Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26919 del 05/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1450-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALAD DI A.M. & C SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GONDAR 22, presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LORENZO LODI e LORENZO MAGNANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3353/2016 della COMM.TRIB.REG.LOMBARDIA, depositata il 07/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott.ssa BALSAMO MILENA.

RITENUTO

CHE:

1. Con atto del primo ottobre 2011, la società Alad s.as di A.M. & C aveva ricevuto da G.L. un conferimento d’azienda costituito da immobili, atto che aveva scontato l’imposta di registro in misura fissa per i conferimenti d’azienda.

L’agenzia delle entrate riqualificava il conferimento d’azienda in termini di conferimento di immobili ponendo a carico delle parti contribuenti le maggiori imposte di registro e ipo-catastali applicando le aliquote del 7%, del 2% e dell’1/0 sul valore degli immobili pari ad Euro 8000.000,00 rispetto alle imposte in misura fissa versate all’atto della registrazione.

Avverso l’avviso di liquidazione proponevano ricorso sia la società che G.L..

La CTP di Milano accoglieva entrambi i ricorsi. Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la CTR della Lombardia lo respingeva affermando che quanto previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 non prevede una misura antielusiva e non può essere confuso con il del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, motivando la reiezione affermando l’inapplicabilità al caso di specie degli artt. 21 – che regolamenta l’imposizione dell’atto cumulativo – nonché dell’art. 22 che concerne l’imposizione su atti diversi da quello presentato per la formalità ed in questo enunciati.

Avverso la sentenza n. 3353/2016, depositata il 7.06.2016, della CTR della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La società resiste con controricorso e deposita memoria.

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 nonché degli artt. 3,53,97 Cost. e dell’art. 2697 c.c.; per aver la CTR erroneamente ritenuto non applicabile il principio dell’abuso del diritto dettato in materia di tributi armonizzati all’imposta di registro, assumendo la diretta derivazione comunitaria, quanto ai tributi armonizzati, e, comunque, costituzionale (art. 53 Cost.) per quelli non armonizzati, del principio di divieto di abuso del diritto, secondo il quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

In particolare, afferma l’Agenzia delle Entrate che il citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 non è solo una norma interpretativa degli atti registrati ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario. Il quale è dato dall’oggetto e viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che compiono gli atti.

In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, id est, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più di questi atti. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali. A questa interpretazione si giunge, d’altronde, tenendo conto dell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa (avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere, in corrispettivo del servizio di registrazione), a quello dell’imposta (avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica).Sicché, inserendosi nell’ambito di una simile evoluzione, il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20 vanno interpretati nell’univoco senso che oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, e’, nella sostanza, costituito dagli effetti giuridici di tali atti.

Con l’ulteriore conseguenza che ciò che rileva è l’individuazione della causa reale dei negozi posti in essere dalle parti, ai fini della riqualificazione degli atti nonché l’irrilevanza che le operazioni economiche poste in essere non integrino una ipotesi di abuso del diritto, non trattandosi di una fattispecie di elusione del diritto.

Aggiunge, infine, che la contribuente, neppure costituitasi in appello, non aveva assolto l’onere di provare l’interesse economico alla realizzazione dell’operazione economica soggetta a tassazione, violando il giudice d’appello anche il disposto dell’art. 2697 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova, avvalendosi della giurisprudenza di questa Corte orientata a ritenere che, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, seppur non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici (che restano, pertanto, inopponibili all’Amministrazione finanziaria) volti a conseguire un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, che giustifichino l’operazione. E, in tale prospettiva, si e’, altresì, puntualizzato che, mentre spetta all’Amministrazione delineare i termini del disegno elusivo e l’uso meramente strumentale di ordinari schemi negoziali al precipuo fine del conseguimento di un vantaggio fiscale, incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico che siano idonee ad escludere l’abusività.

3. Con la seconda censura, proposta in via subordinata, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5), fatto consistente nel quadro indiziario posto a base dell’avviso di liquidazione, dal quale si desume che la costituzione di una impresa individuale in cui sono stati apportati immobili personali dell’imprenditore e il successivo conferimento dell’azienda in una sas di nuova costituzione hanno consentito alle parti contraenti di conseguire notevoli vantaggi fiscali non altrimenti conseguibili ai fini delle imposte indirette, usufruendo del regime meno oneroso previsto per il conferimento d’azienda.

4. Con il terzo motivo si prospetta la nullità della sentenza per motivazione apparente ex art. 360 c.p.c., n. 4); per avere il collegio d’appello omesso di esaminare le eccezioni e le difese riproposte in sede di appello in merito alle quali la CTR si è limitata a concordare con i giudici di prime cure, senza tuttavia esplicare le ragioni giuridiche sottese al proprio convincimento.

4. Si osserva che, in tema d’imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’Amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.

La L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, invero, prevede: “Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, comma 1: 1) le parole: “degli atti presentati” sono sostituite dalle seguenti: “dell’atto presentato”; 2) dopo la parola: “apparente” sono aggiunte le seguenti: “sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”;…” La L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084 prevede: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1936, n. 131, art. 20, comma 1.”

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21/07/2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 come modificato dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 e dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.

Detta pronuncia è stata poi ribadita dalla medesima Corte con sentenza n. 39/2021, con la quale ha affermato che le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.

Nel caso di specie si verte appunto, come è pacifico tra le parti e come venne già inizialmente lamentato dalla società contribuente, di avviso di liquidazione di imposta proporzionale di registro su una concatenazione di atti che l’agenzia delle entrate riqualificava in maniera unitaria D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, in termini di conferimento d’azienda. Su tale presupposto – decidendosi in diritto sul ricorso – la motivazione della sentenza della CTR va dunque modificata nei termini che precedono a norma dell’art. 384 c.p.c., confermandosene tuttavia il dispositivo di rigetto.

Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto dell’evoluzione temporale della normativa e dell’interpretazione giurisprudenziale.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione civile tenuta da remoto, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

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