusato della morte del proprio figlio con il quale U.C.O. si era recato a lavorare in campagna; lo zio era un ex militare e per questo l’odierno ricorrente aveva rinunziato a difendersi preferendo espatriare;

3. il Tribunale, ritenuto non credibile, in quanto generico e stereotipato, il racconto del richiedente e rilevato che questi non si era presentato all’udienza di comparizione onde offrire ulteriori ed utili elementi di valutazione, ha escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); quanto all’ipotesi di cui del art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., le fonti consultate non consentivano di ritenere nell’Edo State, area di provenienza del ricorrente, l’esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – tale da creare una situazione di indiscriminata violenza; la inverosimiglianza delle ragioni dell’allontanamento e la assenza di allegazione di specifici profili di vulnerabilità giustificavano il rigetto della protezione umanitaria, dovendosi escludere in ogni caso che fosse stata raggiunta la prova della integrazione in Italia, prova non evincibile dalla documentazione relativa alla stipula di contratti a determinato, documentazione peraltro inammissibile in quanto tardivamente depositata;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso U.O.C. sulla base di plurimi motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. preliminarmente parte ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativa: a) al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado; b) al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità del ricorso in data successiva al decreto impugnato; c) al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5, art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 Direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13CEDU per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e relative deroghe espresse dal legislatore nelle controversie in materia di protezione internazionale; d) in subordine, ha eccepito la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, come integrato dagli artt. 6 e 13 CEDU e dall’art. 46, paragrafo 3, Direttiva n. 32/2013, per avere il legislatore italiano, con l’abrogazione ex lege n. 46 del 2017, dell’appello nelle controversie di protezione internazionale e nello stabilire la mera eventualità della comparizione delle parti in udienza, tra l’altro in Camera di consiglio ed a discrezione del Collegio, introdotto un procedimento cartolare in tutti i gradi di giudizio, assetto processuale che assume in contrasto con la giurisprudenza della CEDU;

2. le eccezioni di illegittimità costituzionale devono essere respinte;

2.1. la prima questione formulata, incentrata sul restringimento del termine previsto per il ricorso per cassazione, è irrilevante, dal momento che non ricorre una ipotesi di tardività della proposta impugnazione introdotta con ricorso per cassazione notificato nel rispetto del prescritto termine di trenta giorni, circostanza della quale dà atto anche il ricorrente (v. ricorso, pag. 2), il quale non deduce alcun concreto pregiudizio scaturito dalla necessità della relativa osservanza;

2.2. la seconda questione di costituzionalità, prospettata in relazione al requisito di ammissibilità rappresentato dal conferimento della procura alle liti per il ricorso per cassazione in epoca successiva alla comunicazione del decreto impugnato è parimenti priva di rilevanza in quanto in concreto la procura conferita per il ricorso per cassazione è successiva alla comunicazione del detto provvedimento;

2.3. la terza questione di costituzionalità, incentrata sulla incompatibilità delle controversie in materia di protezione internazionale con il rito camerale alla luce del diritto Eurounitario e della giurisprudenza CEDU, a prescindere da profili di irrilevanza (in quanto parte ricorrente non si confronta con il fatto che nel provvedimento impugnato si dà atto della fissazione dell’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, comma 11), è manifestamente infondata. Come osservato da questa S.C., infatti, la nuova disciplina non attua alcuna violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poiché il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. n. 17717/2018). Il ricorrente pone un problema di compatibilità del diritto unionale, con riguardo alla tutela giurisdizionale che deve essere accordata ai richiedenti protezione internazionale e la previsione del legislatore nazionale secondo cui il detto procedimento “e’ trattato in Camera di consiglio” (art. 35 bis cit., comma 9). Al riguardo non è decisivo quanto disposto dall’art. 46.3 della dir. 2013/32/UE, secondo cui “gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado”. Infatti, per un verso, il rito camerale non esclude l’audizione del richiedente asilo e, per altro verso, la stessa Corte di giustizia ha precisato che la richiamata direttiva non impedisce, in via assoluta, al giudice nazionale di respingere il ricorso senza procedere all’audizione predetta (C. giust. 26 luglio 2017, C11348/16, Moussa Sacko, 49);

2.4. parimenti da respingere alla luce delle considerazioni alla base del rigetto della eccezione di costituzionalità di cui sopra è la questione di legittimità costituzionale formulata in via subordinata la quale risulta altresì irrilevante per l’assorbente considerazione che il provvedimento impugnato ha espressamente dato atto della fissazione dell’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, comma 11, prevista, come è noto, (anche) per l’ipotesi di assenza di disponibilità della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale ed ai fini dell’audizione dell’interessato, il quale non si è presentato in udienza, come da affermazione del giudice di merito (v. decreto, pag. 3) non specificamente contrastata con il ricorso per cassazione;

3. nel merito si osserva che:

4. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, denunzia il rigetto da parte del Tribunale della richiesta della difesa del ricorrente di fissare udienza in Camera di consiglio, richiesta motivata anche dalla mancata messa a disposizione, da parte della Commissione territoriale competente, della videoregistrazione della audizione del richiedente;

5. con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, letto in combinazione con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, censura l’accertamento del giudice di merito relativo alla insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel paese di origine del richiedente e omesso esame del fatto che il richiedente era fuggito dalla Nigeria per sottrarsi alle minacce di morte dei cultisti che lo volevano reclutare;

6. con il terzo motivo di ricorso, deducendo violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e art. 3, comma 8, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7 e 14, art. 10 Cost., dell’art. 8 della dir. 2004/83/CE, dell’art. 8 Direttiva 2001/95/CE e dell’art. 3 CEDU, censura il provvedimento impugnato per avere il giudice di merito formato il proprio convincimento sulla sola credibilità soggettiva del richiedente e sull’onere di provare il fumus persecutionis. Assume che contrariamente a quanto ritenuto nel decreto tutta la Nigeria era interessata da un conflitto armato e da violenza indiscriminata secondo quanto emergente dai reports di Amnesty International e del Ministero degli Affari Esteri;

7. il primo motivo di ricorso è inammissibile sia per difetto di specificità in quanto parte ricorrente non trascrive o riproduce i termini e le motivazioni alla base della richiesta di audizione del richiedente sia per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione nella quale, come già rilevato, si dà espressamente atto della fissazione dell’udienza D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, comma 11, alla quale non era comparso il richiedente al fine di cooperare offrendo ulteriori ed utili elementi di valutazione, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

8. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità in quanto si sostanzia nella enunciazione di una serie di principi tratti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di protezione internazionale, senza alcuno specifico riferimento alla concreta vicenda narrata dal richiedente posta all’origine dell’espatrio, quale emergente dal decreto impugnato; da questo si evince, infatti, che il richiedente si era allontanato per il timore di essere ucciso dallo zio il quale lo accusava di avere cagionato la morte del proprio figlio mentre nel ricorso per cassazione la ragione dell’allontanamento dal paese di origine viene individuata nel timore connesso alle minacce di morte provenienti da una setta di cultisti che voleva reclutare l’odierno ricorrente, vicenda del tutto estranea alla valutazione del giudice di merito;

9. il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto anch’esso incentrato sulla enunciazione di generici principi in tema di presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e perché chi ricorre si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perché si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (v. tra le altre, Cass. n. 2563/2020 del 2020);

10. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite essendosi la parte intimata limitata al deposito di atto di costituzione (al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione) al quale non è seguita alcune ulteriore attività difensiva;

11. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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