Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26853 del 04/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3979 – 2020 R.G. proposto da:

Avvocato P.A. – c.f. ***** – ai sensi dell’art. 86 c.p.c. da sé medesimo rappresentato e difeso ed elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in *****, presso il proprio studio.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Venezia n. cron. 2789/2019;

udita la relazione nella camera di consiglio del 16 aprile 2021 del consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex L. n. 89 del 2001 depositato il 3.7.2018 l’avvocato P.A. adiva la Corte d’Appello di Venezia.

Esponeva che suo padre, P.G., nell’anno 2001, aveva proposto ricorso al T.A.R. del Veneto onde conseguire l’annullamento della concessione edilizia ottenuta da taluni controinteressati; che il t.a.r. con sentenza n. 2362 del 6.6.2005 aveva accolto il ricorso ed annullato la concessione.

Esponeva che nel corso del giudizio d’appello, promosso dai controinteressati, si era verificato, il 23.4.2011, il decesso del genitore; che il Consiglio di Stato, a seguito dell’allegazione ex adverso del certificato di morte, aveva con ordinanza del 12.1.2017 dichiarato l’interruzione.

Esponeva che, con memoria in data 6.6.2017, si era costituito formalmente ai fini della prosecuzione del giudizio d’appello.

Esponeva che, con sentenza n. 877 del 12.2.2018, il Consiglio di Stato aveva accolto l’avverso gravame ed, in totale riforma della statuizione di primo grado, aveva “dichiarato tardivi e inammissibili (…) i motivi di primo grado riproposti in sede di appello” (così ricorso, pag. 2).

Il ricorrente quindi si doleva per l’irragionevole durata dell’anzidetto giudizio e chiedeva ingiungersi al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento di un equo indennizzo.

2. Con decreto del 25.9.2018 il consigliere designato dichiarava improponibile il ricorso.

3. L’avvocato P.A. proponeva opposizione ex L. n. 89 del 2001. Resisteva il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

4. Con D. n. 2789 del 2019 la Corte di Venezia accoglieva in parte l’opposizione e, per l’effetto, condannava il Ministero a corrispondere all’opponente la somma di Euro 1.100,00, oltre interessi al tasso legale.

Evidenziava la corte, con riferimento al giudizio di primo grado, iniziato con ricorso depositato il 16.3.2001 e definito con sentenza del 6.6.2005, che la durata irragionevole era stata pari ad 1 anno, 2 mesi e 21 giorni, sicché limitatamente a tale periodo il ricorrente aveva diritto, iure hereditario, all’equo indennizzo.

Evidenziava la corte, con riferimento al giudizio di appello, iniziato con ricorso depositato il 27.6.2006, che il ricorrente aveva diritto all’equo indennizzo, iure hereditario, per la durata irragionevole protrattasi dal 27.6.2008 al 23.4.2011, data, quest’ultima, del decesso del padre, nonché, iure proprio, per la durata irragionevole compresa tra il 6.6.2017, data della sua costituzione, per la prosecuzione, nel giudizio d’appello, ed il 12.2.2018, data del deposito della sentenza d’appello.

Evidenziava segnatamente che nulla competeva al ricorrente, iure proprio, limitatamente al periodo compreso tra il 23.4.2011 ed il 6.6.2017 ovvero limitatamente al periodo compreso tra la morte del padre e la sua formale costituzione in appello, siccome in tale periodo non aveva avuto veste di parte in senso tecnico.

Evidenziava, in sede di quantificazione dell’indennizzo, che il giudizio “presupposto” si era concluso con l’integrale rigetto del ricorso inizialmente esperito da P.G., sicché si giustificava l’applicazione della riduzione, fino 1/3, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, 1 co. ter, quale introdotto con la L. n. 208 del 2015 e applicabile ratione temporis al caso di specie.

5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso l’avvocato P.A.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

6. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza dei motivi di ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

7. Il ricorrente ha depositato memoria.

8. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 1 bis, comma 2, art. 2, comma 2, e art. 2 bis, comma 1, dell’art. 117 Cost., comma 1 e dell’art. 6 della C.E.D.U.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnato decreto per inesistenza della motivazione e per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132c.p.c., n. 4, e dell’art. 135 c.p.c., comma 4.

Deduce che, contrariamente all’immotivato assunto della corte d’appello, ha diritto, iure proprio, all’equo indennizzo anche con riferimento al periodo compreso tra il 23.4.2011, di del decesso del padre, ed il 6.6.2017, di della sua formale costituzione, ai fini della prosecuzione, nel giudizio d’appello.

Deduce segnatamente che, in quanto destinatario, comunque, degli effetti della sentenza, ha avuto veste, con riferimento al medesimo periodo, di parte in senso sostanziale.

9. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 1 bis, comma 2, e art. 2 bis, comma 1, dell’art. 11 preleggi, dell’art. 117 Cost., comma 1 e dell’art. 6 della C.E.D.U.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnato decreto per inesistenza della motivazione e per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132c.p.c., n. 4, e dell’art. 135 c.p.c., comma 4.

Deduce che ha errato la corte di merito ad applicare retroattivamente ed immotivatamente la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1.

Deduce che l’irragionevole durata del giudizio “presupposto” ha avuto inizio in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 208 del 2015.

Deduce che la corte distrettuale avrebbe dovuto determinare il “moltiplicatore” annuo in un importo compreso tra Euro 1.500,00 ed Euro 2.000,00.

10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 1 bis, comma 2, art. 2, comma 2, e art. 2 bis, comma 2, degli artt. 2056 e 2697 c.c., dell’art. 115c.p.c. e dell’art. 6 della C.E.D.U.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnato decreto per inesistenza della motivazione e per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132c.p.c., n. 4, e dell’art. 135 c.p.c., comma 4.

Deduce che ha errato la corte territoriale sia nella quantificazione dell’equo indennizzo dovuto iure hereditario sia nella quantificazione dell’equo indennizzo dovuto iure proprio.

Deduce che la corte veneta avrebbe dovuto determinare il “moltiplicatore” annuo in un importo compreso tra Euro 1.500,00 ed Euro 2.000,00.

11. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1 ter, e dell’art. 11 preleggi; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnato decreto per inesistenza della motivazione e per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 135 c.p.c., comma 4.

Deduce che ha errato la Corte di Venezia ad applicare retroattivamente ed immotivatamente la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1 ter, contemplante la riduzione fino ad 1/3 dell’indennizzo in ipotesi di reiezione della domanda nel giudizio “presupposto”.

Deduce che l’irragionevole durata del giudizio “presupposto” ha avuto inizio in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 208 del 2015.

12. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 1 bis, comma 2, art. 2, comma 2, e art. 2 bis, comma 1 ter, dell’art. 12 preleggi, dell’art. 6 C.E.D.U.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità dell’impugnato decreto per inesistenza della motivazione e per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 135 c.p.c., comma 4.

Deduce che, in sede di quantificazione e decurtazione dell’indennizzo, ha errato la corte d’appello a reputare irrilevante l’accoglimento dell’iniziale ricorso amministrativo da parte del t.a.r. con sentenza n. 2362/2005.

Deduce che, in sede di quantificazione e decurtazione dell’indennizzo, ha errato la corte distrettuale a parificare all’integrale rigetto delle richieste, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1 ter, la sentenza n. 877 del 12.2.2018 del Consiglio di Stato, che viceversa ha pronunciato in rito.

13. Si premette che il collegio appieno condivide la proposta del relatore, che ben può essere reiterata in questa sede.

D’altronde, le argomentazioni di cui alla memoria che il ricorrente, a seguito della notificazione del decreto presidenziale e della proposta, ha provveduto a depositare, non sono da condividere.

14. I motivi di ricorso sono dunque tutti inammissibili, propriamente ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, giacché la Corte d’Appello di Venezia ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

15. Con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso è sufficiente reiterare l’insegnamento di questa Corte di legittimità.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, qualora la parte sia deceduta prima della conclusione del processo “presupposto”, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo “iure proprio” soltanto per il periodo successivo alla sua costituzione in giudizio: infatti, non è possibile equiparare la posizione dello stesso al contumace, atteso che l’ineliminabile presupposto per la legittimazione all’indennizzo è la durata irragionevole del giudizio, incidente soltanto su chi è chiamato ad assumere, al suo interno, la qualità di parte (cfr. Cass. 3.2.2017, n. 3001; cfr. altresì Cass. (ord.) 26.1.2021, n. 1607, secondo cui, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, l’indennizzo compete in proprio anche alla parte erede costituitasi in giudizio e per il tempo in cui si è costituita; Cass. 19.2.2014, n. 4003; Cass. 19.10.2011, n. 21646).

Si tenga conto, specificamente, che nel caso de quo l’avvocato P.A., difensore nel giudizio “presupposto” del padre, per nulla ebbe a dichiarare la morte del genitore, sicché il giudizio ha avuto prosecuzione nel più assoluto silenzio circa l’avvenuta verificazione dell’evento con attitudine interruttiva sino alla pronuncia dell’ordinanza del 12.1.2017, con la quale il Consiglio di Stato ha dichiarato, appunto, l’interruzione.

16. In tal guisa ineccepibilmente la corte distrettuale ha riconosciuto l’indennizzo iure proprio unicamente a decorrere dal 6.6.2017, di della costituzione in giudizio dell’avvocato P.A..

Cosicché non si configurano gli errores in iudicando ed in procedendo prospettati con il primo mezzo di impugnazione; né si delinea difetto o vizio motivazionale alcuno.

In pari tempo a nulla rileva che l’avvocato P.A., “seppure non formalmente costituito prima del 6.6.2017 (…), nominalmente quale difensore del proprio padre P.G. (deceduto il *****) ebbe tuttavia a coltivare (…) il giudizio (…)” (così memoria, pag. 3).

17. Con precipuo riferimento al secondo motivo ed al terzo motivo, da trattare congiuntamente siccome strettamente connessi, si osserva quanto segue.

18. Il giudizio di equa riparazione ha avuto inizio con ricorso depositato in data il 3.7.2018 (cfr. ricorso, pag. 3).

Dunque si applica senz’altro la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1, (“Il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a Euro 400 e non superiore a Euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo”), nella formulazione introdotta dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, 777 co., lett. d).

Quindi a nulla rileva che il giudizio “presupposto” ha avuto inizio in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 208 del 2015.

Quindi non vi è margine alcuno per applicare, al di fuori del teste’ riferito perimetro normativo, un “moltiplicatore” annuo di importo diverso, nella specie maggiore, quantunque in linea con le indicazioni giurisprudenziali antecedenti al varo della “novella” di cui alla L. n. 208 del 2015.

19. Ovviamente la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, derivante, appunto, dalle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015), relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo per l’irragionevole durata del processo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – la scelta del “moltiplicatore” annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo “presupposto”, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nell’art. 2 bis cit., comma 2, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico (cfr. Cass. (ord.) 1.2.2019, n. 3157).

20. In questi termini, nel solco dunque l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’iter motivazionale che sorregge, in punto di quantificazione del “moltiplicatore” annuo, l’impugnato dictum, risulta immune da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha viceversa compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Invero ha puntualizzato che il “moltiplicatore” annuo – cui ha poi applicato la riduzione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 2 bis, comma 1 ter, – ben poteva essere determinato nell’importo minimo di Euro 400,00, senza ulteriori aumenti per gli anni successivi al terzo, siccome, per un verso, la durata irragionevole complessiva era circoscritta a 4 anni ed 8 mesi, siccome, per altro verso, il ricorrente non aveva allegato circostanze concrete atte a far presumere, in capo a sé ed al suo dante causa, una particolare sofferenza psichica, siccome, per altro verso ancora, non aveva rilievo l’asserita “materia ambientale” oggetto del giudizio amministrativo “presupposto”, viepiù – ha soggiunto la corte – che la “materia ambientale” era stata semplicemente prospettata, giacché l’oggetto del giudizio “presupposto” concerneva la legittimità di una concessione edilizia (cfr. decreto impugnato, pag. 8).

21. Ovviamente l’applicabilità, ratione temporis, del “moltiplicatore” di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1, rende del tutto vano l’argomento difensivo secondo cui “l’applicazione dei parametri Edu di Euro 1.500/1.800/2.000 non presuppone in alcun modo che venga dimostrata una particolare sofferenza psichica in capo ai soggetti che hanno subito i danni de quibus agitur” (così ricorso, pag. 19).

22. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1, prefigurata in memoria (cfr. pagg. 7 – 8).

Del resto, già in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 208 del 2015 questa Corte spiegava che la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce violazione di legge (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029).

23. Con precipuo riferimento al quarto motivo ed al quinto motivo, da trattare del pari congiuntamente siccome strettamente connessi, si osserva quanto segue.

24. E’ ineccepibile l’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1 ter.

Il giudizio di equa riparazione, si è anticipato, ha avuto inizio con ricorso depositato in data il 3.7.2018.

Il comma 1 ter cit. è stato inserito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. e).

A nulla rileva quindi che il giudizio “presupposto” ha avuto inizio in epoca antecedente al varo della “novella” di cui alla L. n. 208 del 2015.

Cosicché non si configurano gli errores in iudicando ed in procedendo veicolati dal quarto mezzo di impugnazione; né si delinea difetto o vizio motivazionale alcuno.

25. Ai fini di cui al comma 1 ter cit. ovvero ai fini dell’operata decurtazione, in verità inferiore ad 1/3, del “moltiplicatore” annuo, riveste valenza comunque la circostanza per cui le pretese inizialmente azionate dal dante causa del ricorrente non hanno ricevuto alcun seguito.

A nulla vale quindi addurre che la “sentenza n. 2107/2013 Cons. Stato (…), costituendo una pronuncia di rito, non equivale a integrale rigetto nel merito delle richieste” (così ricorso, pagg. 24 – 25).

Riveste valenza poi l’esito finale del giudizio “presupposto”.

A nulla vale quindi addurre che il T.A.R. del Veneto ebbe, in primo grado, ad accogliere il ricorso con la sentenza n. 2362/2005.

La quantificazione del “moltiplicatore” annuo operata dalla corte lagunare non è inficiata, lo si è anticipato, da alcuna forma di “anomalia motivazionale”.

A nulla vale perciò addurre che ingiustificatamente la corte d’appello ha applicato la decurtazione fino ad 1/3 al “moltiplicatore” minimo annuo.

26. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese. Nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

27. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001; il che rende inapplicabile il medesimo D.P.R., art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2021

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